Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3599 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3599 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33251/2019 R.G. proposto da:
NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in Presecce Acquarica INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 837/2019 depositata il 29/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio dinanzi il Tribunale di Lecce la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE chiedendo accertarsi la sussistenza di vizi, difetti e difformità dell’opera eseguita dalla convenuta e per l’effetto la riduzione del prezzo con decurtazione della somma di euro 6000 necessaria alla eliminazione dei vizi. In subordine, chiedeva riconoscersi un credito in loro favore pari a euro 2700 quale differenza fra il valore dell’opera pattuita e quella eseguita. In ogni caso chiedevano il risarcimento dei danni per euro 3000 e di rimborso delle spese dell’accertamento tecnico prev entivo.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME si costituiva in giudizio eccependo la decadenza degli attori dalla garanzia per vizi e difformità. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda perché infondata e spiegava domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento del saldo dell’importo pattuito pari ad euro 1770,50.
Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava la convenuta alla restituzione della somma di euro 897,63. In particolare il giudice di primo grado, disattesa l’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi perché non adeguatamente provata l’avvenuta consegna dei lavori , rilevava che le differenze rilevate dalla consulenza tra i lavori indicati nel preventivo e quelli eseguiti per la copertura del pozzo luce erano da ritenersi semplice modifica non difformità rispetto a quanto pattuito e dunque accoglieva la domanda riconoscendo il credito degli attori di euro
897, somma calcolata attraverso la decurtazione indicata dal consulente.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME e NOME resistevano al gravame.
La C orte d’ Appello di Lecce accoglieva l’appello , rigettava la domanda proposta dagli originari attori e accoglieva la domanda riconvenzionale con condanna di NOME NOME al pagamento della somma di euro 1770. In particolare, secondo il giudice del gravame, la parte committente non aveva provato la tempestività della denuncia dei vizi e l’opera era stata consegnata ed accettata nell’agosto del 2009 senza alcuna riserva come emergeva anche dalle concordanti congruenti dichiarazioni testimoniali.
Doveva precisarsi inoltre che, come evidenziato dal giudice di primo grado, nel caso in esame era emerso dall’istruttoria espletata che le difformità rilevare dal consulente tra i lavori indicati nel preventivo quelli eseguiti per la copertura del pozzo luce erano da ritenersi semplic i modifiche in corso d’opera in quanto detto preventivo era stato redatto sulla base delle indicazioni, di cui alcune erronee, del committente.
NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c., mancata redazione dell’atto d’appello in conformità al modello legale tipico, mancata
declaratoria di inammissibilità dell’appello, motivazione insufficiente e nullità derivata della sentenza di secondo grado.
Secondo parte ricorrente l’appello proposto dal COGNOME era inammissibile perché mancante dei requisiti minimi di specificità in relazione alla parte della sentenza che intendeva impugnare e i fatti travisati dal primo giudice e alle prove non valutate.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 348 bis c.p.c. mancata declaratoria di inammissibilità dell’appello motivazione insufficiente su questione decisiva nullità derivata della sentenza di secondo grado.
La censura è in parte ripetitiva della precedente e attiene al fatto che l’appello doveva ritenersi infondato non avendo ragionevoli probabilità di accoglimento. La sentenza impugnata si fondava su precedenti giurisprudenziali conformi in tema di vizi occulti e dunque l’appello andava dichiarato inammissibile.
2.1 I primi due motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
In primo luogo, non risulta che il ricorrente abbia eccepito nel giudizio di appello l’inammissibilità dell’atto di impugnazione per genericità. In questa sede lamenta che la Corte d’Appello non l’abbia rilevata di ufficio.
Ciò premesso, risulta evidente che la denuncia di violazione dell’art. 342 c.p.c. è manifestamente infondata, avendo la Corte d’Appello perfino accolto il mezzo di gravame motivando sul perché le censure proposte erano fondate. Deve ribadirsi che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una
chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Sez. U, Sent. n. 27199 del 2017).
La suddetta motivazione vale a fortiori per il rigetto della censura di violazione dell’art. 348 bis c.p.c. essendo l’appello non solo ammissibile ma anche fondato. In proposito, peraltro, si è già affermato da parte di questa Corte che: La scelta del giudice d’appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l’accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l’inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell’art. 348-ter, comma 1, c.p.c., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l’appello, che è l’unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, “in procedendo” o “in iudicando”, e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate. (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 37272 del 29/11/2021, Rv. 663151 – 01)
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: travisamento dei fatti erroneità dei presupposti, falsa applicazione di norme di diritto
con errata valutazione degli esiti istruttori mancata valutazione di circostanze favorevoli al ricorrente.
La sentenza avrebbe erroneamente affermato che vi era stata accettazione dell’opera e che la denuncia dei vizi era tardiva . La C orte d’ A ppello avrebbe erroneamente applicato l’articolo 1667 c.c. in quanto il giorno dal quale far decorrere il termine per la denuncia dei vizi non è la consegna dell’opera ma quello in cui il committente ha conseguito un apprezzabile grado di conoscenza in merito alla sussistenza e gravità del difetto. D’altra parte , la sentenza parla di accettazione dell’opera senza spiegare in alcun modo come tale accettazione sia avvenuta.
I committenti avevano avuto conoscenza dei vizi dal novembre 2009 e non dal momento della consegna in agosto. Nessuna accettazione dell’opera poteva porsi sulla base del pagamento degli acconti . L’errore della C orte d’ Appello riverbererebbe le sue conseguenze anche nella liquidazione delle spese.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
I ricorrenti lamentano che la consegna non sia indicativa del termine per la denuncia dei vizi, avendo gli stessi conseguito un apprezzabile grado di conoscenza in merito alla sussistenza e gravità del difetto solo alcuni mesi dopo la consegna del bene. Tale circostanza, tuttavia, non risulta dagli atti di causa. Infatti, dalla sentenza impugnata si comprende che in primo grado la denuncia era stata ritenuta tempestiva in quanto non vi era prova della consegna dei lavori, circostanza poi disattesa dalla Corte d’Appello sulla base delle testimonianze dei testi COGNOME e COGNOME oltre che di NOME COGNOME. I ricorrenti, rispetto ai vizi dovevano fornire adeguata prova di averli potuti riscontrare solo in un momento
successivo e tale prova, secondo la Corte d’Appello, con valutazione non suscettibile di sindacato in questa sede, non è stata fornita.
Peraltro, la sentenza si è fondata su due autonome rationes decidendi e i ricorrenti hanno censurato solo quella relativa alla tempestività del vizio e non quella affermata sin dalla sentenza di primo grado, confermata dal giudice dell’appello , circa il fatto che si trattava di mere modifiche intervenute in corso d’opera rispetto a quanto pattuito e non di difformità.
Deve ribadirsi che ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza ( ex plurimus Sez. 6-5, Ord. n. 9752 del 2017).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo precisandosi che il controricorrente vittorioso è stato ammesso al gratuito patrocinio e dunque le spese, vanno liquidate ai sensi dell’art.133 del DPR n. 115/2002, nella misura precisata in dispositivo, a favore dello Stato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 700,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge in favore dello Stato.
a i sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione