LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Demansionamento: risarcimento con prova presuntiva

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un’emittente televisiva al risarcimento del danno per demansionamento nei confronti di una sua giornalista. La Corte ha stabilito che la prova del danno professionale può essere fornita anche tramite presunzioni, come la durata della dequalificazione e il blocco della crescita professionale, validando la liquidazione equitativa del danno al 20% della retribuzione mensile.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento: Quando la Prova Presuntiva Basta per il Risarcimento

Il demansionamento sul posto di lavoro rappresenta una delle violazioni più lesive della dignità e della professionalità del lavoratore. Ma come si dimostra il danno subito? È sempre necessario fornire una prova quantitativa precisa? Con la recente ordinanza n. 45/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per ottenere il risarcimento del danno da demansionamento, la prova può essere raggiunta anche tramite presunzioni. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Lunga Dequalificazione di una Giornalista

Una nota giornalista, redattrice ordinaria presso un’importante emittente televisiva, aveva ricoperto ruoli di prestigio come conduttrice e inviata speciale a partire dal 2003. Tuttavia, dal luglio 2007, la lavoratrice aveva subito un progressivo e ingiustificato demansionamento. Già una precedente sentenza, passata in giudicato, aveva accertato questa dequalificazione, condannando l’azienda a riassegnare mansioni equivalenti.

Nonostante ciò, la condotta aziendale è proseguita. La lavoratrice ha quindi avviato una nuova causa per il periodo successivo, dal 30 luglio 2009 al 25 giugno 2015, chiedendo il risarcimento del danno professionale subito. Mentre il Tribunale aveva riconosciuto il demansionamento ma negato il risarcimento per mancata specificazione del danno, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, concedendo alla giornalista un risarcimento pari al 20% della retribuzione mensile per tutto il periodo contestato.

Il Ricorso in Cassazione e le Ragioni del Datore di Lavoro

L’azienda ha impugnato la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali:

1. Inammissibilità dell’appello: L’azienda sosteneva che l’atto di appello della lavoratrice non fosse sufficientemente specifico nel criticare la sentenza di primo grado.
2. Mancanza di prova del danno: Secondo il datore di lavoro, la Corte d’Appello aveva errato nel riconoscere un danno basandosi solo su presunzioni, confondendo l’inadempimento contrattuale (il demansionamento) con l’esistenza effettiva di un pregiudizio.
3. Vizio di ultra petizione: L’azienda lamentava che i giudici avessero riconosciuto un danno i cui elementi costitutivi non erano stati adeguatamente allegati nell’atto introduttivo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione: la Prova del Danno da Demansionamento

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la sentenza d’appello e fornendo chiarimenti cruciali sulla prova del danno da demansionamento.

In primo luogo, i giudici hanno ritenuto l’appello della lavoratrice pienamente ammissibile, poiché contestava in modo chiaro e specifico i punti della decisione di primo grado, in particolare il negato risarcimento del danno.

Il punto centrale della decisione riguarda il secondo motivo. La Suprema Corte ha ribadito un orientamento consolidato: la prova del danno professionale può essere desunta anche da elementi presuntivi. Il giudice di merito, con un accertamento in fatto adeguatamente motivato, può basarsi su una serie di indici per affermare l’esistenza del pregiudizio. Nel caso di specie, gli elementi valorizzati sono stati:

* La durata della dequalificazione: un lungo periodo di inattività forzata o di svolgimento di compiti inferiori è di per sé un indicatore di danno.
* L’entità del demansionamento: la notevole differenza tra le mansioni di prestigio precedentemente svolte e quelle, quasi nulle, assegnate successivamente.
* La preclusione alla crescita professionale: l’impossibilità per la giornalista di arricchire il proprio bagaglio di esperienze e di rimanere aggiornata nel suo settore.
* Il comportamento aziendale: l’atteggiamento elusivo del datore di lavoro, che non aveva ottemperato a un precedente ordine del giudice.

Sulla base di questi elementi, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici d’appello di liquidare il danno in via equitativa, quantificandolo nel 20% della retribuzione mensile. Questa determinazione, essendo frutto di un potere discrezionale esercitato con adeguata motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità.

Infine, è stato respinto anche il terzo motivo, poiché tutti i fatti alla base della richiesta di risarcimento (durata, mansioni, lesione alla carriera) erano stati chiaramente allegati fin dall’inizio del giudizio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore contro il demansionamento. Il principio chiave è che il danno alla professionalità non è un’entità astratta che richiede prove documentali complesse. Può essere logicamente dedotto dalle circostanze concrete del rapporto di lavoro. Per i datori di lavoro, il messaggio è chiaro: dequalificare un dipendente non è una scelta priva di conseguenze economiche. La persistenza in una condotta illegittima, unita alla manifesta mortificazione professionale del lavoratore, costituisce un solido fondamento per una richiesta di risarcimento del danno, che il giudice può liquidare anche in via equitativa sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti.

È sempre necessario provare con documenti specifici il danno da demansionamento per ottenere un risarcimento?
No, la Corte di Cassazione ha confermato che il danno professionale da demansionamento può essere provato anche tramite elementi presuntivi, ovvero dedotto logicamente da fatti noti come la durata della dequalificazione, la natura delle mansioni e il comportamento del datore di lavoro.

Come viene calcolato l’importo del risarcimento per demansionamento?
Nel caso specifico, il risarcimento è stato liquidato in via equitativa, cioè secondo una valutazione di giustizia del giudice, nella misura del 20% della retribuzione mensile per ogni mese di demansionamento, basandosi su un accertamento in fatto adeguatamente motivato.

La prova del danno da demansionamento può basarsi sul comportamento del datore di lavoro?
Sì, la Corte ha considerato il comportamento aziendale volutamente elusivo di un precedente ordine del giudice come uno degli indici presuntivi per affermare l’esistenza del danno e determinare il relativo risarcimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati