Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30780 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 30780 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4645-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1641/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/08/2020 R.G.N. 1848/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/10/2025 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
Mansioni superiori -dequalificazione professionale
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 02/10/2025
CC
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Napoli ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale era stata parzialmente accolta la domanda di superiore inquadramento (nel 3° livello retributivo Quadri a far data dal 27.4.2010 e nel 4° a far data dal l’1.10.2011) e conseguenti differenze retributive (con condanna generica sul punto) proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, e con la quale il datore di lavoro era stato altresì condannato al risarcimento del danno da demansionamento a decorrere dal 27.4.2013 fino al deposito del ricorso.
In particolare, la Corte distrettuale:
-esaminava l’evoluzione degli incarichi della lavoratrice a partire da gennaio 2010, con l’affidamento della responsabilità del contenzioso tributario per la struttura provinciale di Napoli rispondendo direttamente al direttore provinciale, con competenza dal 2011 ampliata all’intera area regionale;
-richiamava le pertinenti declaratorie del CCNL applicato al rapporto di lavoro;
-riteneva provata la natura specialistica delle mansioni e il raggiungimento del limite quantitativo rilevante;
-quanto al demansionamento, riteneva dimostrata la privazione, a partire dal 2013, della responsabilità del contenzioso esattoriale regionale, essendo restata affidata alla dipendente una struttura organizzativa con competenza provinciale e con un numero limitato di addetti, con rilevate scarto oggettivo rispetto alle mansioni precedentemente ricoperte; ciò anche valorizzando da un punto di vista empirico il numero delle risorse coordinate.
Per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso l’RAGIONE_SOCIALE con due motivi; resiste la dipendente con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 82 CCNL di categoria nonché errata valutazione delle prove testimoniali e dei documenti in atti, con conseguente violazione dell’art. 2103 c.c. nonché degli artt. 112, 115, 116 c.p.c.
Il motivo è inammissibile.
Con detto motivo, che sconta carenze con riguardo alla prescritta autosufficienza, si censura l’accertamento in fatto operato dalla sentenza gravata, che non è rivedibile in questa sede di legittimità, tanto più in situazione di pronuncia doppia conforme di merito.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si prospetta, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito; la proposizione di una propria diversa valutazione della prove corrisponde a un mero dissenso motivazionale, che non inficia la legittimità della sentenza impugnata, non essendo consentito nel giudizio di cassazione ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame.
5. Né è integrata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.
La censura in esame si risolve, dunque, in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (v. Cass. n. 8758/2017, n. 29404/2017, n. 18721/2018, n. 20814/2018, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, n. 15568/2020, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 20553/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023).
Inoltre, per integrare il vizio di omessa pronuncia o di omesso esame di punto decisivo non è sufficiente il semplice difetto di statuizione o motivazione del giudice su una richiesta delle parti, se il rigetto della richiesta sia implicito nella costruzione logico-giuridica della sentenza, essendo soddisfatto l’obbligo motivazionale anche attraverso una motivazione implicita, allorché le ragioni giustificatrici di una pronuncia siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito impugnata.
Con il secondo motivo, parte ricorrente deduce erronea valutazione delle circostanze di fatto e conseguente violazione dell’art. 1226 c.c. nonché degli artt. 113, 114 c.p.c.
9. Il motivo non è fondato.
10. In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (Cass. n. 19923/2019).
11. Nella sentenza impugnata l’apprezzamento in fatto sul punto, traendone le conseguenze risarcitorie di legge, è stato esplicitato in motivazione (pp. 8 -10), e le critiche svolte nel motivo non scalfiscono il ragionamento logico-giuridico ivi espresso, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, peraltro puntualmente richiamata (Cass. S.U. n. 4211/2016, secondo cui, quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all’art. 1218 c.c., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile).
12. La Corte di merito ha evidenziato ‘ il mutamento di mansioni e lo scarto evidentemente negativo tra le precedenti
e le nuove assegnazioni (…) non risultando ricorrere una delle ipotesi che escludono la responsabilità datoriale anche in applicazione dell’art. 1218 c.c. ‘, anche in tale passaggio conformandosi alla giurisprudenza di legittimità in base alla quale, in tema di dequalificazione professionale, il danno avente natura patrimoniale -può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell’art. 2729 c.c., attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (v. Cass. n. 48/2024, n. 19923/2019 cit., n. 21/2019, n. 25743/2018, n. 19778/2014).
In ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione a parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 2 ottobre 2025.
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME