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Denuncia calunniosa: quando scatta il risarcimento?

La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata da un ex collaboratore nei confronti del suo ex datore di lavoro per una presunta denuncia calunniosa. Il caso riguardava una querela per falsificazione di firma legata a due diverse domande di contributo pubblico. La Corte ha ribadito che, per ottenere un risarcimento, non basta dimostrare che l’accusa era infondata, ma è necessario provare che il denunciante era pienamente consapevole dell’innocenza dell’accusato al momento della denuncia. Poiché tale prova non è stata fornita, la domanda di risarcimento è stata respinta, confermando che l’onere probatorio in caso di denuncia calunniosa grava interamente sull’attore.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Denuncia Calunniosa: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Risarcimento Danni

Presentare una querela è un diritto, ma quando si trasforma in un abuso che danneggia ingiustamente un’altra persona? L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta proprio questo tema, delineando i confini della responsabilità civile per denuncia calunniosa. La vicenda, nata da un conflitto tra un imprenditore e il suo ex collaboratore riguardo la gestione di contributi pubblici, offre spunti fondamentali sull’onere della prova necessario per ottenere un risarcimento in questi casi.

La Vicenda: Una Querela per Falso tra Imprenditore e Collaboratore

Tutto ha origine dalla richiesta di due diversi contributi pubblici per la realizzazione di un impianto fotovoltaico. Inizialmente, viene presentata una domanda a nome dell’azienda dell’imprenditore presso un primo ente erogatore. Successivamente, il collaboratore, sostenendo di agire su delega dell’imprenditore, ritira questa domanda per presentarne una nuova, per un importo maggiore, presso un secondo ente.

L’imprenditore, tuttavia, disconosce la firma sulla delega di ritiro, sostenendo che sia stata falsificata dal collaboratore. Decide quindi di sporgere querela, accusandolo di falso. Questa denuncia innesca non solo un procedimento penale ma anche una causa civile intentata dal collaboratore, il quale, ritenendosi ingiustamente accusato, chiede il risarcimento dei danni per denuncia calunniosa.

Il percorso giudiziario è complesso: dopo varie fasi, la Corte d’Appello, in sede di rinvio, rigetta la domanda di risarcimento del collaboratore. Pur riconoscendo l’atto del querelante come “incauto e gravemente colposo”, i giudici ritengono non raggiunta la prova cruciale: la consapevolezza, da parte dell’imprenditore, dell’innocenza del suo ex collaboratore al momento della presentazione della querela.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando il ricorso del collaboratore. I giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibili la maggior parte dei motivi di ricorso, sottolineando che il ricorrente tentava di ottenere un nuovo esame dei fatti, attività preclusa in sede di Cassazione. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di rivalutare le prove, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

Le Motivazioni: L’Onere della Prova nella Denuncia Calunniosa

Il fulcro delle motivazioni della Corte risiede nel principio consolidato in materia di responsabilità civile derivante da una denuncia calunniosa. Per ottenere il risarcimento del danno, non è sufficiente dimostrare che l’accusa si sia rivelata infondata o che l’accusato sia stato assolto. L’attore, ovvero chi si ritiene danneggiato, ha l’onere di provare entrambi gli elementi costitutivi della calunnia:

1. Elemento Oggettivo: La non veridicità dei fatti denunciati.
2. Elemento Soggettivo (Dolo): La piena e certa consapevolezza, da parte del denunciante, dell’innocenza della persona accusata. Questo significa provare che chi ha sporto querela sapeva che il fatto non era stato commesso o non era stato commesso dall’accusato.

Secondo la Corte, in assenza della prova di questo specifico elemento psicologico (il dolo di calunnia), la catena causale tra la denuncia e il danno subito si interrompe. L’attività dell’organo inquirente si sovrappone a quella del privato, e la responsabilità per gli eventuali danni non può essere addebitata al denunciante.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva motivatamente escluso che fosse stata raggiunta la prova di tale consapevolezza in capo all’imprenditore. La Cassazione, non potendo riesaminare questa valutazione di fatto, l’ha ritenuta incensurabile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale a tutela sia del diritto di difesa e di denuncia, sia della protezione contro le accuse infondate. Le implicazioni pratiche sono chiare: chi intende agire in sede civile per ottenere un risarcimento a seguito di una querela ritenuta ingiusta, deve prepararsi a un percorso probatorio rigoroso. Non basta l’assoluzione in sede penale per avere automaticamente diritto al risarcimento. È indispensabile dimostrare, con prove concrete, che il querelante ha agito con la precisa intenzione di accusare un innocente, un compito spesso arduo. La decisione sottolinea quindi la differenza tra una denuncia avventata o colposa, che non genera responsabilità civile, e una dolosamente falsa, l’unica che può dare origine a una condanna per denuncia calunniosa e al conseguente obbligo risarcitorio.

Quando una denuncia infondata fa scattare il diritto al risarcimento del danno?
Una denuncia infondata dà diritto al risarcimento del danno solo se si dimostra che essa integra il reato di calunnia. Ciò richiede la prova non solo che il fatto denunciato non sussiste, ma anche che il denunciante era pienamente consapevole dell’innocenza dell’accusato al momento della presentazione della denuncia.

Chi deve provare che la denuncia era calunniosa in una causa civile per risarcimento danni?
L’onere della prova grava interamente sull’attore, cioè sulla persona che si ritiene danneggiata dalla denuncia. È lui che deve dimostrare in giudizio sia l’elemento oggettivo (falsità dell’accusa) sia l’elemento soggettivo (la consapevolezza del denunciante dell’innocenza dell’accusato).

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti e le prove del processo?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove. Il suo compito è quello di giudice di legittimità, ovvero deve verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente le norme di diritto e che la motivazione della loro decisione sia logica e non contraddittoria. Non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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