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Demansionamento pubblico impiego: quando è legittimo?

Due dipendenti di un museo lamentavano un demansionamento pubblico impiego per essere state adibite prevalentemente a compiti di vigilanza, inferiori alla loro qualifica di ‘assistenti’. La Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni precedenti, stabilendo che non sussiste demansionamento se le mansioni assegnate, sebbene meno qualificanti, rientrano nel profilo professionale e nell’Area di inquadramento del lavoratore. La scelta rientra nel legittimo potere organizzativo (ius variandi) del datore di lavoro pubblico.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento Pubblico Impiego: la Cassazione fissa i paletti dello Ius Variandi

Il tema del demansionamento pubblico impiego è spesso al centro di controversie legali. Un lavoratore può essere assegnato in via quasi esclusiva alle mansioni meno qualificanti del proprio profilo? Con l’ordinanza n. 1665/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, rafforzando il principio di flessibilità gestionale della Pubblica Amministrazione e definendo i limiti del cosiddetto ius variandi del datore di lavoro.

I Fatti di Causa: Dalle mansioni di ‘assistente’ a quelle di ‘operatore’

La vicenda trae origine dalla causa intentata da due dipendenti di un importante polo museale statale, assunte a tempo indeterminato con la qualifica di ‘Assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza’, inquadrate nella seconda Area, fascia economica F3. Fin dalla loro assunzione, le lavoratrici lamentavano di essere state adibite quasi esclusivamente a compiti tipici di un profilo professionale inferiore, quello di ‘Operatore alla custodia, vigilanza ed accoglienza’ (fascia F1).

Le loro attività quotidiane consistevano principalmente in:
* Vigilanza delle sale e degli ambienti espositivi.
* Apertura e chiusura di sale e servizi igienici.
* Sorveglianza del museo durante le operazioni di pulizia.

Le lavoratrici sostenevano che tali compiti, pur non essendo del tutto estranei al loro profilo, non esaurivano la professionalità richiesta dalla loro qualifica superiore, che avrebbe dovuto includere anche attività più complesse come il coordinamento, l’assistenza qualificata al pubblico e la collaborazione a progetti culturali.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione alle dipendenti. I giudici di merito avevano riconosciuto la sussistenza del demansionamento, affermando che, sebbene le mansioni di vigilanza rientrassero nel profilo di ‘assistente’, il datore di lavoro aveva l’obbligo di assegnare anche i compiti più qualificanti che distinguevano tale figura da quella meramente esecutiva dell’ ‘operatore’. La prevalente e sistematica assegnazione di compiti inferiori, secondo le corti, svuotava di fatto la professionalità acquisita, legittimando una richiesta di risarcimento del danno.

Il ricorso in Cassazione e il concetto di equivalenza formale

L’Amministrazione ha impugnato la sentenza d’appello, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione. La difesa del Ministero si è basata su un concetto chiave del demansionamento pubblico impiego: il principio di ‘equivalenza formale’ delle mansioni all’interno della stessa Area contrattuale.

Secondo il ricorrente, la riforma del pubblico impiego e i contratti collettivi hanno introdotto un sistema di classificazione del personale basato su ampie ‘Aree’, all’interno delle quali tutte le mansioni sono considerate equivalenti. Poiché sia il profilo di ‘assistente’ che quello di ‘operatore’ ricadevano nella medesima Area II, non poteva sussistere alcun demansionamento. Inoltre, le mansioni di vigilanza erano esplicitamente previste anche nel profilo superiore delle lavoratrici.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Ministero, ribaltando completamente l’esito del giudizio. Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001, come modificato nel tempo.

I giudici hanno chiarito che, nel rapporto di lavoro pubblico privatizzato, il datore di lavoro gode di un ampio ius variandi. Ciò significa che può legittimamente assegnare al dipendente qualsiasi mansione ricompresa nel perimetro della sua Area di inquadramento e del suo specifico profilo professionale.

La Corte ha specificato che:

1. Prevalenza dell’Area di inquadramento: Il sistema di classificazione per ‘Aree’ è stato introdotto per garantire flessibilità organizzativa alla Pubblica Amministrazione. All’interno di un’Area, le mansioni sono formalmente equivalenti e l’assegnazione di alcune piuttosto che altre risponde a scelte gestionali insindacabili dal giudice.
2. Inclusione delle mansioni nel profilo: Le attività di vigilanza e custodia, sebbene basiche, erano espressamente incluse nella declaratoria contrattuale del profilo di ‘assistente’. Pertanto, la loro assegnazione non costituisce dequalificazione.
3. Assenza del diritto a svolgere ‘tutte’ le mansioni: Il lavoratore non ha un diritto soggettivo a svolgere la totalità o le mansioni più qualificanti del proprio profilo. L’Amministrazione può decidere di impiegarlo prevalentemente su compiti specifici in base alle necessità del servizio, come la prioritaria esigenza di sorveglianza nei musei.

L’unico limite a questo potere, ha sottolineato la Corte, è rappresentato dalla sottrazione ‘pressoché integrale’ delle funzioni, situazione che non si è verificata nel caso di specie. Di conseguenza, non essendo stato ravvisato alcun demansionamento, è stata rigettata anche la conseguente richiesta di risarcimento del danno.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento che riconosce un’ampia discrezionalità alla Pubblica Amministrazione nella gestione del personale. Il principio dell’equivalenza formale delle mansioni all’interno della stessa Area contrattuale limita notevolmente le possibilità per un dipendente pubblico di ottenere il riconoscimento del demansionamento pubblico impiego, a condizione che i compiti assegnati rientrino, anche se in modo non esclusivo, nel suo profilo professionale. Questa decisione sottolinea come la tutela della professionalità del lavoratore debba bilanciarsi con le esigenze di efficienza e funzionalità dell’azione amministrativa.

Un dipendente pubblico può essere obbligato a svolgere solo le mansioni meno qualificanti del suo profilo professionale?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, finché le mansioni assegnate rientrano nel profilo professionale e nell’Area di inquadramento previsti dal contratto collettivo, il datore di lavoro pubblico ha il diritto di assegnarle, anche in via prevalente, in base alle esigenze organizzative, senza che ciò configuri demansionamento.

Cosa si intende per ‘equivalenza formale’ delle mansioni nel pubblico impiego?
Si intende il principio secondo cui tutte le mansioni ricomprese all’interno della medesima ‘Area’ di classificazione professionale sono considerate equivalenti. Il datore di lavoro può quindi spostare il dipendente tra queste mansioni senza che si configuri una violazione dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001.

Il giudice può sindacare la scelta del datore di lavoro pubblico di assegnare determinate mansioni piuttosto che altre?
No, il giudice non può sindacare la scelta, a meno che non si verifichi una sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere. L’assegnazione di mansioni, anche se meno complesse ma comunque previste dal profilo professionale, rientra nel legittimo esercizio dello ius variandi del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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