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Demansionamento: ricorso inammissibile senza vizi di legge

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente pubblico che lamentava un presunto demansionamento. La Corte ha stabilito che il ricorso, pur denunciando violazioni di legge, mirava in realtà a una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta al giudice di legittimità. La decisione della Corte d’Appello, che aveva escluso il demansionamento e il mobbing pur riconoscendo un danno all’immagine, è stata quindi confermata in quanto basata su un’analisi fattuale non sindacabile in Cassazione.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

Il tema del demansionamento nel pubblico impiego è fonte di numeroso contenzioso. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre spunti cruciali per comprendere i limiti del giudizio di legittimità, chiarendo quando un ricorso per demansionamento rischia di essere dichiarato inammissibile. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti di causa: da vice-segretario a presunta vittima di mobbing

Un dipendente di un ente comunale, assunto con la qualifica di vice-Segretario e posizione dirigenziale, si rivolgeva al Tribunale lamentando di aver subito un progressivo svuotamento delle proprie mansioni e condotte di mobbing. In particolare, il ricorrente sosteneva che l’attribuzione dei ruoli di Segretario Comunale e Direttore Generale a un’unica altra figura avesse portato all’avocazione di sue competenze, riducendo drasticamente il suo ruolo all’interno dell’amministrazione.

Il Tribunale, in primo grado, rigettava integralmente la domanda del dipendente.

La decisione della Corte d’Appello: nessun demansionamento, solo danno all’immagine

In secondo grado, la Corte d’Appello riformava parzialmente la decisione. Pur escludendo la sussistenza di un vero e proprio demansionamento o di condotte riconducibili al mobbing, riconosceva al lavoratore un risarcimento di 6.000 euro per il danno non patrimoniale derivante dalla lesione della sua immagine e per la sofferenza morale patita.

La riorganizzazione delle competenze

La Corte territoriale riteneva che il conferimento del doppio incarico di Segretario Comunale e Direttore Generale a un’altra persona giustificasse la riorganizzazione delle competenze. Tale avocazione di alcune funzioni, secondo i giudici, non si traduceva in uno svuotamento del ruolo del ricorrente né in un illecito demansionamento, ma rientrava in una legittima scelta organizzativa dell’ente.

L’esclusione del mobbing

Analogamente, la Corte d’Appello escludeva la configurabilità del mobbing. Gli episodi di attrito tra il dipendente e il nuovo Direttore Generale venivano ricondotti a una generica situazione di conflittualità lavorativa, priva però dell’elemento soggettivo del dolo e della sistematicità persecutoria che caratterizzano il mobbing.

Le motivazioni della Cassazione sul ricorso per demansionamento

Il lavoratore, non soddisfatto, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’errata interpretazione e applicazione delle norme che regolano le competenze dei dirigenti e del Segretario Comunale (in particolare gli artt. 97, 107 e 108 del D.Lgs. n. 267/2000). Sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente ritenuto legittima la sottrazione di competenze, che a suo avviso integrava un evidente demansionamento.

La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la propria decisione su un principio cardine del giudizio di legittimità.

Il divieto di riesaminare i fatti

La Cassazione ha chiarito che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio dove poter rivalutare i fatti della causa. Il ricorso, sebbene formalmente incentrato sulla violazione di norme di diritto, mirava in realtà a ottenere una nuova e diversa valutazione delle condotte e delle circostanze di fatto già esaminate dai giudici di merito. La Corte d’Appello aveva concluso che le condotte lamentate costituivano “mero fatto” e non erano idonee a integrare un demansionamento. Tentare di rovesciare questa conclusione significa chiedere alla Cassazione un riesame del merito, cosa che le è preclusa.

La mancata critica alla ‘ratio decidendi’

Il motivo di ricorso, inoltre, non si confrontava adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’Appello non aveva basato la sua decisione su un’interpretazione dell’ambito formale delle competenze, ma su una valutazione concreta delle condotte. Il ricorrente, invece di contestare specificamente questo ragionamento fattuale (nei limiti consentiti in Cassazione), si è limitato a svolgere considerazioni astratte e generali sui poteri degli organi comunali. Questo scollamento tra la censura proposta e la reale motivazione della sentenza ha contribuito a rendere il ricorso inammissibile.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi intende ricorrere in Cassazione deve essere in grado di individuare un vizio di legittimità (una violazione o falsa applicazione di norme di diritto), senza pretendere che la Suprema Corte si trasformi in un giudice dei fatti. Nel contesto del demansionamento, ciò significa che non è sufficiente contestare genericamente la riorganizzazione delle mansioni, ma è necessario dimostrare che la Corte d’Appello abbia commesso un errore nell’applicare la legge ai fatti così come li ha accertati. Se la decisione si fonda su una valutazione prettamente fattuale, come nel caso di specie, le possibilità di successo del ricorso si riducono drasticamente.

Perché la Corte d’Appello ha escluso il demansionamento pur riconoscendo un danno all’immagine?
La Corte d’Appello ha ritenuto che la riorganizzazione delle competenze, con l’avocazione di alcune funzioni da parte di un superiore gerarchico (il Segretario/Direttore Generale), fosse una scelta organizzativa legittima dell’ente e non uno svuotamento illecito delle mansioni del dipendente. Ha però ravvisato in tale situazione una lesione dell’immagine e una sofferenza morale meritevoli di risarcimento.

Per quale motivo principale la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché, dietro l’apparente denuncia di una violazione di legge, il ricorrente chiedeva in realtà una nuova valutazione dei fatti già accertati dal giudice di merito. Il compito della Corte di Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità), non riesaminare le prove e i fatti (giudizio di merito).

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti compiuta da un giudice d’appello?
No, di regola non è possibile. Il ricorso in Cassazione può essere proposto solo per i motivi tassativamente indicati dalla legge, che attengono a violazioni di norme giuridiche o a vizi logici della motivazione, ma non può avere ad oggetto una semplice riconsiderazione delle prove o una diversa ricostruzione dei fatti storici operata nei gradi di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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