Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 871 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 871 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto
Locazione – Disposizioni processuali – Giudizio di appello – Introduzione con atto di citazione – Ammissibilità – Condizioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14420/2022 R.G. proposto da COGNOME Giuseppe, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL e NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 1790/2022, depositata il 5 aprile 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con atto notificato in data 14 ottobre 2014 NOME COGNOME intimò a NOME COGNOME e alla RAGIONE_SOCIALE sfratto per morosità, contestualmente citandoli per la convalida davanti al Tribunale di Roma, in relazione ad immobile al primo concesso in locazione ad uso commerciale con contratto del 16 agosto 2011, nel quale era successivamente subentrata la seconda, in virtù di cessione d’azienda;
proposta opposizione dagli intimati, fu emessa ordinanza di rilascio e venne disposto il mutamento di rito;
espletata c.t.u. il Tribunale pronunciò sentenza non definitiva (n. 2910 del 12 febbraio 2016), con la quale dichiarò risolto il contratto di locazione per fatto e colpa della RAGIONE_SOCIALE condannò quest’ultima al pagamento, in favore dell’attrice, della somma da accertarsi nel prosieguo all’esito di consulenza contabile, dichiarandone NOME COGNOME responsabile in via sussidiaria;
tale sentenza venne impugnata dal COGNOME con atto di citazione notificato il 12 settembre 2016 (ma depositato in cancelleria in data 23 settembre 2016);
espletata nel frattempo la c.t.u. contabile, il Tribunale, con
e nei confronti di
sentenza definitiva n. 7347, depositata il 12 aprile 2017, per quanto ancora interessa, confermata la risoluzione del contratto per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, la condannò al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 93.528,47, oltre agli interessi dal deposito della sentenza al saldo, e dichiarò, in relazione alla condanna di cui sopra, la responsabilità sussidiaria, con ogni conseguenza di legge, di NOME COGNOME condannò quindi il COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese ed entrambi, altresì, in solido, al pagamento in favore di NOME COGNOME della ulteriore somma di Euro 40.028,25, «a titolo di risarcimento danni per resistenza temeraria»;
anche la sentenza definitiva venne appellata dal COGNOME con atto di citazione notificato il 28 luglio 2017;
pronunciando quindi nei due giudizi di appello, previo mutamento di rito, da ordinario a locatizio, e previa riunione degli stessi, la Corte d’appello , con sentenza n. 1790/2022, depositata il 5 aprile 2022:
─ ha dichiarato inammissibile, poiché tardivo, l’appello proposto avverso la sentenza non definitiva;
─ in parziale accoglimento dell’appello proposto avverso quella definitiva, ha revocato la condanna per lite temeraria inflitta al COGNOME in favore di COGNOME NOMECOGNOME compensando per un quarto le spese sia del primo che del secondo grado tra i predetti e ponendo la restante parte a carico del COGNOME;
a fondamento della prima statuizione ha rilevato che, essendo stato il giudizio trattato in primo grado correttamente nelle forme del rito locatizio, l’appello andava proposto con ricorso; essendo stato invece proposto con citazione, l’inammissibilità avrebbe potuto essere evitata, rimanendo soltanto un problema di mutamento del rito che può avvenire in corso di giudizio, se la citazione fosse stata depositata in cancelleria entro il termine per la proposizione dell’appello, essendo in tal modo ugualmente conseguita la finalità
della legge: ipotesi però nella specie non verificatasi essendo stato l’atto di citazione, bensì notificato anteriormente, depositato in cancelleria solo in data 23 settembre 2016, oltre il termine di sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, con conseguente decadenza ex art. 327 c.p.c. e passaggio in giudicato della sentenza;
la quantificazione del debito operata con la sentenza definitiva, oggetto di censura con l’appello ad essa relativo, è stata poi confermata sul rilievo che, mentre la locatrice aveva dato dimostrazione dei fatti costitutivi della propria pretesa mediante il deposito del contratto di locazione, il conduttore COGNOME e successivamente la società cessionaria, pur avendone l’onere ex art. 2697 c.c., non avevano dato dimostrazione del pagamento delle mensilità relative al periodo da marzo a settembre 2014 e poi fino al rilascio, non potendosi ritenere che la prova dei pagamenti avrebbe potuto essere fornita dalla c.t.u. contabile, posto che notoriamente la c.t.u. non rappresenta un mezzo di prova, non può avere finalità esplorativa e non costituisce strumento che esoneri la parte dall’assolvimento dell’onere probatorio sulla stessa incombente;
avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
è stata fissata la trattazione per la odierna adunanza camerale con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti; non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia « violazione e falsa applicazione dell’art 156, 159 c.p.c., – artt. 40, 5° comma, 426, 427, 439 c.p.c. » in relazione alla statuita inammissibilità dell’appello avverso la sentenza non definitiva;
sostiene che:
─ i n difetto di violazioni di norme sulla competenza per la scelta di un rito in luogo di un altro ovvero di un concreto pregiudizio delle parti, l’errore di rito che non si traduce in una lesione del diritto di difesa di controparte non determina nullità di sorta, in quanto, sino al momento in cui il giudice non rileva detto errore, le uniche norme processuali da seguire sono quelle del rito scelto dalle parti, dovendosi determinare la litispendenza sulla base di quest’ultimo e non di quello applicabile per legge nella concreta fattispecie;
─ d opo l’introduzione del quinto comma dell’art. 40 c.p.c. con la legge 26 novembre 1990, n. 353, alla luce dei già vigenti artt. 426, 427 e 439, deve affermarsi la piena equipollenza tra ricorso e citazione, con la conseguente pendenza del giudizio introdotto da questa al momento del perfezionamento della notificazione (art. 39, ultimo comma, c.p.c.);
─ la giurisprudenza richiamata che verifica la tempestività del gravame sul deposito in cancelleria della citazione va quindi superata, dovendosi ritenere la data di notifica della citazione unica fonte della pendenza della lite in appello (art. 39, ultimo comma, c.p.c.);
con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., « insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia », in relazione alla confermata quantificazione del debito;
lamenta che erroneamente la Corte d’appello abbia argomentato in base alla ritenuta impossibilità «di rilevare elementi certi che consentano di stabilire che le somme rappresentate nei documenti in argomento siano state effettivamente corrisposte alla locatrice»;
sostiene che il consulente avrebbe, invero, potuto svolgere « ben altro accertamento che avrebbe condotto ad un diverso risultato sia sotto il profilo della quantificazione del debito sia sotto il profilo della presenza della stessa responsabilità “grave” che ha dato luogo alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento
contrattuale »;
il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis n. 1 cod. proc. civ.;
la Corte di merito ha deciso la questione processuale sottoposta al suo scrutinio conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
la giurisprudenza di questa Corte è invero saldamente orientata nel senso che, dovendosi nel rito ordinario proporre l’appello con citazione, nel caso in cui l’impugnazione sia stata invece proposta mediante ricorso, la sanatoria è ammissibile solo se tale atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’art. 325 cod. proc. civ. (Cass. n. 11657 del 1998; Cass. n. 23412 del 2008; Cass. n. 4498 del 2009; Cass. n. 6412 del 2011; Cass. n. 5826 del 2011; Cass. n. 12290 del 2011; Cass. n. 2430 del 2012; Cass. n. 3058 del 2012; Cass. Sez. U. n. 21675 e n. 22848 del 2013);
il principio -si è chiaritotrova applicazione anche quando l’appello abbia ad oggetto una questione che, ratione materiae , avrebbe dovuto essere trattata in primo grado con il rito del lavoro e che, invece, sia stata assoggettata a rito ordinario; anche in questo caso, infatti, l’appello proposto mediante ricorso in tanto è ritenuto ammissibile in quanto tale atto sia stato non solo depositato in cancelleria, ma tempestivamente notificato alla controparte a norma degli artt. 325 e 327 cod. proc. civ. (Cass. n. 2543 del 1990; Cass. n. 2518 del 1991; Cass. n. 7173 del 1997; Cass. n. 7672 del 2000);
specularmente, quando l’appello deve essere proposto mediante ricorso, la giurisprudenza di questa Corte costantemente ritiene ammissibile la sanatoria dell’impugnazione introdotta mediante citazione purché questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge (Cass. Sez.
U. n. 4876 del 1991; Cass. n. 10251 del 1994; Cass. n. 14100 del 2000; Cass. n. 1396 del 2001; Cass. n. 5150 del 2004; Cass. n. 13422 del 2004; Cass. n. 13660 del 2004; Cass. n. 8947 del 2006; Cass. n. 17645 del 2007; Cass. n. 9530 del 2010; Cass. n. 21161 del 2011; Cass. n. 3077 del 2013; Cass. Sez. U. n. 21675/13, Sez. U. n. 22848/13, Sez. U. n. 2907/14, S.U. n. 3308/14);
il richiamato radicato orientamento presenta un ineccepibile fondamento; la conversione, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., di un atto introduttivo non conformato allo specifico modello legale del procedimento che intende introdurre può, infatti, realizzarsi solo se l’atto da convertire sia dotato di tutti i requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo dell’utile introduzione del procedimento secondo lo schema legale prescritto;
ne consegue che in caso di impugnazione irritualmente proposta con ricorso anziché con citazione, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestiva notificazione dell’improprio atto alla controparte (costituendo la notificazione dell’atto, nei giudizi da introdursi con citazione, il momento cui è collegata l’utile instaurazione del rapporto processuale); viceversa, nel caso ─ quale quello di specie ─ di impugnazione irritualmente proposta con citazione anziché con ricorso, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestivo deposito dell’atto nella cancelleria del giudice adito, posto che, nei procedimenti da iniziarsi con ricorso, è proprio quello l’adempimento al quale è subordinato il tempestivo compimento dell’atto;
alla luce dei surricordati consolidati principi del tutto inconferente si appalesa l’argomento proposto in ricorso con riferimento alla previsione di cui al quinto comma dell’art. 40 cod. proc. civ., a mente del quale « se la causa è stata trattata con un rito diverso da quello divenuto applicabile ai sensi del terzo comma, il giudice provvede a norma degli articoli 426, 427 e 439 », dal momento che, nella specie, lungi dal porsi un problema di mutamento del rito, si trattava proprio
di valutare la conformità dell’atto impiegato per proporre appello a quello coerente con il rito fino ad allora seguito e dunque in grado di impedire, secondo le norme che regolano quel rito, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata;
il secondo motivo è parimenti inammissibile;
lo è anzitutto perché evoca un paradigma censorio (omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) non più previsto tra i vizi cassatori tipizzati nell’art. 360 cod. proc. civ.;
lo è, poi, nella parte in cui si assume che, attraverso la richiesta consulenza, si sarebbe potuti giungere non solo ad operare una diversa quantificazione del debito ma anche a negare la sussistenza di una morosità tale da giustificare la risoluzione del contratto, per la preclusione che, sul punto, deriva dal giudicato interno già formatosi, in dipendenza della tardività della relativa impugnazione, sulla statuizione in tal senso già resa con la sentenza non definitiva;
varrà comunque rilevare che la Corte di merito anche sul punto ha deciso conformemente alla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, al principio affermato da Cass. Sez. U. 01/02/2022, n. 3086, secondo cui « in materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio »;
alla luce di tale arresto, con il quale le Sezioni Unite aderiscono,
con qualche correttivo, ad orientamento tradizionale opposto a quello più di recente espresso da Cass. 06/12/2019, n. 31886, potrà dunque utilmente aversi il rilievo ufficioso (ovvero l’allegazione) di eccezioni in senso lato basate su fatti la cui prova sia rappresentata da documenti acquisiti in tempi successivi allo scadere delle preclusioni istruttorie o anche in appello, sul triplice presupposto, però, che: a) tale acquisizione sia operata dal c.t.u.; c) nell’osservanza del contraddittorio delle parti; b) nei limiti delle indagini commessegli e fermo il divieto «della cd. “consulenza meramente esplorativa”, non potendo disporsi infatti la consulenza tecnica, come si insegna abitualmente, al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume o, più esattamente, quando la parte tenda per suo tramite a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o a compiere un’indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati» (sent. cit., § 21);
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
non si ravvisano i presupposti per la chiesta condanna del ricorrente al pagamento di ulteriore somma ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso .
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del
contro
ricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza