Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22213 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22213 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
12447/2021 r.g., proposto da
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , elett. dom.ti presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO.
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 2/2021 pubblicata in data 20/01/2021, n.r.g. 194/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- Gli odierni ricorrenti erano stati dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, poi transitati presso RAGIONE_SOCIALE a seguito di cessione di ramo d’azienda.
OGGETTO:
cessione di ramo d’azienda – declaratoria di inefficacia -successivo invito del cedente a riprendere il lavoro -rifiuto dei lavoratori -ingiustificatezza
Avevano ottenuto dal Tribunale di Trieste sentenza n. 314/2014 di declaratoria di inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. per difetto di un autentico ramo d’azienda, di accertamento della persistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, di condanna della medesima società al ripristino dei rapporti di lavoro e all’assegnazione delle mansioni corrispondenti o equivalenti all’inquadramento posseduto all’atto della cessione del ramo d’azienda, nonché al pagamento delle retribuzioni spettanti detratto quanto pagato dalla cessionaria.
Allegavano di essere stati successivamente licenziati da RAGIONE_SOCIALE con missiva del 02/02/2015 per asserita assenza dal lavoro dopo inviti a riprendere servizio formulati nel novembre e nel dicembre 2014.
Deducevano l’illegittimità del licenziamento sotto svariati profili.
Pertanto adìvano il Tribunale di Trieste per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro e le ulteriori conseguenze indennitario-risarcitorie.
2.Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava l’impugnazione, con statuizione confermata poi in sede di opposizione.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il reclamo interposto dai lavoratori.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
quella sentenza n. 314/2014 è stata dapprima confermata in appello con sentenza n. 160/2017 e poi in cassazione con sentenza n. 18954/2020 ed è quindi passata in giudicato;
quella sentenza n. 314/2014 non conteneva soltanto una pronunzia di accertamento di inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., ma anche di condanna a ripristinare i rapporti di lavoro e a tale ordine si era conformata la società, che pure aveva preannunziato che avrebbe impugnato quella decisione di primo grado;
come insegna Cass. n. 8952/2020, ogni pronunzia giurisdizionale, prima ancora del suo passaggio in giudicato, è dotata di una sua autorità poiché esplica efficacia di accertamento anche al di fuori del processo;
si tratta di un principio affermato da tempo (Cass. n. 6207/2004; Cass. n. 11364/2004; Cass. n. 14060/2014) anche con riguardo a sentenze di condanna ad un facere infungibile;
le difficoltà di esecuzione in presenza di un facere infungibile peraltro restano anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza;
dunque il comportamento della società era rispondente ai canoni dell’ordinamento e a comprova della serietà del suo operato sta il ripristino del rapporto di lavoro di due interessati (NOME COGNOME e NOME COGNOME), che accolsero l’invito a riprendere servizio;
non vi sono elementi per sostenere il carattere emulativo o la frode alla legge nel comportamento della società, che si è solo volontariamente conformata al dictum giudiziale;
a seguito dell’invito a riprendere servizio in data 27/11/2014 il legale dei lavoratori con missiva del 28/11/2014 chiese un congelamento dello status quo, ma la società, con missiva del 04/12/2014 ribadì il suo intento di ottemperare alla sentenza n. 314/2014 e quindi di voler ripristinare i rapporti di lavoro;
l’invito a riprendere servizio venne ribadito anche in data 07/01/2015 data in cui i dipendenti COGNOME e COGNOME ripresero infatti servizio;
a tale invito gli altri interessati si limitarono ad eccepire che la sentenza non era ancora esecutiva e che quindi non avrebbero ripreso servizio;
solo a seguito di tanto si pervenne alla contestazione disciplinare del 15/01/2015 poi culminata nel licenziamento;
occorre considerare che erano decorsi oltre 40 giorni dal sollecito senza ripresa del servizio e detto termine è senza dubbio congruo ai sensi dell’art. 1183 c.c.;
l’art. 10 ccnl sanzion a con il licenziamento con preavviso l’assenza dal lavoro per 4 giorni e nel caso in esame detta assenza risulta ben più estesa nel tempo;
irrilevante è l’affissione del codice disciplinare in presenza di circostanze che integrano una violazione di legge e comunque in presenza di doveri fondamentali del lavoratore, come il recarsi al lavoro dopo formale invito più volte reiterato.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME e altri hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è improcedibile a causa del suo tardivo deposito, oltre il termine previsto dall’art. 369 c.p.c. (venti giorni dalla notifica del ricorso). Risulta infatti notificato in data 19/03/2021 e depositato soltanto in data 11/05/2021.
L’ istanza di rimessione in termini -con cui la difesa dei ricorrenti deduce di aver iscritto a ruolo il ricorso mediante deposito telematico in data 07/04/2021 ma di aver ricevuto solo ‘codice esito 1’ (c.d. terza pec), che preannunziava contenuto non valido, contenendo l’indicazione ‘ Documento XML non valido: Contenuto non valido … ‘ -non può essere accolta.
In primo luogo, nella parte finale dell’istanza dopo il ‘chiede’ si deduce che il deposito del ricorso sarebbe stato effettuato telematicamente in data 10/05/2021. Se fosse questa la data del deposito telematico, allora sarebbe tardivo, perché oltre i venti giorni dalla notifica del ricorso (avvenuta in data 19/03/2021). In ogni caso, pur volendo considerare che la c.d. terza pec era di errore, essa è datata 07/04/2021. Ne consegue che l’attesa fino a compulsare la cancelleria di questa Corte con mail del 10/05/2021 (a seguito della quale è poi avvenuto il deposito in data 11/05/2021) è stata oltremodo lunga e, quindi, non ragionevole né diligente.
Questa Corte ha già affermato che in tema di deposito telematico del ricorso per cassazione, il definitivo consolidarsi dell’effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione da parte della cancelleria (c.d. quarta PEC -‘codice esito 2’ ). Pertanto, in presenza di una terza PEC segnalante “errore imprevisto” ed in assenza della quarta PEC, ove la parte ricorrente sia rimasta inerte deve escludersi il perfezionamento del deposito (Cass. ord. n. 19307/2023).
Ne consegue che nel caso in esame il deposito del 07/04/2021 è senza dubbio da considerare non perfezionato.
In via di principio il mancato perfezionamento nel termine del deposito telematico di un atto processuale, per causa non imputabile all’interessato, di certo legittima quest’ultimo all’istanza di rimessione in termini. Quest’ultima , tuttavia, dev’essere proposta entro un lasso temporale ragionevolmente contenuto, in omaggio al principio della durata ragionevole del processo (Cass. n. 32296/2023, secondo cui può ritenersi ragionevole l’istanz a di rimessione in termini proposta entro un mese dal mancato perfezionamento del deposito; Cass. ord. n. 1348/2024).
Nel caso in esame, invece, l’istanza risulta depositata soltanto in data 21/05/2021, ossia ben quarantaquattro giorni dopo il tentativo di deposito del 07/04/2021, dunque oltre ogni ragionevole termine, sicché non può essere accolta.
Anche a voler considerare che la valutazione circa la tempestività dell’istanza di rimessione in termini debba tenere altresì conto della necessità di svolgere accertamenti e verifiche presso la cancelleria (Cass. ord. n. 1348/2024 cit.), nondimeno nel caso in esame è tardiva la mail di verifica inviata dal difensore dei ricorrenti alla cancelleria di questa Corte soltanto in data 10/05/2021, ossia oltre un mese dopo la c.d. terza pec del 07/04/2021. Quest’ultima come riportato anche nell’istanza di rimessione in termini -già conteneva l’indicazione ‘ Documento XML non valido: Contenuto non valido … ‘ , sicché nessun affidamento poteva essere riposto nell’esito positivo del deposito stesso (Cass. ord. n. 29357/2022). Ne consegue che l’attesa fino al 10/05/2021 (data in cui è stata inviata la mail alla cancelleria di questa Corte per verifiche e notizie) è del tutto ingiustificata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto della pluralità dei ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in