Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10395 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10395 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25563/2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difes o dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
nonché
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
-intimati- avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA n. 2135/2020 depositata il 28/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le osservazioni del P.M., nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva NOME COGNOME e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Latina per ottenerne la condanna alla demolizione di un manufatto edificato in violazione delle distanze rispetto al proprio fabbricato (oltre che in assenza di titoli autorizzativi), nonché per la condanna al risarcimento dei danni per limitazione di aria e di luce e per l’imposizione di una servitù illegittima.
I convenuti chiedevano il rigetto.
Il Tribunale ordinava la demolizione per violazione delle distanze prescritte dalle norme integrative del codice civile e rigettava la domanda risarcitoria.
Avverso la sentenza proponeva appello, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. NOME COGNOME, acquirente dell’immobile oggetto della demolizione, censurando la violazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova, poiché non era stato prodotto il regolamento edilizio né il giudice aveva provveduto alla sua acquisizione. Contestava inoltre l’erronea applicazione delle N.T.A. in materia di distanze, richiamando l’art. 31 delle stesse e le prescrizioni relative alla d istanza minima tra pareti finestrate di fabbricati parzialmente prospicienti. Lamentava che la distanza fosse stata calcolata considerando gli sporti, ritenuti inidonei a determinare intercapedini dannose, e sosteneva che parte attrice non avesse provato l’epoca di realizzazione del proprio manufatto.
Si costituivano gli eredi dell’originario attore NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello, mentre restavano contumaci gli altri appellati.
La Corte di appello ha respinto il gravame.
Ha ritenuto infondato il primo motivo di gravame relativo alla mancata acquisizione delle norme secondarie. Ha rilevato che, sebbene nella prima relazione il c.t.u. avesse implicitamente ritenuto applicabile
la distanza di cinque metri tra fabbricati, nella perizia integrativa aveva invece confermato la vigenza della distanza minima di dieci metri prevista dalle N.T.A. del P.R.G. di Minturno, vigente all’epoca dei fatti. Ha osservato inoltre che NOME COGNOME aveva già allegato in citazione il P.R.G. e che non erano state sollevate contestazioni specifiche sui chiarimenti forniti dal c.t.u. Ha ritenuto provata la violazione della distanza minima di dieci metri tra costruzioni, in base alle misurazioni effettua te, escludendo che le generiche deduzioni dell’appellante sulla regolamentazione delle distanze e sulla computabilità degli sporti fossero idonee a infirmare l’esito peritale. Ha dichiarato inammissibile la questione relativa all’epoca di realizzazione della costruzione, qualificandola come domanda nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c. Ha infine ritenuto infondate le deduzioni circa l’inapplicabilità del divieto in assenza di pareti finestrate e di edifici prospicienti, argomentando che l’art. 9 del d.m. 1444 /1968 prescrive una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, applicabile anche nel caso in cui solo una delle due pareti sia finestrata, indipendentemente dall’altezza relativa dei fabbricati. .
Ricorre la parte convenuta con due motivi. Resiste la parte attrice con controricorso e memoria. La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta insistendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 9 co. 2 del d.m. 1444/1968 per omessa acquisizione del regolamento edilizio comunale. Si contesta che la Corte di appello abbia ritenuto provata la violazione della distanza minima tra costruzioni applicando direttamente l’art. 9 del d.m. 1444/1968 e la giurisprudenza di legittimità che ne afferma l’applicabilità anche quando solo una delle due pareti è finestrata, senza considerare il regolamento edilizio vigente nel Comune di
Minturno, che disciplinerebbe in modo specifico e articolato la materia delle distanze. Si afferma che la Corte avrebbe ritenuto sufficiente il solo deposito delle N.T.A. del P.R.G., trascurando che l’art. 31 del regolamento edilizio, pur richiedendo la distanza di 10 metri, distingue diverse ipotesi: stabilisce un criterio di visuale libera con rapporto proporzionale tra distanza e altezza della fronte, vieta l’apertura di finestre nelle parti prospicienti ravvicinate, e consente soluzioni con spigoli a distanza inferiore purché si rispettino altri requisiti. Si deduce che queste prescrizioni non sarebbero state valutate né dalla Corte né dal c.t.u., e che tale omissione avrebbe inciso sulla corretta qualificazione della violazione edilizia. Si lamenta, inoltre, che la Corte abbia incluso nel calcolo delle distanze sporti costituiti da solette non chiuse e privi di caratteristiche idonee a determinare intercapedini dannose, benché la giurisprudenza escluda dal computo distanze simili, trattandosi di elementi privi di volume e non idonei ad ampliare significativamente la superficie utile. Si deduce che non vi sarebbe violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968, poiché il fabbricato della parte convenuta non fronteggia con pareti finestrate quello della parte attrice, che è un rustico senza infissi, e che tra l’abitazione principale e il fabbricato contestato sussiste una distanza superiore a 10 metri. Si contesta, pertanto, l’omessa verifica dell’effettiva situazione di frontalità tra pareti, ritenuta condizione per l’applicazione dell’art. 9 citato. Infine, si richiamano anche la mancata prova della legittimità del casotto della controparte, il fatto che la costruzione contestata era ancora in fase di realizzazione, la pendenza della procedura di sanatoria e l’impatto della futura normativa (cosiddetta «Sblocca cantieri») sulla disciplina delle distanze nelle zone agricole, ritenendo che tutto ciò avrebbe dovuto condurre a diversa conclusione.
Il motivo è infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata (v. pag. 2), l’attore aveva invocato la violazione, da parte dei convenuti, di distanze tra costruzioni rispetto al proprio fabbricato costruito sul confine.
La Corte di appello ha quindi individuato, sulla scorta dei rilievi peritali, la normativa applicabile, richiamando le NTA del PRG di Minturno e la classificazione della zona, accertando che la distanza tra costruzioni deve essere di 10 metri (v. pagg. 4 e 5 sentenza).
La Corte di appello ha poi accertato in fatto la distanza tra il fabbricato rustico dei convenuti rispetto al manufatto adibito a deposito attrezzi dell’attore, accertando una distanza variabile tra mt 5,70 e 5,40, quindi inferiore ai 10 metri prescritti.
Ha anche rilevato -sempre con accertamento in fatto che non si espone a censure in sede di legittimità – la presenza di una parete finestrata (v. pagg. 5 e 6) e ha ritenuto generiche le deduzioni sugli sporti ai fini del calcolo delle distanze.
Quanto alla questione sulla prova della liceità del manufatto dell’attore, la ricorrente non precisa quando la questione è stata dedotta nel giudizio di merito, né essa risulta affrontata dalla sentenza impugnata, per cui essa è da qualificare come questione di diritto nuova, implicante accertamenti in fatto, quindi inammissibile (cfr. tra le tante, Sez. 2 – , Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019).
Quanto alla questione della frontistanza, la censura è infondata: cfr. Cass. 22054/2018, nonché 24936/2024, tra le tante: ove si afferma che le norme dei regolamenti edilizi che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinato distacco tra le costruzioni e il confine sono volte non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell’assetto urbanistico, così che, ai fini
del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 872 co. 1 e 2 c.c. in relazione alla demolizione del fabbricato. Si afferma che la Corte di appello avrebbe erroneamente confermato la demolizione totale del manufatto senza considerare che, in caso di violazione delle distanze legali, può essere disposta solo la riduzione in pristino limitatamente alla parte in contrasto con la norma. Si richiama la giurisprudenza secondo cui l’accertamento dell’illegittimità edilizia non è di per sé sufficiente a giu stificare la demolizione dell’intero fabbricato se la violazione può essere sanata con una riduzione parziale.
Questo motivo è invece fondato.
In questa materia vige il principio di proporzionalità in relazione al contenuto del provvedimento di tutela giurisdizionale, nel senso che esso è chiamato a realizzare integralmente l’interesse sostanziale protetto dal diritto accertato in giudizio con il minor sacrificio dell’interesse dell’obbligato. In particolare, deve essere disposta la condanna all’arretramento invece che alla totale demolizione quando la prima tuteli integralmente gli interessi protetti dal diritto di veduta o dal rispetto delle distanze legali tra costruzioni o delle distanze delle costruzioni dai confini (cfr. Cass. 5080/2025, cui si rinvia per ulteriori precedenti).
Nel caso di specie, la Corte di appello, discostandosi da tale insegnamento, ha confermato drasticamente la demolizione senza accertare se la (fondata) domanda di tutela della parte attrice potesse essere soddisfatta integralmente attraverso l’arretrament o della costruzione. La sentenza impugnata deve essere cassata affinché il giudice di rinvio, attenendosi al citato principio valuti la possibilità di una riduzione del manufatto nei limiti delle distanze legali.
Il giudice di rinvio (Corte di appello di Roma, in diversa composi-