Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14687 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14687 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12950/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato presso il domicilio digitale del medesimo, pec:
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliato presso il domicilio digitale della medesima,
pec:
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 605/2023 depositata il 21/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE, concesse ad NOME COGNOME con contratto del 9 febbraio 2012, un finanziamento di € 57.364,62 per l’acquisto di una autovettura Land Rover Range Rover del valore di € 73.427 66.146,00, da estinguersi in 36 rate; il contratto di finanziamento fu garantito dalla prestazione di una fideiussione da parte di NOME COGNOME figlio del debitore principale. In data 5 maggio 2015 il debitore chiese ed ottenne una modifica del finanziamento che fu rimodulato in 48 rate per il residuo importo di € 23.450,00, con la previsione che l’obbligazione avrebbe dovuto estinguersi in data 14 maggio 2019, data di scadenza dell’ultima rata del piano di rientro del prestito. In occasione della rimodulazione del piano di ammortamento fu stipulata una polizza assicurativa, che sarebbe stata attivata a seguito di morte del debitore principale, ferma restando la fideiussione prestata dal figlio NOME
In conseguenza del parziale adempimento dell’obbligazione del debitore principale, la società creditrice intimò, con decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Padova, al fideiussore il pagamento del debito residuo per l’importo di € 19.990,23 oltre interessi.
A seguito di opposizione del fideiussore – che chiese, per quanto ancora rileva in questa sede, di accertare la decadenza del creditore dai termini d i cui all’art. 1957 c.c. e per l’effetto di accogliere l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c., revocando il decreto ingiuntivo, il Tribunale di Padova accolse l’opposizione ritenendo fondata l’eccezione di decadenza sollevata dall’attore, e specificò che la deroga convenzionale a ll’art. 1957 c.c. , prevista dall’art. 11 comma 2 delle condizioni gen erali di finanziamento,
doveva considerarsi nulla ai sensi dell’art. 33 commi 1 e 2 lett. t) del Codice del Consumo.
Per l’effetto il Tribunale accertò il mancato rispetto del termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c. e dichiarò che il fideiussore nulla era tenuto a pagare alla creditrice convenuta. Ritenne il giudice che la suddetta clausola di cui all’art. 11 prevedeva- per la parte che qui interessa- che il fideiussore dispensava la s ocietà dall’onere di agire entro i termini previsti dall’art. 1957 c.c. ed era pertanto tenuto a pagare immediatamente alla società stessa, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del cliente debitore, quanto dovutole per capitale, interessi, spese tasse ed ogni altro accessorio. Conclusivamente il Tribunale dichiarò che il fideiussore nulla era tenuto a pagare alla società creditrice.
FCA Bank propose appello prospettando tre motivi, di cui soltanto i primi due rilevano ancora nella presente sede processuale: con il primo motivo lamentò che il giudice di prime cure, nel ritenere la clausola derogativa dell’art. 1957 c.c. compresa nella previsione di cui all’art. 33 comma 2 lett. t) del Codice del Consumo , si sarebbe discostato dal consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui l’obbligo del fideiussore si estingue solo per effetto dell’estinzione dell’obbligazione principale e quindi non può essere compresa nella tipologia di clausole di cui all’art. 1341 secondo comma c.c.; con il secondo motivo affermò che il giudice di prime cure non aveva considerato la vessatorietà della clausola, non solo ai sensi della citata lettera t), ma anche ai sensi del primo comma dell’art. 33 e quindi in quanto la clausola creava, malgrado la buona fede del professionista, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 605 del 21/3/2023, ha rigettato il primo motivo ritenendo che, essendo incontestato che non vi fosse stata trattativa tra le parti sulle clausole che si pretendono vessatorie, in ogni caso, anche per le clausole di cui al primo comma dell’art. 33 , sarebbe stato onere del professionista dare prova che dette clausole, malgrado unilateralmente predisposte, fossero state oggetto di trattativa specifica con il consumatore. E che, pur a voler ritenere possibile la rinuncia, da parte del fideiussore, al termine di cui all’art. 1957 c.c. , essendo la fattispecie estranea all’art. 1341 c.c. , in ogni caso la previsione negoziale della deroga all’art. 1957 c.c. dovesse essere considerata una clausola vessatoria nel senso di cui agli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo.
Sul punto la Corte d’Appello richiama la sentenza di questa Corte n. 5423 del 2022, relativa all’applicabilità dell’art. 33 comma 2 lett. t) alla clausola ‘a prima richiesta e senza eccezioni’ ed in particolare il capo che ha ritenuto applicabile la tutela consumeristica sia ai contratti tipici sia ai contratti atipici contenenti clausole abusive, concludendo che, per i contratti tipici, non è dato ravvisare clausole abusive se non nella misura in cui le stesse risultino inserite, ai sensi dell’art. 1322 c.c. comma 1, dall’autonomia privata, aggiungendo , al minimum previsto dalla disciplina legale del tipo contrattuale prescelto, impegni a carico dello stipulante-consumatore compatibili con la causa del contratto tipico. Sulla base di tale argomentazione ha confermato quanto già affermato dal giudice di primo grado circa l’essere la clausola in scrutinio compresa tra quelle di cui all’art. 33, comma 2 lett. t) con la conseguente nullità della clausola ai sensi dell’ art. 36 dello stesso Codice del Consumo. Quanto al secondo motivo, relativo ad un ulteriore profilo di vessatorietà della clausola in
relazione al primo comma dell’art. 33 , e dunque per il significativo squilibrio tra le parti, la Corte lo ha ritenuto assorbito.
Avverso questa sentenza la RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione con due motivi di ricorso.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che:
con il primo motivo -violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 c.c., 1957 c.c. e 33 co. 2 lett. t) Codice del Consumo in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. -la banca lamenta che la corte territoriale ha erroneamente affermato la natura vessatoria della clausola di cui all’art. 11 delle condizioni generali di finanziamento -secondo cui il fideiussore dispensa la società dall’onere di agire nei termini previsti dall’art. 1957 c.c. – quale clausola ex art. 33 co. 2 lett. t) Cod. Cons. ritenendola una clausola limitativa della facoltà di opporre eccezioni, quando invece, la derogabilità pattizia dell’art. 1957 c.c. sarebbe stata pacificamente ammessa in giurisprudenza sulla scorta del principio secondo cui la stessa non comporta alcuna limitazione alla facoltà di opporre eccezioni. Ad avviso del ricorrente la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che la tutela di cui al Codice del Consumo si pone su un piano diverso rispetto a quella di cui all’art. 1341 co. 2 c.c. mentre le due discipline si porrebbero su un medesimo piano, con l’effetto che, anche la clausola vessatoria ai sensi dell’art. 33 lett. t, per essere valida, deve essere specificamente approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.
Quindi la sentenza sarebbe da censurare nella parte in cui ritiene ‘irrilevante’ la riconducibilità o meno della clausola alla disciplina codicistica, e nella parte in cui invoca una giurisprudenza di legittimità, di cui Cass. n. 5423 del 2022 costituisce archetipo, relativa
all’ applicabilità del regime consumeristico anche ai contratti tipici purché nei limiti della deroga convenzionale prevista dall’art. 1322 c.c. Secondo il ricorrente dalla stessa sentenza si desumerebbe proprio la conseguenza opposta a quella affermata dal giudice d’appello e cioè che la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. è vessatoria ai sensi del Codice del Consumo. In particolare, sostiene il ricorrente, il capo di sentenza con il quale la corte lagunare afferma che il comma 2 del citato art. 33 stabilisce la presunzione di onerosità non solo delle clausole che hanno per oggetto le varie ipotesi previste alle lettere da a) a vter ma anche per quelle che abbiano il mero ‘effetto’ di produrre le situazioni descritte nelle varie ipotesi, condurrebbe, nel caso di specie, in cui viene in applicazione la lettera t), ad escludere che l’esegesi dell’espressione ‘clausole che hanno per oggetto o per effetto di .. ‘sancire a carico del consumatore …limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni ‘ non sia la medesima di quella di cui a ll’art. 1341 c.c..
Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 3, 27558 del 28/9/2023) ‘ è vessatoria, ai sensi dell’art. 1469bis c.c., la clausola del contratto di fideiussione che deroghi all’art. 1957, comma 1, c.c., in senso favorevole al creditore, dispensandolo dal rispetto del termine di sei mesi ivi previsto per far valere le proprie ragioni contro il debitore principale inadempiente ‘ . Altra pronuncia (Cass. n. 5423 del 2022, già menzionata in precedenza), pur accogliendo il motivo di ricorso relativo all’applicabilità dell’art. 33 al contratto autonomo di garanzia, che il giudice del merito aveva negato, ha espressamente escluso l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. alle clausole previste dal Codice del Consumo, che malgrado la buona fede del professionista, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
L’unica condizione che, ponendosi a garanzia del consumatore , può ovviare alla decadenza dalla garanzia, a seguito del decorso del termine di cui all’art. 1957 c.c., è che la clausola abbia costituito oggetto di trattativa individuale ai sensi dell’art. 34, comma 4 del medesimo Codice del Consumo secondo cui non sono vessatorie, per l’appunto, le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale. Avendo la sentenza ritenuto incontestato che la trattativa individuale non vi fosse stata e che, in ogni caso, sarebbe stato comunque onere del professionista dare la prova dell’av venuta negoziazione, quanto affermato da entrambe le sentenze di merito nella parte in cui hanno ritenuto l’applicabilità , alla clausola di cui all’art. 11, dell’art. 1341 2° comma c.c., secondo cui non hanno effetto, se non specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto (…) ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni (…).
La sentenza impugnata è, sul punto, conforme al più che consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui ‘ Nelle controversie tra consumatore e professionista, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. U, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (e già dell’art. 1469 bis, terzo comma, cod. civ.) … mentre spetta al consumatore, ex art. 34, comma 5, Codice del Consumo, che agisca in giudizio di allegare e provare che il contratto è stato predisposto dal professionista e che le clausole costituenti il contratto corrispondono a quelle vessatorie di cui all’art. 33, comma 2, del citato d.lgs., spetta viceversa al professionista superare tale presunzione, dando prova che la sottoscrizione della clausola derogatrice della competenza ha costituito l’esito di una trattativa individuale, seria ed effettiva …'(Cass., 3, n. 24262 del
26/9/2008; in termini Cass., 3, n. 19591 del 29/9/2004, Cass., 3, n. 6802 del 20/3/2010, Cass., 6-3, n. 8268 del 28/4/2020, Cass., 3, n. 5423 del 2022).
Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione degli artt. 1957 c.c. e 33 co. 1 Codice Consumo in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. – la ricorrente lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto assorbito il motivo d’appello con cui si censurava la statuizione del Tribunale circa la vessatorietà della clausola contrattuale, anche ai sensi del primo comma dell’art. 33 Cod. Cons. , e dunque per aver ritenuto erroneamente che la deroga determinasse, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La pronuncia di assorbimento implica, ad avviso del ricorrente, l’erroneo giudizio che la deroga all’art. 1957 c.c. comporti il ‘ significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto’, di cui primo comma dell’art. 33 e che essa implichi un errore di interpretazione della richiamata endiadi in relazione al riparto degli oneri probatori.
Il motivo è infondato. L’ onere di provare che la deroga all’art. 1957 c.c. ha costituito oggetto di trattativa tra le parti, grava esclusivamente sul professionista. La derogabilità è rimessa alla disponibilità delle parti, ma, come correttamente ritenuto dalla impugnata sentenza, era il professionista a dover dare la prova dell’avvenuta trattativa tra le parti, prova che non ha in alcun modo fornito. Anche il richiamo che il ricorrente fa ad altra sentenza della Corte d’Appello di Venezia che sarebbe in co ntrasto con quella impugnata è inconferente in quanto in quella fattispecie la Corte aveva preventivamente accertato l’esistenza di una rinuncia esplicita all’art.
1957 c.c, riprodotta in una pattuizione espressa. Si aggiunga che la ricorrente non ha neppure, in sede di merito, e a fortiori in questa sede di legittimità, tentato di fornire alcuna prova delle intervenute trattative anzi ha fatto riferimento ad un modulo prestampato e predisposto unilateralmente dalla creditrice che dimostra una volta di più la totale assenza di trattative.
Ne consegue la infondatezza anche del secondo motivo di ricorso. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione