Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15909 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15909 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16321/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Roma in R.G. n. 27541/2016 depositato il 6/5/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/4/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato alla procedura di amministrazione straordinaria di RAGIONE_SOCIALE non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da NOME COGNOME per la somma di € 40.658,66.
2. Il Tribunale di Roma , a seguito dell’opposizione presentata dal COGNOME, registrava che il creditore aveva spiegato che, dopo aver effettuato un primo deposito del ricorso ex art. 98 l. fall. in data 16 marzo 2016, era stato informato dalla cancelleria soltanto il successivo 11 aprile della sua mancata accettazione, che era stata giustificata dalla mancata allegazione del l’atto introduttivo.
Constatava che con un secondo ricorso presentato in data 12 aprile 2016 il COGNOME aveva spiegato che nella precedente occasione l’atto di opposizione era stato erroneamente inserito fra gli allegati, mentre era stato individuato quale atto introduttivo un documento che avrebbe dovuto essere inserito tra i documenti acclusi, ed aveva chiesto di essere rimesso in termini, perché l’errore era certamente scusabile.
Riteneva che il secondo ricorso fosse inammissibile, dato che era stato depositato oltre il termine perentorio previsto dall’art. 99 l. fall., osservando che la tempestività della presentazione non poteva essere evinta dalla ricevuta di avvenuta consegna ( cd. ‘seconda pec’) del precedente ricorso, la quale non costituiva prova dell’avvenuto buon fine del deposito telematico, poiché la stessa aveva un effetto soltanto provvisorio ed era subordinata all’esito positivo dei successivi controlli automatici (‘terza pec’) e manuali (‘quarta pec’).
Reputava di non poter accogliere la richiesta rimessione in termini avanzata dal ricorrente, non solo perché questi, a sostegno della propria istanza di rimessione in termini, aveva prodotto unicamente la cd. ‘seconda p.e.c.’, omettendo di allegare le altr e tre p.e.c. generate all’esito del deposito telematico e rendendo così impossibile ricostruire l’esatta dinamica che aveva portato alla mancata accettazione del primo deposito, ma anche perché lo stesso istante, nel fare riferimento a un errore di allegazione imputabile al difensore, aveva addotto una circostanza che non consentiva di ravvisare la
sussistenza di una scusabilità dell’errore commesso ai fini della rimessione in termini.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE a.s.. .1
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 -bis , comma 7, d.l. 179/2012, in combinato disposto con la circolare del Ministero della Giustizia del 23 ottobre 2015: la cancelleria, a seguito del deposito di un atto telematico (attestato dalla ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia), in presenza di anomalie, bloccanti o meno, dell’elabor azione della busta telematica non gode di un potere di rifiuto discrezionale dell’atto, potendo respingere il deposito, a mente dell’art. 73 disp. att. cod. proc. civ., soltanto ove lo stesso manchi di uno degli atti giudiziari di parte; in ogni altro caso è tenuta ad accettare il deposito, avendo cura di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata.
L’errore materiale commesso dal ricorrente, consistente nell’inserimento dell’atto principale fra gli allegati, non poteva condurre all’annullamento del deposito, essendo del tutto irrilevante e inidoneo a provocare una conseguenza giuridica particolarmente grave quale la decadenza dal diritto di proporre opposizione.
3.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 153, comma 2, cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 101, comma 2, cod. proc. civ. e 111 Cost.: il primo giudice relatore, all’udienza del 26 ottobre 2016, aveva dichiarato la contumacia della
parte resistente, a seguito della (implicita) verifica dell’ammissibilità del ricorso in opposizione contenente l’istanza di rimessone in termini, rinviando a un’udienza successiva per la decisione della controversia.
Il decreto del tribunale, di contenuto diverso dalle conclusioni a cui era arrivato il primo giudice relatore all’esito dei controlli afferenti le questioni pregiudiziali e di rito, era giunto inaspettato e in assenza di contradittorio, poiché la difesa del COGNOME non era stata posta in condizione di argomentare in merito all’istanza di remissione in termini, onde rappresentare che l’errore materiale commesso doveva essere valutato come scusabile, e di prendere posizione in ordine alla questione prelimin are di rito concernente l’ammissibilità dell’opposizione.
3.3 Il terzo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 153, comma 2, cod. proc. civ., giacché il tribunale, nel rilevare la produzione unicamente della seconda p.e.c. di avvenuta consegna del primo ricorso, non si è avveduto che le ulteriori p.e.c. erano state depositate in formato cartaceo all’udienza del 26 ottobre 2016 innanzi al primo giudice relatore e comunque erano presenti all’interno del fascicolo d’ufficio.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, non meritano accoglimento.
4.1 Ai fini del deposito telematico di un atto processuale, è necessario distinguere, per ciò che riguarda la valenza delle ricevute p.e.c., tra gli aspetti che concernono la tempestività del deposito e gli aspetti che invece riguardano la definitiva regolarità dello stesso: la generazione della ‘ricevuta di avvenuta consegna’ (‘RdAC’ – c.d. ‘seconda pec’) individua il momento di perfezionamento del deposito e costituisce il riferimento temporale sulla cui base valutare la tempestività o meno del deposito medesimo (Cass., Sez. U. 22834/2022, Cass. 12422/2022, Cass. 19796/2021); questa
efficacia, tuttavia, costituisce un effetto anticipato meramente provvisorio, in quanto comunque subordinata al generarsi con esito positivo delle successive p.e.c., e cioè quella ‘esito controlli automatici deposito’ (c.d. ‘terza pec’) e quella di ‘accett azione deposito’ (cd. ‘quarta pec’); ‘lo scopo del deposito infatti – non può dirsi raggiunto finché non vi sia stata l’accettazione dell’atto da parte della Cancelleria, che ne determina la conoscibilità a beneficio delle parti del processo e del giudice, e la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione (cd. quarta p.e.c.)’; ‘in caso di mancato completamento dell’iter del deposito telematico, ed in particolare ove sia risultato negati vo l’esito di una o di entrambe le ultime fasi della procedura, il deposito telematico, pur perfetto, non può dirsi – pertanto – efficace, poiché inidoneo al raggiungimento dello scopo’ (così Cass. 19307/2023, in motiv.).
In assenza delle p.e.c. successive alla seconda (ed a maggior ragione nel caso in cui la terza o la quarta p.e.c. diano esito non favorevole), la parte non può ritenersi per ciò solo decaduta dal deposito ma, a fronte del mancato perfezionarsi del medesimo, ha l’onere di attivarsi quanto più tempestivamente possibile (considerata la possibilità di una sfasatura temporale nella generazione della terza e quarta p.e.c.) per rimediare a tale mancato perfezionamento, procedendo a un nuovo deposito (da ritenersi nei termini, stante il primo tentativo, e quindi dovendosi considerare il nuovo deposito come continuazione della precedente attività; Cass. 6743/2021) oppure alla tempestiva formulazione di una richiesta di rimessione in termini (Cass. 1348/2024, in motiv.).
In definitiva, nell’ipotesi in cui la quarta p.e.c. dia esito non favorevole, la parte ha l’onere di attivarsi con immediatezza per rimediare al mancato perfezionamento del deposito telematico; la reazione immediata si sostanzia, alternativamente e secondo i casi, (a) in un nuovo tempestivo deposito, da considerare in continuazione
della precedente attività, previa contestazione delle ragioni del rifiuto; (b) in una tempestiva formulazione dell’istanza di rimessione in termini ove la decadenza si assuma in effetti avvenuta ma per fatto non imputabile alla parte.
4.2 Nel caso di specie, parte ricorrente ha sostenuto che, ‘per mera disattenzione’, il ricorso in opposizione non era stato inserito nella ‘finestra’ riservata all’atto introduttivo, ove risultava depositato un altro documento, ma fra gli allegati (v. pag. 4 del ricorso) ed ha richiesto la rimessione in termini, ritenendo l’errore certamente scusabile (v. pag. 2 del decreto impugnato).
Di una simile tesi, però, non vi è alcun riscontro in questa sede, nonostante che il ricorrente dovesse produrre, in ossequio a quanto stabilito a pena di improcedibilità dall’art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso trovava fondamento (e dunque il primo ricorso depositato fra gli allegati e l’allegato prodotto quale atto principale) e indicare in maniera specifica, a mente dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. ed a pena di inammissibilità, il co ntenuto del primo ricorso e dell’allegato prodotto come atto principale.
In ogni caso, q uand’anche si dovesse muovere dalla ricostruzione dei fatti illustrata dal ricorrente, occorrerebbe comunque rilevare che il provvedimento impugnato, laddove ha ritenuto che non ricorresse un errore scusabile ai fini della rimessione in termini, non si presta a censure di sorta.
Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’istituto della rimessione in termini previsto dall’art. 153, comma 2, cod. proc. civ., come novellato dalla l. n. 69 del 2009, il quale opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte o al suo difensore perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (si vedano in questi termini Cass., Sez. U., 32725/2018, Cass. 21304/2019 Cass. 18435/2024) o
conseguente a uno sforzo di diligenza non richiedibile alla parte (cfr.
Cass. 30324/2024).
Il tribunale non ha fatto altro che applicare questi principi al caso sottoposto al suo esame, constatando che la decadenza era stata determinata da una causa imputabile allo stesso difensore ed escludendo che l’errore di allegazione da questi commesso, consistente in un comportamento negligente, potesse essere considerato come scusabile.
4.3 Il rilievo del tribunale senza assegnazione di un termine alla parte per interloquire sulla questione della tempestività dell’impugnazione non ha comportato una violazione del disposto dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ..
Questa norma, infatti, si riferisce soltanto alla rilevazione d’ufficio di circostanze modificative del quadro fattuale che non sono state valutate dalle parti e non si applica al rilievo della tardività dell’impugnazione, la quale è circostanza obiettiva, emergente dalla documentazione già in possesso delle parti e da queste agevolmente riscontrabile, e non si configura come uno sviluppo inatteso della lite (Cass., Sez. U., 30883/2024, n. 30883).
4.4 Giova, da ultimo, osservare che il controricorso predispone un autonomo motivo che, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 145 e 149bis cod. proc. civ., assume la nullità e/o l’inesistenza della notifica del ricorso introduttivo, perché effettuato a un indirizzo p.e.c. destinato dall’amministrazione straordinaria alla gestione delle domande di ammissione allo stato passivo, ma non inserito nel Reginde.
L’atto difensivo, tuttavia, conclude perché questa Corte rigetti il ricorso siccome inammissibile e, comunque, perché infondato in fatto e in diritto e, per l’effetto, confermi il decreto impugnato, lasciando così intendere che la questione della notifica del ricorso in opposizione è stata posta soltanto a fini descrittivi e non allo scopo di impugnare il decreto emesso attraverso un ricorso incidentale.
In conclusione, in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 29 aprile 2025.