Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13428 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 13428 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 3524-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dell’avvocato COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
CONSIGLIO NOTARILE DI MODENA, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
nonché contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA;
-intimata – avverso l’ordinanza della CORTE DI APPELLO di BOLOGNA n. 3844/2022, depositata il 22 novembre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15 maggio 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il notaio NOME COGNOME impugnava, innanzi alla Corte d’Appello di Bologna, la decisione del 7 ottobre 2020 della Commissione Regionale di Disciplina per i Notai della regione EmiliaRomagna (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE) con la quale gli era stata irrogata, ai sensi dell’art. 80 della Legge Notarile 16 febbraio 1913 n. 89, la sanzione pecuniaria di euro 55.000,00 per la percezione di onorari non dovuti per la costituzione di società a responsabilità limitata semplificata in violazione del dettato normativo v igente; la sanzione della sospensione dall’esercizio della funzione notarile di un mese per l’irregolare emissione di fatture con conseguente sottrazione di somme a tassazione IVA e
IRPEF; la sanzione della censura per la predisposizione ed esibizione al Consiglio Notarile di Modena di fatture non veritiere nel corso dell’attività di monitoraggio nonché fornitura, nel corso dell’audizione presso il Consiglio Notarile, di documentazione fiscale artefatta e comunque non veritiera.
In particolare, gli addebiti si fondavano sulla richiesta di avvio di procedimento disciplinare del Presidente del Consiglio Notarile di Modena, a seguito di attività di monitoraggio da parte del detto Consiglio con cui si chiedeva a ciascun Notaio di produrre atti e fatture relativi ai mesi di giugno e luglio 2015, nonché di compilare un questionario e una tabella dai quali far risultare tutti i ricavi, le spese di gestione e i costi del proprio studio.
A conclusione di tale monitoraggio il Consiglio, pur non rilevando alcuna scorrettezza da parte del Notaio COGNOME, lo convocava al fine di ottenere chiarimenti in ordine ad alcune fatture.
A seguito dell’audizione e della presentazione di ulteriore documentazione da parte del professionista non veniva riscontrata la commissione di alcun illecito disciplinare né emergeva alcun elemento tale da rendere necessari ulteriori approfondimenti da parte del Consiglio.
Alla luce di una successiva comunicazione della Guardia di Finanza, con cui venivano segnalate irregolarità fiscali, nonché di una segnalazione da parte di un Consigliere, l’Organo procedente constatava la discrepanza tra quanto rilevato all’esito dell’attività di monitoraggio e quanto rilevato dalla Guardia di Finanza, nonché la percezione da parte del Notaio di spese manifestamente inesistenti.
In ragione delle segnalazioni pervenute, il Consiglio deliberava di procedere ad ispezione straordinaria presso lo studio del pubblico ufficiale, ispezione dalla quale emergevano diverse irregolarità e in particolare l’anomala e irrituale prassi di emettere due fatture con lo stesso oggetto per la costituzione di società a responsabilità limitata semplificata con spese eccedenti quelle effettivamente occorrenti, nonché la discrepanza tra le fatture esibite in sede di monitoraggio e le corrispondenti fatture registrate ai fini IVA.
La Corte territoriale, con ordinanza n. 3844 del 22 novembre 2022, rigettava l’impugnazione del notaio. In particolare, il giudice di secondo grado rilevava, a seguito di CTU, la irregolare emissione di fatture quale abituale modus operandi del professionista, ritenendo congrua la sanzione irrogata in relazione alla gravità dell’illecito. La Corte riscontrava altresì la violazione dei principi di deontologia professionale nell’atteggiamento reticente tenuto circa l’erronea fatturazione e la mancata comunicazione dell’avvenuto ravvedimento operoso in sede fiscale.
Quanto all’emissione delle fatture con errata imputazione delle anticipazioni, con maggiorazione dei relativi importi ed erronea appostazione tra le anticipazioni esenti degli oneri contributivi che dovevano essere contabilmente inseriti tra le somme imponibili, la decisione ne riscontrava la contrarietà alle norme sanzionatorie, così che, tenuto conto dell’importo erroneamente imputato ad anticipazioni, poteva reputarsi che vi fosse una condotta sistematica del professionista, che integrava la
violazione dell’art. 147, lett. b) della legge notarile, risultando perciò congrua la sanzione irrogata.
Quanto alla condotta di omessa collaborazione del notaio, la Corte d’Appello sottolineava la condotta a lungo reticente del professionista sia in merito all’erronea fatturazione che in ordine al ravvedimento operoso posto in essere, e ciò in quanto, sebbene avesse provveduto al ravvedimento ed alla presentazione di una dichiarazione fiscale integrativa per l’anno 2015, una volta sollecitato a fornire chiarimenti in ordine a 24 fatture in precedenza trasmesse, aveva falsamente riferito di non essere in grado di produrre giustificazioni, in quanto i fascicoli di studio erano stati sigillati a seguito di un’ispezione della Guardia di Finanza, affermazione questa rivelatasi non veritiera.
Emergeva, quindi, la palese violazione dei principi di deontologia professionale che impongono il dovere di collaborazione con gli organi chiamati ad esercitare il dovere di vigilanza sugli appartenenti alla categoria.
Quanto invece alla percezione degli onorari per la costituzione di 104 società a responsabilità limitata semplificata, lo stesso reclamante aveva confermato di aver riscosso gli onorari, mediante un sistema di fatturazione, dal quale venivano fatti risultare come saldo delle spese di costituzione.
Né poteva avere seguito la questione di legittimità costituzionale delle norme che appunto avevano disposto che tale attività non fosse remunerata, avuto riguardo alla ratio che sottendeva la scelta del legislatore, che, in un periodo di grave crisi economica, aveva inteso favorire l’avvio di attività imprenditoriali, ponendo a carico della categoria dei notai una prestazione gratuita, a fronte
però di un impegno minimale, avuto riguardo alla rilevante finalità di pubblico interesse che la norma intendeva salvaguardare.
Avverso tale ordinanza è stato proposto ricorso per cassazione dal notaio COGNOME sulla base di cinque motivi.
Il Consiglio Notarile di Modena resiste con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 144 Legge Notarile e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale escluso che il ravvedimento operoso fiscale posto in essere dal Notaio potesse legittimamente integrare gli estremi della circostanza attenuante di cui all’art. 144 Legge Notarile, con conseguente conversione della sanzione della sospensione in pena pecuniaria. In particolare, a parere del ricorrente, il giudice di secondo grado nell’impianto motivazionale della decisione avrebbe omesso qualsiasi riferimento alla richiesta di valutazione della circostanza ai fini del riconoscimento dell’attenuante.
Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nel pagamento da parte del Notaio delle imposte in sede di ravvedimento operoso, sempre dedotto quale circostanza attenuante.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
Anche a voler superare il profilo di inammissibilità delle censure che denunciano una omessa pronuncia, ricorrendo in un caso alla
violazione del n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c. ( cfr. Cass. S.U. n. 17931/2013, per la necessità in questi casi di dover correttamente far riferimento alla denuncia di un error in procedendo ), e dall’altro sussumendo la violazione nel vizio di cui al n. 3 della norma citata, deve escludersi che sia meritevole di accoglimento la doglianza, dovendo in ogni caso sottolinearsi l’infondatezza della pretesa del ricorrente di poter fruire, in considerazione della condotta posta in essere, del beneficio di cui all’art. 144 della legge notarile, quanto all’asserita eliminazione delle conseguenze dannose.
Depongono in questo senso plurime considerazioni.
In primo luogo, la stessa ordinanza impugnata riferisce dell’esistenza del ravvedimento operoso e del fatto che per l’anno 2015 il notaio avesse presentato una dichiarazione fiscale integrativa, ma sottolinea altresì come si tratti di condotta riferita ad un periodo più limitato di quello oggetto della contestazione, riguardando solo le fatture emesse nei mesi di giugno e luglio del 2015, ancorché la contestazione avesse fatto riferimento anche a fatture emesse sia nel 2014, che negli anni successivi sino al 2018 (cfr. pag. 4 della decisione gravata).
La parziarietà del ravvedimento operoso esclude quindi già sotto tale profilo che possa invocarsi l’applicazione delle attenuanti di cui all’art. 144 della legge notarile, essendo mancata sia l’integrale riparazione del danno sia una condotta attiva volta a porre rimedio a tutte le conseguenze illecite della condotta contestata.
Ma soprattutto la censura del ricorrente non tiene in debito conto il carattere plurioffensivo dell’illecito qui contestato, atteso che
l’emissione di fatture non veritiere, con la tecnica del cd. scolonnamento (che consente di percepire compensi facendo apparire le somme percette come spese ovvero come voci non sottoposte ad imposizione), la cui illiceità disciplinare è ormai stata confermata nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra l’altro Cass. n. 816/2019), oltre che ledere la posizione del fisco e quella della clientela, alla quale viene prospettata, tramite l’emissione di una fattura inveritiera, una situazione non corrispondente all’effettivo importo corrisposto al professionista (che occulta in questo modo la reale entità dei compensi percepiti), lede altresì la posizione degli altri notai.
Infatti, l’emissione di fatture infedeli e non fedelmente rappresentative della misura dei costi e dei compensi, pregiudica anche gli interessi della categoria, configurandosi alla stregua di una condotta che realizza un’illecita concorrenza, tale da porre l’autore delle fatture infedeli in una posizione di vantaggio rispetto agli altri appartenenti alla categoria che invece producono documentazione fiscale fedelmente rappresentativa delle condizioni economiche instaurate con la clientela in occasione della prestazione della loro attività.
In questo senso deve darsi continuità a quanto già affermato da Cass. n. 2592/2016 che, in relazione ad un’analoga pretesa del notaio di conseguire il beneficio delle attenuanti, ha escluso che la regolarizzazione contabile e tributaria potesse essere presa in considerazione ai fini auspicati, in quanto il danno scaturente dalla condotta contestata andava correlato anche alla lesione della posizione degli altri notai, pregiudicati dalla condotta anticoncorrenziale, danno che indubbiamente non risultava
essere stato eliso dal ravvedimento posto in essere nei soli rapporti con l’amministrazione finanziaria (conf. da ultimo Cass. n. 8510/2025).
I motivi vanno pertanto rigettati.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione del principio dell’onere probatorio in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente disposto lo svolgimento di una CTU contabile al fine di colmare la carenza probatoria della contestazione mossa dal Consiglio Notarile.
In particolare, secondo il ricorrente, il Consiglio non avrebbe soddisfatto l’onere, su di esso incombente, in ordine alla prova dell’esatto ammontare degli importi dovuti a titolo di tasse, imposte e spese con riguardo a ciascuna delle fatture oggetto del procedimento disciplinare, avendo omesso, da un lato, di chiarire l’origine delle somme ritenute dovute a titolo di tassazione, e, dall’altro, di tener conto delle spese sostenute dal professionista per l’estrazione di visure catastali.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che
per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
La decisione impugnata non ha determinato alcuna inversione dell’onere della prova, ma avvalendosi di una CTU non già percipiente, ma esclusivamente deducente – essendo chiamata a valutare la corretta qualificazione sul piano formale della documentazione fiscale già acquisita agli atti – e confortando quelli che erano stati i rilevi già svolti in sede ispettiva dalla Guardia di Finanza, ha confermato come le fatture predisposte dal notaio COGNOME contenessero delle illegittime imputazioni ad anticipazioni di importi che in realtà erano soggetti ad imposizione (anche perché in parte destinate ad occultare la percezione di compensi).
La Corte distrettuale, quindi, ha ravvisato la responsabilità disciplinare del ricorrente sulla scorta della documentazione già
acquisita nella fase disciplinare, senza quindi che sia individuabile alcuna inversione dell’onere della prova, dovendosi escludersi che ci sia sato un utilizzo delle indagini peritali al fine di colmare una lacuna probatoria imputabile all’organo incaricato della promozione dell’azione disciplinare, avendo invece il CTU unicamente fornito il proprio apporto di competenze specialistiche al fine di confortare sul piano tecnico la valutazione di infedeltà del contenuto delle fatture, come individuato nel capo di incolpazione.
Quanto, poi, alla deduzione secondo cui dalla CTU sarebbe emerso che l’erronea imputazione ad anticipazioni sarebbe stata inferiore rispetto a quella dell’originaria contestazione, deve sottolinearsi che la decisione impugnata ha esercitato il proprio potere di determinazione della sanzione da irrogare con la chiara consapevolezza dell’importo indicato dall’ausiliario d’ufficio, reputando che la somma fosse comunque indicativa, anche in ragione dell’arco temporale interessato dalla condotta deontologicamente scorretta del notaio, di un modus operandi connotato da abitualità, che rendeva quindi congrua la sanzione irrogata.
Deve perciò escludersi che sussista un omesso esame di fatto decisivo in parte qua, occorrendo piuttosto evidenziare che la censura mira a contestare l’esercizio discrezionale del potere di determinazione della sanzione, esercizio che, come ribadito da questa Corte, resta incensurabile in sede di legittimità ove sia stato contenuto tra i limiti massimi e minimi edittali (Cass. n. 6016/2019, in tema di sanzioni disciplinari notarili).
Il quarto motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
In relazione all’illecito costituito dalla mancata collaborazione del professionista in sede di indagini ispettive, oltre a richiamare nuovamente il tema del ravvedimento operoso, evidenzia che la valutazione della condotta del notaio doveva essere unitaria. In particolare, si sostiene che è stato del tutto omesso dall’ordinanza gravata il fatto che era stato lo stesso ricorrente a riferire di avere ricevuto un’ispezione della Guardia di Finanza.
A parere del ricorrente, il giudice di merito, nel ritenere erroneamente provata la violazione circa la mancata collaborazione con il Consiglio Notarile distrettuale, non avrebbe tenuto conto -quale elemento probatorio invece a conforto dell’avvenuta collaborazione delle giustificazioni degli errori commessi offerte in sede di audizione, nonché del fatto che aveva riferito dell’avvenuta ispezione svolta nel suo studio, idonea a determinare un aggravamento della propria posizione.
Il motivo è manifestamente infondato.
Cass. n. 1437/2014 ha specificato che, secondo i principi di deontologia professionale dei notai, il notaio è tenuto a prestare al Consiglio notarile la più ampia collaborazione al fine di consentirgli di esercitare nel modo più efficace il potere -dovere di vigilanza e di controllo e le altre funzioni ad esso demandate dalla legge, ai fini della garanzia della qualità della prestazione e della tutela del prestigio e del decoro della categoria (art. 21 CDN). In particolare, il notaio è tenuto a comunicare al Consiglio notarile distrettuale ovvero direttamente al Consiglio nazionale
del notariato i dati e le informazioni in genere che gli siano richiesti da tali organi, anche con carattere di periodicità, riguardanti la propria attività professionale, le modalità di svolgimento della stessa e l’osservanza delle normative in materia di adempimenti, sia nella sua generalità per specifici periodi, sia per settori, luoghi o altre modalità determinate; ha altresì il dovere di esibire o trasmettere copia o estratti del repertorio, di atti, registri, libri e documenti, anche di natura fiscale, e di fornire relazioni scritte o di rispondere a questionari riguardanti le modalità di svolgimento dell’attività professionale (art. 22, comma 1, lett. a) e b) CDN). Sul notaio incombe il dovere di comunicare al Consiglio notarile l’esistenza di uffici secondari e di fornire, su richiesta dello stesso, ogni informazione, anche mediante consegna di documenti, relativa all’attività svolta nell’ufficio secondario (art. 13).
Poiché, dunque, costituisce un principio di deontologia professionale, recepito in maniera formale tra quelli posti a presidio del decoro della professione, il dovere del notaio di collaborare con lealtà con il Consiglio notarile al fine di consentire al predetto organo di esercitare nel modo più efficace il potere di vigilanza e di controllo nel quadro della tutela del prestigio della categoria, il notaio che non fornisce al Consiglio la documentazione richiesta, sottraendosi ai controlli dell’organo preposto alla funzione di vigilanza, pone in essere una condotta contraria alla espressa enunciazione di una regola di comportamento professionale, oltre che eticamente riprovevole, improntata a scarsa lealtà, correttezza e limpidezza di comportamento, in contrasto con i principi di deontologia
oggettivamente enucleabili dal comune sentire in un dato momento storico, e, pertanto, lesiva del prestigio e del decoro della classe notarile, e, come tale, sanzionabile ai sensi dell’art. 147, comma 1, lett. b), della legge notarile (Cass., Sez. 3, 15 luglio 1998, n. ; Cass., Sez. -, 23 marzo 2012, n. ; Cass. n. 32147/2018; Cass. n. 24962/2016; Cass. n. 11451/2015; Cass. n. 15930/2022).
Una volta richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine all’illecito oggetto del motivo in esame, deve escludersi che ricorra la violazione denunciata dal motivo di ricorso.
La Corte d’Appello, sulla scorta della puntuale ricostruzione dei fatti operata dalla COREDI, ha individuato i plurimi profili fattuali che deponevano per il difetto di collaborazione del ricorrente, sottolineando che il ricorrente, pur avendo provveduto al ravvedimento operoso per i due mesi del 2015, aveva omesso di riferire l’accaduto al Consiglio notarile allorché, a distanza di qualche anno dalla prima richiesta delle fatture, quest’ultimo aveva sollecitato dei chiarimenti in ordine al loro reale contenuto.
Nel 2018, quando cioè era stata già presentata la dichiarazione fiscale integrativa, l’incolpato, senza nulla riferire in ordine a quanto nelle more compiuto, aveva richiesto la restituzione delle 24 fatture già inviate nel 2016 (e ciò verosimilmente al fine di non far rilevare la differenza tra le fatture de quibus e quelle oggetto di successiva modifica a seguito di ravvedimento), affermando falsamente di essere impossibilitato ad accedere ai fascicoli di studio, in quanto sigillati dalla Guardia di Finanza.
Ad avviso del Collegio la valutazione operata dalla Corte d’Appello appare incensurabile, e rende evidente come la critica del ricorrente miri surrettiziamente al risultato di conseguire una diversa valutazione dei fatti in palese contrasto con le finalità ed i limiti del giudizio di legittimità.
Il fatto di cui si assume l’omesso esame, e cioè l’avere lo stesso professionista segnalato l’esistenza dell’ispezione della Guardia di Finanza nel corso dell’audizione del 9 luglio 2018, non si configura come munito del carattere della decisività, in quanto non è idoneo a scalfire la valutazione di gravità delle condotte di mancata collaborazione con gli organi ispettivi. Anzi, il richiamo all’intervento della Guardia di Finanza, più che risultare espressione di un comportamento collaborativo auto -indiziante, appare piuttosto suscettibile di essere letto come finalizzato ad avallare, onde sottrarsi all’obbligo di fornire i chiarimenti in merito al contenuto delle 24 fatture consegnate nel 2016, la falsa attestazione circa l’apposizione dei sigilli ai proprio fascicoli, configurandosi più che come una attività di ausilio alle indagini in corso, come un ulteriore tentativo di evitare che si palesasse l’abituale attività di redazione in maniera infedele delle fatture.
6. Il quinto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nella valutazione delle somme percepite dal professionista per la costituzione delle società a responsabilità limitata semplificata quali importi che occorrono per la copertura delle spese di sostegno dello studio notarile e che garantiscono la qualità della
prestazione notarile a cui lo stesso Consiglio Notarile dichiara di tendere nell’atto di incolpazione.
Il motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte ha di recente affermato che in tema di compensi dei notai, lo svolgimento di prestazioni professionali non strettamente connesse con l’esercizio della funzione pubblica notarile legittima, ex artt. 34 del D.M. 30.11.1980 e 2233 c.c., un autonomo e separato compenso rispetto a quello già ricevuto per la propria prestazione professionale, purché diverse da quelle indispensabili per la formazione e la validità del rogito, le quali non danno diritto ad un compenso supplementare. E’ stata perciò confermata la sentenza che aveva sanzionato disciplinarmente il notaio per aver ripetutamente riscosso somme non dovute per atti costitutivi di RAGIONE_SOCIALE da lui rogati e per i quali l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 27 del 2012, prevede la gratuità del ministero notarile (Cass. n. 28863/2024). In tale precedente la Corte ha già avuto modo di ribadire la legittimità costituzionale della norma che ha appunto disposto la gratuità delle prestazioni notarili in relazione alla stipula di tali atti, dovendo escludersi la fondatezza dei dubbi sollevati, anche alla manifesta infondatezza della questione di luce delle considerazioni spese nel motivo in esame.
L’apparente violazione della parità di trattamento rispetto ad altre categorie professionali non tiene, infatti, conto della peculiarità della professione notarile e specificamente delle funzioni pubblicistiche che la legge assegna a tale categoria, che ben possono tollerare delle limitazioni al diritto a percepire un compenso, ove le stesse siano giustificate da concorrenti ragioni
di pubblico interesse (cfr. al riguardo Corte Cost. n. 75 del 1964, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzione della legge n. 464/1961, che disponeva la riduzione alla metà degli onorari relativi alla formazione ed all’arrotondamento della piccola proprietà contadina), quali quelle appunto indicate dalla stessa ordinanza impugnata.
E’ stato perspicuamente sottolineato come tale previsione di favore per coloro che intendano dare vita a RAGIONE_SOCIALE si inquadra nell’esigenza di dare impulso all’attività economica ed imprenditoriale, offrendo un evidente vantaggio di carattere economico, con un sacrificio imposto alla categoria notarile (che comunque fruisce di una garanzia di un assegno integrativo, nel caso in cui non sia raggiunto un determinato livello degli onorari) che è minimale, anche in ragione del limitato apporto intellettuale che tale tipo di atto pone, dovendo lo stesso conformarsi ad un modello standard tipizzato con decreto del Ministero della Giustizia.
A ciò deve aggiungersi che tradizionalmente al lavoro autonomo non si applica la garanzia dell’art. 36 Cost. (cfr. Cass. n. 16213/2017; Cass. n. 16059/2003; Cass. n. 19714/2012), dovendo in ogni caso ribadirsi come proprio la previsione dell’assegno integrativo a carico della Cassa Nazionale del Notariato appare uno strumento idoneo ad impedire che la disciplina dei compensi notarili, inclusiva anche della previsione di cui si dubita della legittimità costituzionale, possa attentare al principio di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione.
E’ evidente che, alla luce di tali elementi, non appaiono in grado di influire sul giudizio di manifesta infondatezza le considerazioni
che richiamano l’avvenuta abrogazione dei minimi tariffari, così come impinge in valutazioni rimesse all’esclusiva discrezionalità del legislatore, quanto sostenuto nel parere pro veritate prodotto dalla difesa del ricorrente, secondo cui l’emergenza economica sarebbe ormai cessata, risultando quindi ingiustificata la permanenza della previsione in tema di gratuità, in quanto, una volta ritenuto che la norma sia frutto di un adeguato bilanciamento tra contrapposti valori, egualmente muniti di copertura costituzionale, deve reputarsi del pari riservata alla valutazione del legislatore la decisione in ordine alla persistenza delle situazioni che giustificano il favor per coloro che intendano avviare un’attività imprenditoriale (e ciò anche a voler sorvolare sulla dubbia ammissibilità della produzione in sede di legittimità di pareri pro veritate , in quanto si tratta di documenti che esulano dal novero di quelli di cui all’art. 372 c.p.c., come appunto sostenuto da Cass. S.U. n. 33468/2023).
Il ricorso è pertanto rigettato, dovendosi pertanto regolare le spese in base al principio della soccombenza, provvedendosi alla liquidazione come da dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del TU di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi; , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo bis ai sensi dell’art. 13, co. 1 -quater a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del co. 1dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda