Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21292 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21292 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13415/2020 R.G. proposto da:
CONDOMINIO ‘RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrenti-ricorrenti incidentali-
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
NOME
-intimato- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 818/2019 depositata il 13/12/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.
Uditi l’avv. COGNOME per i ricorrenti, l’avv. COGNOME su delega per COGNOME e l’avv. COGNOME per i ricorrenti incidentali.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e COGNOME NOME, proprietari di un immobile in Pordenone, hanno chiamato in giudizio l’impresa RAGIONE_SOCIALE, lamentando che la convenuta, nel ristrutturare un vecchio edificio, era incorsa nella violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni. Chiesero, pertanto, la riduzione in pristino. Il contraddittorio, su eccezione della convenuta, venne esteso a COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali attuali proprietari del fabbricato. Fu chiamato nel giudizio, inoltre, il Condominio ‘Residenza Lia’, per le parti comuni dello stabile.
Il Tribunale ha rigettato la domanda e la sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Trieste. La decisione d’appello è stata cassata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 15529 del 2015. Il giudice di legittimità rimproverò ai giudici di merito di non avere correttamente interpretato la portata precettiva dell’art. 9, comma 2, del d.m. n.1444 del 1968, il quale accordava agli attori, nel caso in esame, il diritto all’arretramento. La Corte di cassazione, con la stessa sentenza, ritenne di non poter decidere nel merito, essendo necessario verificare «in quali limiti potrà essere disposto l’arretramento».
Riassunta la causa, la Corte d’appello di Trieste, quale giudice di rinvio, eseguita l’istruzione mediante consulenza tecnica, accoglieva il gravame; quindi, in riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone, condannava i convenuti in solido alla demolizione dell’ultimo piano di fabbrica del Condominio sito in Pordenone, INDIRIZZO «nella parte relativa al solo ente subalterno 16, di proprietà di COGNOME NOME e NOME» (nella identificazione della porzione da demolire, il dispositivo della decisione richiama quanto indicato nella planimetria ‘dell’elaborato dd. 18.02.2019 dell’ing. NOME COGNOME). La condanna alla demolizione era estesa dalla sentenza, ‘per le sole parti comuni’, nei confronti del Condominio’ RAGIONE_SOCIALE‘.
La Corte d’appello, in motivazione, ha osservato che l’azione di demolizione, in linea di principio, avrebbe dovuto essere promossa nei confronti anche di altri soggetti, essendo emerso che c’erano altre porzioni, appartenenti a soggetti non chiamati in giudizio, collocate, ‘anche se per poco, all’interno della fascia di rispetto’. Nondimeno, secondo la Corte triestina, il carattere chiuso del giudizio di rinvio impediva di rilevare l’originario difetto di
contraddittorio. La sentenza aggiungeva, quanto ai profili riguardanti la fattibilità e i modi della demolizione («avuto riguardo sia alle ‘strutture’, che alla ‘sicurezza sismica’, non disgiunte dai profili architettonici (trattandosi di demolizione parziale), di impiantistica e di contenimento energetico’ ), che gli stessi erano estranei alla cognizione, dovendo essere piuttosto affrontati dal giudice dell’esecuzione.
Per la cassazione della decisone hanno proposto separati ricorsi l’RAGIONE_SOCIALE e il Condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, entrambi sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi COGNOME NOME e COGNOME NOME, proponendo ricorso incidentale condizionato al ricorso dell’Impresa COGNOME, affidato a un unico motivo.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
NOME resta intimato.
I ricorrenti principali e incidentali hanno depositato memoria.
Il Procuratore Generale, nelle proprie conclusioni scritte, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di entrambi i ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I due ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). Il ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE, previamente notificato (11 maggio 2020), è da considerarsi ricorso principale, mentre quello del condominio RAGIONE_SOCIALE, notificato il 12 maggio 2020, assume la veste di ricorso incidentale.
Il collegio ritiene di dover esporre ed esaminare in via prioritaria il ricorso del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
2.1. Il primo motivo del ricorso del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE denunzia la violazione di una pluralità di norme processuali e la
violazione dell’art. 2909 c.c. Si sostiene che, relativamente all’integrità del contraddittorio, non poteva essersi formato il giudicato, perché solo nel giudizio di rinvio era emerso, per la prima volta, che c’erano altre porzioni del medesimo edificio, appartenenti a soggetti non evocati nel giudizio poste anch’esse poste a distanza dal fabbricato degli attori inferiore a quella prescritta.
Il primo motivo è infondato. L’azione di riduzione in pristino deve essere proposta nei confronti di tutti i proprietari della costruzione della quale si chiede l’abbattimento, quali litisconsorti necessari (517/1964; n. 8949/2009).
L’esistenza di altre porzioni immobiliari ubicate a distanza non legale, in assenza di domanda, non rendeva i proprietari litisconsorti necessari. È anche vero ciò che dice la Corte: il difetto di contraddittorio, nel nostro caso inesistente, non poteva essere rilevato nel giudizio di rinvio. Vale infatti il principio che «nel giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione, non può essere eccepita o rilevata di ufficio la non integrità del contraddittorio a causa di un’esigenza originaria di litisconsorzio (art. 102 c.p.c.) quando tale questione non sia stata dedotta con il ricorso per cassazione e rilevata dal giudice di legittimità, dovendosi presumere che il contraddittorio sia stato ritenuto integro in quella sede, con la conseguenza che nel giudizio di rinvio e nel successivo giudizio di legittimità possono e devono partecipare, in veste di litisconsorti necessari, soltanto coloro che furono parti nel primo giudizio davanti alla Corte di cassazione» (Cass. n. 21096/2017; n. n. 1075/2011; 5061/2007; v. altresì Cass. n. 7761/2021, con la quale è stata cassata la decisione del giudice di rinvio, il quale aveva pensato di poter proporre un ragionamento analogo a quello
fatto dal condominio ricorrente, e cioè che la preclusione si applicherebbe nel solo caso in cui ‘la problematica del difetto di contraddittorio non fosse mai venuta fuori nei precedenti gradi di merito’. In quella occasione la Corte rilevò che «il ragionamento si scontra con la formulazione stessa del principio, per cui deve ritenersi che la Corte di cassazione abbia ritenuto il contraddittorio integro in quella sede»).
2.2. Il secondo motivo del ricorso del condominio ‘Residenza Lia denunzia violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968 e dell’art. 384 c.p.c.: la Corte di cassazione, con la pronunzia richiamata in narrativa (n. 15529/2015), aveva lasciato intendere che la norma dell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 era inderogabile, il che impediva di concepire la demolizione parziale ordinata con la sentenza impugnata dalla Corte triestina, dovendo la demolizione riguardare tutto quanto realizzato in violazione della stessa norma inderogabile. Secondo il condominio ricorrente, la stessa sentenza di cassazione n. 15529 del 2015, nel demandare al giudice di rinvio la verifica dei ‘limiti’, entro i quali avrebbe potuto essere disposto l’arretramento, impedirebbe di concepire l’applicazione parziale della norma infine ipotizzata dalla Corte d’appello.
Il secondo motivo è infondato. L’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 è certamente inderogabile, ma l’inderogabilità non va intesa nel senso che il privato, il quale subisca la violazione ad opera di diversi proprietari, debba agire nei confronti di tutti. La norma, nei rapporti fra privati, si traduce nel riconoscimento del diritto soggettivo del vicino di chiedere l’arretramento. Il convenuto, destinatario dell’azione, non può certamente pensare di poter evitare le conseguenze della violazione, indicando che ci sono altri proprietari nelle medesime condizioni. Il riferimento contenuto
nella sentenza di cassazione con rinvio, ‘ai limiti’ entro i quali avrebbe potuto essere disposto l’arretramento, a torto enfatizzato dai ricorrenti, alludeva alla necessità di verificare le porzioni da demolire, ma pur sempre nei limiti soggettivi segnati della domanda. Altra questione è se la demolizione fosse attuabile senza coinvolgere porzioni di soggetti terzi e senza pregiudizio per l’edificio. Questa è oggetto del terzo motivo del ricorso proposto dal condominio, di seguito riassunto.
2.3. Il terzo motivo del ricorso del condominio ‘Residenza Lia’ denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 871 e 872 c.c. e, inoltre, del principio ricavabile dall’art. 1127, comma 2, c.c.; denunzia inoltre omesso esame di un fatto decisivo, identificato nelle problematiche legate all’applicabilità della normativa antisismica, che erano state diffusamente trattate dall’attuale ricorrente nella comparsa di costituzione in sede di rinvio.
Il terzo motivo è infondato. La tesi di fondo che ispira la censura, ancora ripresa nella memoria, è che il giudice della cognizione, pur avendo accertato la violazione delle norme sulle distanze, non potrebbe ordinare un arretramento ‘parziale’ se non all’esito di una valutazione eminentemente tecnica del pregiudizio statico-edilizio dell’edificio nel suo complesso.
La tesi non essere condivisa. È decisivo in proposito operare un parallelo con la costante giurisprudenza amministrativa, formatasi con riguardo alla norma nazionale contenuta nell’art. 34 testo unico sull’edilizia di cui al d.p.r. n. 380 del 2001: «Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o
demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al triplo del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al triplo del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale».
In proposito è principio pacifico nella giurisprudenza amministrativa che l’ordinanza di demolizione, emanata ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. n. 380 del 2001, costituisce un provvedimento vincolato, la cui auspicata sostituzione con una sanzione pecuniaria può essere valutata dall’Amministrazione soltanto in un secondo momento, successivo ed autonomo, rispetto all’ordine di demolizione, e solo se risulti che la demolizione materiale degli abusi inciderebbe senz’altro sulla statica dell’intero edificio (Consiglio di Stato n. 2001/2013; n. 10340/2022; n. 8808/2022; n. 10080/2022).
Mutatis mutandis , il medesimo schema logica è applicabile nel giudizio civile, in presenza di una demolizione che si atteggi come parziale rispetto a un più ampio edificio. Anche in questo caso i presupposti per applicare la tutela risarcitoria pecuniaria in luogo della demolizione non attengono alla legittimità di quest’ultima, ma possono eventualmente rilevare nella relativa fase dell’esecuzione, previa dimostrazione dell’interessato, in quella sede, dei rischi per la sicurezza statica dell’edificio da demolire.
La sentenza impugnata è conforme a tali principi. In presenza di un ordine demolizione ‘parziale’ nel senso sopra indicato, le questioni comprendenti il profilo statico e la normativa antisismica esulano
dall’ambito della cognizione, dovendo essere proposte in sede esecutiva. Si ricorda ancora che «in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l’ordinanza di cui all’art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell’attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo, e solo nel caso, in cui, se richiesto, la P.A. non rilasci il provvedimento necessario, il diritto dell’esecutante si converte in quello ad essere risarcito del correlativo danno» (Cass. n. 13071/2007; n. 10959/2010).
2.4. Il quarto motivo del ricorso del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c.: il ricorrente si duole della propria condanna alle spese dell’intero giudizio, che non si giustificava essendosi costituito solo nel giudizio di rinvio, mentre era rimasto contumace nelle fasi precedenti.
Il quarto motivo è manifestamente infondato. Sul punto è sufficiente richiamare l’univoco indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «in tema di spese processuali, il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo, sicché la stessa non è esclusa dalla circostanza che la parte, una volta convenuta in giudizio, sia rimasta contumace» (Cass. n. 5813/2023; n. 13498/2018).
Il primo motivo dell’impresa Biscontin denuncia violazione di una pluralità di norme processuali (articoli 100, 101, 102, 161, 324,
254, 394, 395 n. 5 c.p.c.); denunzia, inoltre, violazione dell’art. 2909 c.c. e 111 Cost.: la Corte d’appello, nel disporre la demolizione, ha reso destinatari della pronunzia soggetti estranei alla lite, inclusi i condomini del condominio ‘Residenza Lia’, i quali, coinvolgendo l’azione promossa anche la demolizione di parti comuni, non erano rappresentati nel giudizio dall’amministratore. Si aggiunge che le problematiche riguardanti le modalità dell’abbattimento avrebbero dovuto costituire oggetto del giudizio di cognizione, non essendo consentito delegarne la soluzione al giudice dell’esecuzione, come invece fatto dalla Corte triestina. La ricorrente sottolinea in proposito che il modo tipico dell’esecuzione delle sentenze è quello spontaneo.
La sintesi del motivo rende chiaro che esso propone censure già esaminate è disattese nell’esame del ricorso del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, che sono conseguentemente infondate per le medesime ragioni. Il motivo in esame, in effetti, si diversifica dal ricorso del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per un solo aspetto. Si sostiene che il giudice di rinvio avrebbe ordinato la demolizione di immobili appartenenti a soggetti mai evocati in giudizio e, in ogni caso, la demolizione di parti comuni dell’edificio, per le quali l’azione andava proposta personalmente nei confronti dei condomini, non operando la rappresentanza dell’amministratore.
Tali censure ulteriori sono manifestamente infondate. Quanto al primo assunto, e cioè che il giudice di rinvio avrebbe ordinato la demolizione di porzioni di proprietà di soggetti non evocati in giudizio, lo stesso trova nella sentenza una secca smentita. La logica che ispira la sentenza è erronea, ma, come sopra chiarito, l’errore è altrove, e cioè nell’avere ritenuto che l’azione andasse originariamente estesa a soggetti non chiamati nel giudizio. Ma
appunto, rispetto a tali soggetti, la decisione si è limitata a tale erronea considerazione di principio, non tradottasi in alcuna statuizione positiva nei confronti di quegli stessi soggetti. Quanto all’abbattimento delle parti comuni dell’edificio, il rilievo del supposto difetto del contraddittorio è precluso in applicazione dei medesimi principi già richiamati nell’esame del primo motivo del ricorso del condominio ‘Residenza Lia’. Anzi, in relazione al profilo sollevato dall’Impresa COGNOME, essendo il condominio ‘Residenza Lia’ già parte del giudizio a partire dal primo grado, non è neanche proponibile il rilievo, errato per quanto si è detto, che il supposto difetto di contraddittorio sarebbe emerso solo nel giudizio di rinvio. Si rileva comunque, per completezza di esame, che, secondo la giurisprudenza della Corte, la legittimazione passiva dell’amministratore è stata talvolta riconosciuta anche nel caso in cui l’azione sia diretta a ottenere la rimozione di opere comuni (Cass. n. 1485/1996; n. 21506/2024).
Gli altri tre motivi del ricorso proposto dall’Impresa RAGIONE_SOCIALE sono identici ai primi tre motivi di ricorso proposti dal Condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Essi sono conseguentemente rigettati per le stesse ragioni, alle quali non occorre aggiungere altro.
L’unico motivo del ricorso incidentale condizionato di COGNOME e COGNOME denunzia, sub specie di violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968 e dell’art. 873 c.c., l’errore in cui è incorsa la decisione impugnata per avere ritenuto che, in linea di principio, il contraddittorio avrebbe dovuto essere esteso nei confronti di tutti i proprietari delle porzioni poste a distanza non legale.
Il ricorso incidentale è assorbito.
In conclusione, devono essere rigettati sia il ricorso del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sia il ricorso dell’Impresa COGNOME
RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE I ricorrenti debbono essere condannati in solido al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre sono compensate le spese fra altre parti del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi del condominio ‘RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite in favore dei controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, liquidate in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; compensa le spese fra le altre parti del giudizio; sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei due ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda