Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31256 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31256 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25859/2020 R.G. proposto
da
COGNOME NOME COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
PROVINCIA VICENZA , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato – Demansionamento – Risarcimento danni
R.G.N. 25859/2020
Ud. 06/11/2024 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 1132/2019 depositata il 29/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1132/2019, depositata in data 29 luglio 2019, la Corte d’appello di Milano, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 2972/2017, pubblicata in data 3 febbraio 2017 ed in accoglimento solo parziale delle domande originariamente proposte da NOME COGNOME ha condannato la PROVINCIA DI VICENZA, alla corresponsione, in favore dell’odierno ricorrente , della somma di € 15.200,81 a titolo di differenze sull’importo dell’indennità di posizione.
Come già sintetizzato nella precedente decisione di questa Corte, NOME COGNOME aveva adito il Tribunale di Vicenza esponendo:
-di essere dipendente di ruolo della Provincia di Vicenza, inquadrato nell’area dirigenziale dal 10 maggio 1999, e di essere stato nominato Capo settore edilizia dell’area 4 Lavori pubblici, collocato al livello 20 nelle posizioni dirigenziali dell’Ente;
-di essere stato nel marzo 2001 privato dell’incarico di responsabile del settore edilizia dell’area lavori pubblici, e ciò a causa -secondo il COGNOME – della posizione assunta dal ricorrente in relazione all’incarico di progettazione e direzione dei lavori di risanamento di un liceo di Vicenza;
-di avere ricevuto con decreto n. 6/13901 del 9 marzo 2001, dal Presidente della Provincia, l’incarico di Capo settore protezione civile e servizio di sicurezza 629, incarico compreso nell’area “territorio e ambiente” ed inferiore in termini di retribuzione di posizione e di collocamento nelle posizioni dirigenziali dell’ente rispetto a quello per il quale aveva chiesto e ottenuto la mobilità, nonostante lo stesso COGNOME avesse comunicato di non possedere i requisiti necessari per svolgere tali compiti;
-di avere ricevuto dal nucleo di valutazione una valutazione delle prestazioni dirigenziali per l’anno 2000 di soli 66 punti (punteggio poi attribuito dalla Giunta provinciale), con conseguente erogazione di sole £ 7.000.000 a fronte della somma di £ 18.000.000 di norma erogata al restante personale dirigenziale:
-di aver ricevuto per l’anno 2001 una valutazione negativa dei comportamenti dirigenziali da parte del nucleo di valutazione senza ottenere riscontro alla richiesta di parere al Comitato dei garanti;
-di aver ricevuto con decreto del 24 marzo 2003 il nuovo incarico di Dirigente del settore interventi ambientali, con livello economico annuo della retribuzione di posizione inferiore addirittura a quello di Capo servizio protezione civile e servizio sicurezza 626, e quindi ulteriormente inferiore a quello goduto in qualità di Capo settore edilizia.
Sulla base di tali premesse NOME COGNOME aveva dedotto di essere stato illegittimamente dequalificato, chiedendo pertanto la condanna della PROVINCIA DI VICENZA al risarcimento dei danni.
Respinta la domanda sia da parte del Tribunale di Vicenza sia da parte della Corte d’appello di Venezia, questa Corte, con la già citata sentenza n. 2972/2017 del 3 febbraio 2017, aveva accolto uno dei motivi di ricorso del COGNOME, cassando la decisione della Corte d’appello di Venezia, con rinvio alla Corte d’appello di Milano.
Nella decisione qui impugnata, l a Corte d’appello di Milano ha rammentato, in primo luogo, il principio enunciato da questa Corte nella sentenza n. 2972/2017, e cioè che con riguardo all’istituto della revoca anticipata di cui all’ art. 22 del CCNL dirigenza enti locali del 1996 e all’art. 13 del CCNL dirigenza enti locali del 1999, ai fini della salvaguardia dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione, la revoca deve essere adottata con un atto formale e deve essere motivata in modo esplicito e che le ragioni organizzative, per costituire legittimo fondamento della revoca anticipata dell’incarico dirigenziale, devono attenere al settore cui è preposto il dirigente.
La Corte d’appello, quindi, ha ritenuto di concludere che con la decisione di questa Corte era stata accertata l’illegittimità della revoca sia da un punto di vista formale -in quanto avvenuta senza un atto espresso -sia da un punto di vista sostanziale -essendo stata esclusa la fondatezza delle ragioni addotte per la revoca -con conseguente necessità di procedere alla valutazione dell’esistenza ed entità dei danni lamentati dal COGNOME.
A tal fine, tuttavia, la Corte ambrosiana ha rilevato che:
-i nuovi incarichi conferiti al COGNOME dopo la revoca di quello originario avevano comunque natura dirigenziale e non esecutiva e non avevano determinato una modifica negativa nella collocazione gerarchica all’interno dell’Ente;
-le doglianze formulate dal COGNOME in ordine alle valutazioni negative ricevute negli anni 2000 e 2001 erano risultate prive di fondamento, non essendone stata concretamente contestata la legittimità;
-erano rimaste prive di riscontro probatorio le allegazioni concernenti sia il demansionamento sia le condotte di mobbing ;
-non risultava essere stato imposto al COGNOME alcun obbligo di turno di reperibilità.
La Corte, pertanto, ha respinto le pretese risarcitorie relative ai danni da dequalificazione; da lesione all’immagine; da perdita di chance; per mancata percezione dei compensi ex art. 18, Legge n. 109/1994 mentre ha ritenuto fondata la pretesa concernente le differenze retributive per indennità di posizione.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso la PROVINCIA DI VICENZA.
6. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a ben diciassette motivi e questa Corte deve osservare, preliminarmente, che lo stesso, pur non travalicando i limiti disegnati da Cass. Sez. U – Ordinanza n. 37552 del 30/11/2021, supera in ogni caso i limiti dimensionali fissati dal Protocollo d’intesa tra il Primo Presidente della Corte di Cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense, senza che il diffondersi delle argomentazioni del ricorrente -sviluppate su 64 pagine -trovi concreta giustificazione
nelle necessità di esposizione invocate invece dal ricorrente in premessa.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 384 c.p.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione della Corte territoriale non si sarebbe uniformata al principio di diritto enunciato da questa Corte nella sentenza n. 2972/2017.
Secondo il ricorrente, infatti, questa Corte avrebbe dichiarato la nullità del provvedimento di revoca implicita dall’incarico di Capo settore Edilizia del ricorrente, di talché, compito della Corte territoriale sarebbe stato conformarsi alla decisione anche in relazione alle conseguenze economiche di tale statuizione, mentre, invece, la Corte d’appello, escludendo il riconoscimento di gran parte dei danni richiesti dal ricorrente, sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 384 c.p.c.
2.2. Il motivo è infondato.
In primo luogo, osserva questa Corte che nella propria precedente decisione -che ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Venezia ma non ha deciso nel merito -non è stata accertata direttamente la nullità del provvedimento di revoca, essendosi questa Corte limitata ad enunciare i principi che dovevano regolare la revoca medesima, cassando la precedente decisione della Corte d’appello per aver deciso in modo difforme rispetto a detti principi ed essendo, semmai, compito del giudice di rinvio, e cioè la Corte d’appello di Milano, quello di dare -come in sostanza è avvenuto -concreta applicazione ai principi medesimi, regolando il merito della controversia.
In secondo luogo, si deve rilevare che il motivo viene a sovrapporre due profili che invece necessitano di essere tenuti attentamente distinti, come ha correttamente fatto la Corte
ambrosiana, nel momento in cui, affermata la illegittimità della revoca, ha poi proceduto alla determinazione dei danni che potevano essere da tale revoca derivati senza che questo secondo profilo risultasse in alcun modo condizionato dalla precedente decisione di questa Corte, la quale, su tale tema, non si era pronunciata.
3.1. Appare a questo punto opportuno esaminare congiuntamente il secondo ed il settimo motivo.
3.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1218, 1223, 1453, 1324, 1418 e 2119 c.c.; 109 e 110, D. Lgs. n. 267/2000; 19, D. Lgs. n. 29/1993; 19, D. Lgs. n. 165/2001; 22, CCNL 10.4.1996; 13 e 14 CCNL per il personale dirigenziale degli enti locali del 23.12.1999.
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-il conferimento di nuovi incarichi doveva ritenersi nullo, in quanto adottato in violazione di norme imperative;
-ulteriormente, dall’illegittimità -ergo nullità -del provvedimento di revoca tacita doveva ritenersi sussistente in capo al ricorrente il diritto a conseguire l’integralità del precedente trattamento economico.
3.3. Con il settimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘per omesso pronuncia in ordine al 6° motivo del ricorso in riassunzione con cui era stato richiesto il risarcimento del danno per “nullità dei provvedimenti di conferimento dei nuovi incarichi per carenza di motivazione, mancata valutazione comparativa dei 20 dirigenti in forza presso la provincia e delle loro competenze professionali: violazione dell’art. 19 del d.l n. 29/93 e 165/2001, degli artt. 1175 e 1375 del cc., degli artt. 22. 23 R 23bis del CCNL. del 1996, dell’art. 13 del CCNL. del
23.12.99, dell’art. del D.LGS 267/2000, dell’art. 2 del n lgs n. 165 del 2001 e degli artt. 1324 e 1418 del c.c..’ .
3.4. Il secondo motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, risulta del tutto inidoneo ad intercettare l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, la quale, semmai si è conformata alle indicazioni contenute nella decisione di questa Corte n. 2972/2017, allorquando è stato osservato che, in virtù della qualifica di dirigente dell’odierno ricorrente, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 2103 c.c. come previsto dall’art. 19, D. Lgs. n. 165/2001 – in quanto alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo, risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite ‘ non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica, la quale va tuttavia interpretata in senso stretto, ossia nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico è soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche’ .
In ossequio a tale principio, la Corte territoriale, con valutazione in fatto non sindacabile nella presente sede, è pervenuta alla conclusione per cui il ricorrente era stato comunque adibito ad incarichi dirigenziali di natura tecnica, con conseguente esclusione di un inadempimento della controricorrente.
3.5. L’inammissibilità del secondo motivo determina, di riflesso, l’inammissibilità del settimo.
Infatti, una volta disattese le deduzioni del secondo motivo in merito alla nullità del conferimento dei nuovi incarichi ed al conseguente diritto del ricorrente a conseguire il risarcimento dei danni, le deduzioni che il settimo motivo viene a basare sugli stessi
postulati risulta no di riflesso inammissibili, collocandosi anch’esse al di fuori della ratio decidendi della Corte d’appello.
Unicamente ragioni di completezza impongono di evidenziare altri due profili.
Il primo, sul quale si avrà modo di tornare in sede di esame di numerosi altri motivi, è costituito dalla constatazione che le doglianze del ricorrente sono riferite al mancato accoglimento di un motivo del ricorso in riassunzione, senza che, tuttavia, il ricorrente medesimo venga a specificare -come invece il canone di specificità imponeva -se tali deduzioni facessero parte degli originari motivi di appello.
Si deve, infatti, richiamare il principio per cui la riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio a seguito di cassazione della sentenza instaura un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di presentare nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse – salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Corte di cassazione -con la conseguenza che nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 5137 del 21/02/2019; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4096 del 21/02/2007).
Da ciò consegue che in questo, come negli altri motivi di ricorso, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare -per error in iudicando o in procedendo -il mancato accoglimento dei motivi di appello originariamente formulati innanzi alla Corte d’appello di Venezia,
potendo fare riferimento ai motivi del ricorso in riassunzione unicamente come ripresa degli originari motivi di gravame ed avendo quindi cura, nel rispetto del già richiamato principio di specificità, di correlare i motivi del ricorso in riassunzione con i precedenti motivi di appello.
Il secondo profilo è costituto dalla constatazione che nella specie non ricorre alcuna omessa statuizione da parte della Corte meneghina, la quale, una volta affermata la natura dirigenziale dei nuovi incarichi ricevuti dal ricorrente, per ciò stesso è venuta a disattendere una domanda risarcitoria che invece poneva come imprescindibile presupposto la illegittimità di quegli incarichi.
4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 4, 5 e 19, D. Lgs. n. 165/2001; 107, D. Lgs. n. 267/2000; ‘ 13 del 23.12.1999 ‘ .
Il ricorrente censura la decisione impugnata, nella parte in cui la stessa ha affermato che le nuove mansioni che gli erano state affidate avevano natura dirigenziale, richiamando sul punto le deduzioni svolte in corso di giudizio ed evidenziando altresì che, contrariamente a quanto affermato dalla stessa Corte d’appello, tali profili erano stati dedotti non solo in sede di riassunzione ma anche col ricorso originario.
4.2. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
Il primo è costituito dalla constatazione che il motivo, ancora una volta, non coglie la ratio fondamentale della decisione della Corte, la quale ha affermato la natura dirigenziale degli incarichi conferiti successivamente al ricorrente.
Il secondo è costituito dalla constatazione del progressivo svilupparsi del motivo di ricorso nella direzione di censure che investono la valutazione delle prove operata dal giudice di merito, ed a quest’ultimo riservata, traducendosi in tal modo il motivo nella
sollecitazione ad operare un inammissibile sindacato sulla valutazione delle prove.
Da ciò deriva la inammissibilità delle deduzioni riferite specificamente all’ error in procedendo in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel dichiarare la inammissibilità del motivo di ricorso in riassunzione, risultando la decisione nel merito sufficiente a sorreggere in via autonoma la decisione
5.1. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 13, CCNL 23.12.1999; 1175 e 1375 c.c.; 17, 19, 21 e 52, D. Lgs. n. 29/1993 e n. 165 del 2001; 116 c.p.c.; 107, D. Lgs. n. 267/2000; 8 Allegato A al CCNL del 31/03/1999 del personale non dirigenziale; 22, 40 e 41, CCNL 10.4.1996 del personale con qualifica dirigenziale del comparto regioni enti locali.
Il ricorrente censura ancora la decisione impugnata, nella parte in cui la stessa ha affermato che le nuove mansioni che gli erano state affidate avevano natura dirigenziale, e, richiamata la documentazione prodotta in giudizio, deduce che le mansioni ritenute dirigenziali dalla Corte d’appello non avevano in realtà carattere direttivo, concludendo che ‘la sentenza va quindi cassata anche per violazione delle disposizioni in epigrafe in quanto, da un lato, non ha deciso secundum alligata et probata e ha confuso le funzioni dirigenziali con quelle di responsabile di una mera posizione organizzativa, di cui all’art. 8 del CCNL del 31/03/1999’ e che ‘ sotto altro profilo non ha considerato che l’art. 13 del CCNL del 23.12.1999, gli articoli 1175 e 1375 del cc, e gli artt. 19, 21 e 52 del d.lgs. n. 29/93 e n. 165 del 2001 imponevano, in ogni caso, alla Provincia di attribuire al ricorrente incarichi equivalenti l’corrispondenti all’incarico di Capo Settore edilizia e comunque
rapportati alle attitudini, laurea in architettura e professionalità dell’arch. COGNOME .
5.2. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, lo stesso non rispetta il canone di corretta deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360 , n. 3), c.p.c., dovendosi osservare che il ricorrente, al di là dei diffusi richiami al ricorso per riassunzione ed al testo di previsioni di legge, si sottrae all’onere di motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
In secondo luogo, il motivo viene a sostanziarsi -ancora una volta -in una censura che investe la valutazione delle prove da parte del giudice di merito, dovendosi invece richiamare il principio per cui non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, n. 3), c.p.c. l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 640 del 14/01/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Si deve, in sostanza, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
6.1. In virtù del rapporto di connessione che li caratterizza, il quinto ed il sesto motivo devono essere esaminati congiuntamente.
6.2. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ‘omessa pronuncia sul 18° motivo del ricorso in riassunzione inerente all’illegittima partecipazione dell’avv. COGNOME alle udienze di assunzione dei testimoni’ .
Si deduce un vizio della decisione impugnata per avere la stessa omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale veniva dedotta la nullità delle prove assunte in primo grado, in quanto l’assunzione era avvenuta nel corso di udienze alle quali partecipava un soggetto non legittimato.
6.3 . Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘falsa applicazione degli artt. 420 c.p.c. e violazione dell’art. 84 disp. att. del c.p.c., dell’art. 6 della CEDU. e dell’art. 111 Cost. della Cost. sul “giusto processo”‘ .
Reiterando le deduzioni sulla violazione dell’art. 420 c.p.c. derivante dalla partecipazione alle udienze di un soggetto non legittimato, il ricorrente si duole del mancato esercizio da parte del giudice di merito del potere-dovere di procedere ad attività istruttoria.
6.4. I motivi presentano molteplici profili di inammissibilità.
Il primo profilo deriva dal principio -reiteratamente enunciato da questa Corte -a mente del quale il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni processuali (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 10422 del 15/04/2019; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 25154 del 11/10/2018; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013).
Il secondo profilo discende dall’omesso rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., essendosi il ricorrente sottratto all’onere di dedurre localizzando le relative allegazioni negli atti di causa – di avere immediatamente eccepito l’asserito profilo di nullità della prova subito dopo l’espletamento dell’incombente , in conformità ad un principio generale reiteratamente enunciato da questa Corte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2075 del 29/01/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2995 del 17/02/2004)
Il terzo profilo discende invece dalla eterogeneità delle deduzioni che caratterizzano il sesto motivo, in quanto lo stesso reca una rubrica che si riferisce ancora una volta alla nullità de ll’assunzione della prova ma viene poi a formulare doglianze riferite al mancato ricorso ai poteri istruttori d’ufficio.
Quanto a tale ultimo profilo, poi, questa Corte, oltre a dover constatare che la censura appare rivolta più alla decisione di primo grado che alla sentenza impugnata, rileva ancora una volta un irrimediabile difetto di specificità, dovendosi richiamare il principio per cui il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a
sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 22628 del 10/09/2019; Cass. Sez. L – Sentenza n. 25374 del 25/10/2017), laddove, nella specie, il ricorso appare carente persino nella indicazione concreta dei poteri istruttori che il giudice di merito avrebbe omesso di esercitare.
7.1. Devono ora essere esaminati unitariamente i motivi ottavo, nono ed undicesimo.
7.2. Con l’ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘per omesso pronuncia in ordine all’11° motivo del ricorso in riassunzione con cui era stato richiesto il risarcimento del danno per violazione degli art. 1418 e 1325, n. 4, del codice civile, dell’art, 22 del ccnl per il personale dirigenziale degli enti locali del 10.4.1996’ .
7.3. Con il nono motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘per omessa pronuncia in ordine al 13° motivo del ricorso in riassunzione con cui era stato richiesto il risarcimento del danno per “nullità degli atti dl revoca e conferimento di nuovi incarichi per motivo illecito determinante o illiceità della causa. Violazione dell’obbligo dl correttezza contenuto negli 1175, 1375 e 1418 del CC’ .
7.4. Con l’undicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘per omessa pronuncia in ordine al 7° motivo del ricorso in riassunzione con cui era stato richiesto il risarcimento del danno per “personale e diretto svolgimento di mansioni richiedenti il possesso delia laurea in ingeneria e scienze forestali: violazione del R.D. n. 2537/25 disciplinante
l’esercizio delle professioni dl architetto, della L. n. 112/63, disciplinante l’attività di geologo e degli artt. 7, 146 e 147 del DPR 554/1999. Vizio di motivazione per omesso esame di un documento decisivo”.
7.5. I motivi devono essere dichiarati, nel complesso, inammissibili, ancora una volta per violazione del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.
Come già anticipato in sede di esame del settimo motivo, infatti, tutti e tre i motivi di ricorso sono riferiti al mancato accoglimento di motivi articolati nell’ambito del ricorso in riassunzione innanzi alla Corte d’appello di Milano , senza che, tuttavia, il ricorrente medesimo venga a specificare -come invece il canone di specificità imponeva -se tali deduzioni facessero parte degli originari motivi di appello.
Nel caso di specie, invece, il ricorrente solo nell’ambito dell’ottavo motivo si limita -peraltro in nota (la n. 42) -ad un generico richiamo alla intitolazione del precedente motivo di appello, senza che risulti concretamente possibile per questa Corte verificare la coincidenza dei motivi di ricorso in riassunzione con quelli dell’originario appello , sebbene -ed è circostanza che rendeva l’onere gravante sul ricorrente ancora più rigoroso -la Corte d’appello di Milano abbia espressamente rilevato la novità di molte deduzioni contenute nel ricorso in riassunzione.
Richiamato -ancora una volta – il principio per cui nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n.
5137 del 21/02/2019; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4096 del 21/02/2007) ed osservato -ancora una volta -che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare semmai il mancato accoglimento dei motivi di appello originariamente formulati innanzi alla Corte d’appello di Venezia, potendo fare riferimento ai motivi del ricorso in riassunzione unicamente come ripresa degli originari motivi di gravame, si deve unicamente rilevare ulteriormente che le carenze che affliggono i motivi precludono l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, in quanto detto potere presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021), con la conseguenza che è necessariamente dall’ammissibilità del motivo di che ricorso discende l’esercizio di tale potere-dovere (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
8.1. Un esame congiunto si impone anche in relazione ai motivi decimo e dodicesimo.
8.2. Con il decimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2 e 19, D.L. n. 29/93 ‘e 165/2001’ ; 1175 e 1375 c.c.; 22, 23 e 23bis , CCNL 10.4.1996; 13, CCNL 23.12.99; 109, D. Lgs. n. 267/2000; 1325 e 1418 c.c.; 97 Cost.
Nell’ipotesi in cui questa Corte ravvisi, in relazione ai motivi settimo, ottavo e nono, un rigetto implicito, il ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello per contrasto con le norme richiamate, per aver la Corte territoriale medesima negato il riconoscimento del danno conseguente alla illegittimità del provvedimento di revoca ed all’affidamento di incarichi di livello inferiore.
8.3. Con il dodicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione del R.D. 23 ottobre 1925 2537, disciplinante l’esercizio delle professioni di architetto, della L. 3 febbraio 1963 n. 112 disciplinante l’attività di geologo e degli artt. 7, 146 e 147 del DPR 554/1999.
Nell’ipotesi in cui questa Corte ravvisi, in relazione all’undicesimo motivo, un rigetto implicito, il ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello per contrasto con le norme richiamate, per aver la Corte territoriale medesima affermato la sussistenza in capo al ricorrente di una competenza in materia di sicurezza, invocandosi in contrario le risultanze del curriculum del ricorrente.
8.4. L’esame congiunt o dei due motivi si impone in ragione del loro essere riferiti all’ipotesi in cui questa Corte ravvisi, in relazione ai precedenti motivi settimo, ottavo, nono e undicesimo, una decisione di rigetto implicito della Corte d’appello.
L’inammissibilità delle censure formulate con tali ultimi motivi, tuttavia, determina l’assorbimento dei motivi ora in esame, esimendo questa Corte dal loro esame.
9.1. Con il tredicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 416 e 115 c.p.c. e del principio di non contestazione.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata ‘anche in quanto non considera che nella memoria di costituzione del primo grado di giudizio la Provincia aveva preso solo genericamente posizione sui fatti di causa (…), senza specificamente contestare le circostanze analiticamente riportare nel ricorso 4 14 cpc.’ .
9.2. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, lo stesso, ancora una volta, non rispetta il canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., omettendo di riprodurre (o
localizzare) gli atti di parte da cui si sarebbe dovuta desumere la non contestazione da parte dell’odierna controricorrente.
In secondo luogo, si deve richiamare il principio per cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ad onere probandi (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
10.1. Con il quattordicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione degli artt. 61, 62. 134, 257, 210, 213, 421 e 437 del cpc per mancata emanazione dell’ordine di esibizione in giudizio dei documenti richiesti e di c.t.u., mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, nonché violazione degli 2727, 2697 e 2729 del c.c., alla luce degli artt. 24 e 111 della Cost., dell’art. 6 della CEDU, e del principio di riferibilità o vicinanza o disponibilità della prova’ .
La sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni relativi alla mancata erogazione dei compensi ex art. 18, L. n. 109/94 per assenza di prova in ordine alle somme stanziate per ogni progetto ed alla quota attribuita al responsabile del progetto.
Si deduce che in tal modo la Corte territoriale si sarebbe posta in contrasto con le norme invocate, omettendo l’esercizio dei poteri istruttori sollecitati dal ricorrente e violando il principio di vicinanza della prova e rigettando le istanze istruttorie del ricorrente senza adeguatamente motivare.
10.2. Il motivo è inammissibile.
Questa Corte, invero, è costretta a ripetersi ed a richiamare -ancora una volta – il principio per cui il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 22628 del 10/09/2019; Cass. Sez. L – Sentenza n. 25374 del 25/10/2017).
Per contro, anche nel caso in esame il motivo di ricorso risulta del tutto anodino e privo di qualsivoglia individuazione sia dei temi probatori che dovevano essere approfonditi sia dei concreti poteri istruttori che il giudice di merito avrebbe omesso di esercitare.
Risulta, in tal modo, ultroneo il richiamo all’art. 6 CEDU :
-in primo luogo, il richiamo è improduttivo con riferimento al profilo della specificità del motivo di ricorso, in quanto quest’ultimo comunque deve rispondere a criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza
del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. U – Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022; Cass. Cass. Sez. L Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022);
-in secondo luogo, il richiamo è inefficace con riferimento al profilo, dedotto in ricorso, dell’applicazione del principio di vicinanza della prova, avendo questa Corte già chiarito che dall’art. 6 CEDU non può desumersi un obbligo incondizionato del giudice di dar corso all’assunzione di qualsivoglia mezzo istruttorio articolato dalla parte, in quanto la previsione della Convenzione EDU, pur garantendo il diritto ad un processo equo, non contiene alcuna disposizione riguardante il regime di ammissibilità delle prove o sul modo in cui esse dovrebbero essere valutate, trattandosi di questioni rimesse alla regolamentazione della legislazione nazionale, né preclude al giudice il vaglio di rilevanza ed ammissibilità dei singoli mezzi proposti dalla parte in conformità al principio di ragionevole durata del processo (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 16517 del 31/07/2020), potendosi qui aggiungere che dalla regola del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU non appare possibile desumere l’obbligo del giudice nell’ambito di un processo comunque retto dal principio di disponibilità della prova -di procedere a generiche istruttorie inquisitorie sulla base di mere allegazioni generiche della parte cui invece, proprio nel rispetto della parità delle armi, può imporsi l’onere di indicazione sia degli elementi probatori di partenza sia
dell’attività che può portare all’approfondimento delle piste probatorie in tal modo individuate.
11.1. Con il quindicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘ omessa valutazione dei documenti prodotti. violazione dell’art. 2697 del c.c. e dell’art. 116 del c.p.c. ‘ .
Il ricorrente deduce che la Corte di Appello non avrebbe ‘ ottemperato al suo obbligo di verificare se la documentazione prodotta dal ricorrente avallasse la sua tesi, incorrendo in un vizio di omesso esame di documenti e delle circostanze di fatto che, se esaminati e vagliati, avrebbero fornito la prova dell’utilizzo del ricorrente in mansioni non dirigenziali, nel demansionamento operato dalla provincia e, più in generale, dei danni subiti dal ricorrente anche sotto il profilo della perdita della retribuzione di risultato e dei compensi ex art. 18 della l. 109/94 ‘ , richiamando sul punto un lungo elenco di documenti che sarebbero stati prodotti già nel giudizio di primo grado.
11.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, sotto la deduzione apparente di ‘omesso esame’ viene a censurare la valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di merito e si pone pertanto in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass.
Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Va ribadito, infatti, il principio per cui il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002).
12.1. Con il sedicesimo motivo il ricorso deduce, testualmente, la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, N. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ. n. 3) e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)’ , per avere la Corte territoriale adottato una motivazione solamente apparente, senza indicare le ragioni del rigetto dei motivi di impugnazione 6, 7, II, 13 e 18 del ricorso in riassunzione.
12.2. Il motivo è infondato.
Questa Corte a Sezioni Unite ha definitivamente chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare che, ancora una volta, le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
13.1. Con il diciassettesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2779, 1218, 1223 e 2059 c.c.; 1 e 2 Cost.; 115 c.p.c. per avere la Corte d’appello respinto le domande risarcitorie rel ative ai danni: da dequalificazione; da lesione all’immagine; da perdita di chance; per mancata percezione dei compensi ex art. 18, Legge n. 109/1994; per reperibilità, nonostante l’evidenza della sussistenza di medesimi, ampiamente argomentata nel ricorso in riassunzione.
13.2. Il motivo è inammissibile.
È canone reiteratamente enunciato da questa Corte quello per cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nella specie, il motivo di ricorso si limita a riprodurre pedissequamente una serie di considerazioni in via di mero fatto già rappresentate al giudice di merito ma omette radicalmente di individuare con quali asserzioni in diritto la decisione impugnata
avrebbe operato cattivo governo delle previsioni invocate nel motivo di ricorso medesimo.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
14. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
15. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione