Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2419 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2419 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
Oggetto
Demansionamento
– Risarcimento danno
R.G.N. 18424/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/11/2023
CC
ORDINANZA
sul ricorso 18424-2021 proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
avverso la sentenza n. 2395/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/12/2020 R.G.N. 3494/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che :
La Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello di NOME COGNOME e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento, in favore della dipendente, del danno, patrimoniale e non patrimoniale, conseguente al demansionamento dalla stessa subito nel periodo dal 29.5.2012 al 30.9.2014 e al versamento dell’indennità sostitutiva del preavviso sul presupposto della giusta causa di dimissioni.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Collegio si Ł riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
4. Con il primo motivo di ricorso la società ha dedotto la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale giudicato incontestato il contenuto delle e-mail, su cui si fonda la decisione, in contrasto col principio secondo cui la contestazione può riguardare le allegazioni ma non le prove offerte dalle parti; inoltre, sul rilievo che una contestazione specifica vi era comunque stata, attraverso una particolareggiata contro narrazione e adeguata capitolazione delle prove in replica; infine, segnala il carattere frammentario e dialogico delle e-mail, inidonee, come tali, a costituire l’unica o principale fonte di prova, addirittura per un periodo di 28 mesi di preteso demansionamento.
5. Con il secondo motivo di ricorso la società denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 2103 e all’art. 1460 cod. civ, osservando che le testimonianze raccolte evidenziano fatti decisivi e controversi immotivatamente trascurati.
I due motivi, che possono essere trattati unitariamente, sono inammissibili.
Il principio di non contestazione trova fondamento nell’art. 416 c.p.c. che impone al convenuto l’onere di prendere subito immediata e precisa posizione, a pena di decadenza, in ordine ai fatti asseriti dall’attore, con la conseguenza che la mancata contestazione dei fatti costitutivi della domanda vincola il giudice a ritenerli sussistenti, sempre che si tratti di fatti primari, cioŁ costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio dall’attore o dal convenuto che agisca in riconvenzionale, mentre i fatti secondari vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria – possono contestarsi in ogni momento (Cass. n. 1878 del 2012; n. 18202 del 2008; S.U. n. 11353 del 2004; S.U. n. 761 del 2002).
Nel caso in esame, premesso che le e-mail rappresentavano fatti dedotti in funzione probatoria, rispetto ai quali non opera il principio di non contestazione, deve rilevarsi che la Corte di merito non ha posto a base della decisione il contenuto delle e-mail considerando i fatti in esse rappresentati come non contestati e quindi non necessitanti di prova, ma ha
accertato che l’autenticità di tale corrispondenza non era stata contestata dalla società al solo fine di poter utilizzare la stessa a fini probatori.
Appurata l’autenticità di tale corrispondenza, i giudici di appello hanno proceduto ad una dettagliata e complessiva valutazione (pag. 6 -8 della sentenza) del materiale probatorio raccolto, comprensivo delle prove testimoniali assunte, e, alla luce delle declaratorie contrattuali, hanno ritenuto che alla dipendente, nel periodo in contestazione, non fossero state assegnate mansioni corrispondenti all’inquadramento attribuito o, comunque, compatibili col bagaglio professionale in concreto acquisito.
Le censure mosse con i motivi di ricorso in esame si indirizzano sul contenuto di tale valutazione e contestano il maggior peso attribuito ai dati risultanti dalle e-mail rispetto a quanto riferito dai testimoni o il fatto di avere i giudici trascurato o male interpretato le deposizioni testimoniali, ma simili critiche fuoriescono dai confini segnati dall’art. 360 n. 5 c.p.c. e risultano inammissibili in questa sede di legittimità (v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014).
Neppure Ł configurabile la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., che presuppone, come piø volte precisato da questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed Ł rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioŁ una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale, requisiti assenti nel caso di specie e neanche prospettati nei termini appena enunciati.
Per le ragioni esposte, il ricorso risulta inammissibile.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 9.11.2023