Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21719 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21719 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 31324/2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bari n. 888/2021, pubblicata il 29 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Bari, con sentenza del 13 giugno 2019, ha accolto in parte la domanda proposta da NOME COGNOME contro la Regione Puglia, dichiarando l’illegittimità del comportamento consistito nell’adibirla all’espletamento di
mansioni inferiori a quelle della sua corrispondente qualifica dirigenziale da settembre 2011 alla data di conferimento dell’incarico della direzione ad interim del servizio Programmazione Assistenza Territoriale e Prevenzione (anno 2013), con conseguente condanna al risarcimento del danno subito.
La Regione Puglia ha proposto appello che la Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 888/2021, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La Regione Puglia si è difesa con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.
A suo avviso, la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere coperta da giudicato la domanda di risarcimento del danno da demansionamento da lei proposta in quanto già rigettata nell’ambito di altro giudizio svoltosi innanzi al TAR nel quale si era discusso dell’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 1112 del 2010.
Secondo la lavoratrice il giudice amministrativo non avrebbe potuto statuire su fatti e circostanze avvenute tra il 2011 e il 2013, periodo in ordine al quale era stato dedotto un demansionamento conseguente a comportamenti assunti dal datore di lavoro in un periodo successivo all’instaurazione del procedimento innanzi al TAR.
In sede amministrativa avrebbe contestato la legittimità della delibera n. 1112 del 2011, del decreto n. 675 del 2011 e della delibera n. 1502 del 2011 e la circostanza che, in virtù della riorganizzazione della P.A. realizzata con tali atti, il Servizio Attività Culturali al quale era preposta fosse stato accorpato ad uno nuovo denominato Servizio Cultura e Spettacolo, con conseguente revoca dell’incarico dirigenziale conferitole nel 2009 in assenza dei presupposti di legge.
Avrebbe impugnato, altresì, la delibera n. 1502 del 2011, con la quale era stata nominata direttore ad interim della Struttura di progetto ‘Piano di rientro’, anche perché non si sarebbe trattato di un Servizio, ma di una Struttura di progetto a carattere temporaneo.
Il giudizio davanti al TAR avrebbe avuto ad oggetto, quindi, un interesse legittimo e non il rapporto di lavoro.
Non avrebbe potuto estendersi, dunque, il giudicato amministrativo alla causa civile in corso.
Lo stesso danno del quale si era chiesto il risarcimento davanti al TAR avrebbe riguardato il detto interesse legittimo.
Non motivata in maniera comprensibile sarebbe stata, poi, la parte della sentenza impugnata ove era dato rilievo a una consulenza tecnica di parte.
La censura è inammissibile.
Infatti, a prescindere dal fatto che la ricorrente non ha riportato il contenuto delle domande da lei presentate davanti al giudice amministrativo e, almeno nelle parti essenziali, della sentenza del TAR, si osserva che il motivo non si confronta efficacemente con tutte le affermazioni del giudice di appello.
Innanzitutto, non tiene conto che la Corte d’appello di Bari ha esaminato anche la delibera n. 1813/13, ritenendola priva dei vizi lamentati.
Inoltre, la corte territoriale non ha reputato coincidenti i due giudizi in questione, ma, più semplicemente, ha rilevato che la domanda risarcitoria contenuta nella memoria del 21 maggio 2014 era ‘la stessa domanda formulata nel presente giudizio e proposta, peraltro, quando era già pendente il presente giudizio’. A conforto di questa valutazione, il giudice di secondo grado ha sottolineato come, nella sentenza del TAR, si desse atto che ‘in vista della trattazione del merito, parte ricorrente ha depositato un parere medico sulle conseguenze subite dalla stessa per stress lavorativo’
In particolare, ha evidenziato che, sempre dalla sentenza del TAR, emergeva come, con la memoria conclusiva del 21 maggio 2014 fosse stato domandato ‘il risarcimento del danno biologico asseritamente subito, sulla base della perizia
medica depositata’ e come, nel presente giudizio, fosse stata depositata dalla ricorrente la medesima CTP menzionata dal TAR.
La lavoratrice, dal canto suo, oltre a non contestare o ad affrontate in maniera estremamente generica i profili sopra elencati, non ha indicato a questo Collegio, in risposta all’inequivoca affermazione della Corte d’appello di Bari, per cui i due giudizi avevano ‘ad oggetto la stessa domanda di risarcimento del danno derivante dal dedotto comportamento illegittimo della p.a.’, quali tipologie di danno, non lamentate davanti al TAR, fossero state fatte valere davanti al giudice ordinario e quali condotte della P.A. potessero ancora fondare una responsabilità di quest’ultima. Ciò alla luce dell’accertata legittimità dell’attività della Regione Puglia – dal tempo dell’adozione della delibera n. 1502/11 e sino al momento di approvazione della delibera n. 1813/13 compresa – e della circostanza che la ricorrente si era doluta di un ‘demansionamento per progressivo svuotamento delle sue mansioni’ che, ad avviso del Tribunale di Bari, si sarebbe verificato nel periodo dal settembre 2011 al 2013.
Senza rilievo è, pertanto, il fatto che il giudizio amministrativo e quello ordinario mirassero a tutelare, rispettivamente, un interesse legittimo e un diritto oggettivo.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 2, 5 e 52 del TU n. 165 del 2001 e dell’art. 5 del CCNL personale dirigenti comparto Regione e Autonomie locali, pure in relazione all’art. 132, n. 4, c.p.c., in quanto la corte territoriale non avrebbe correttamente valutato che, nella specie, vi sarebbe stato uno svuotamento di funzioni.
Si duole che non avrebbe avuto il personale necessario ad attuare gli obiettivi affidati, non avrebbe avuto collaboratori o risorse finanziarie e sarebbe stata priva di effettivi poteri direttivi, essendo state dimezzate le sue funzioni.
La censura, a prescindere dall’esito del primo motivo, che ne dovrebbe comportare l’inammissibilità, è a sua volta inammissibile per ulteriori ragioni.
Infatti, la ricorrente non ha riportato nel dettaglio le mansioni da lei svolte prima dell’asserito demansionamento, così impedendo a questo Collegio di verificarne la sussistenza.
Inoltre, la lavoratrice ha chiesto sostanzialmente a questa Suprema Corte di compiere una nuova valutazione delle risultanze istruttorie agli atti, in questa sede preclusa.
Peraltro, si rileva che il cambiamento di incarico è avvenuto in seguito a una riorganizzazione della P.A. e che, anche a volere in parte accedere alle doglianze della ricorrente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ‘Nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, qualora la privazione delle mansioni maggiormente caratterizzanti un incarico dirigenziale sia avvenuta a seguito di un provvedimento di riorganizzazione aziendale, viene a determinarsi una revoca implicita dell’incarico dirigenziale, sicché costituiscono profili rilevanti, ai fini del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, le ragioni dell’illegittimità del provvedimento, le caratteristiche, la durata e la gravità dell’attuato demansionamento, la frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione e le eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore di lavoro e comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale’ (Cass., Sez. L, n. 8717 del 4 aprile 2017).
Nella specie, il TAR ha affermato la legittimità della procedura e l’interessata non ha indicato in maniera dettagliata ‘le caratteristiche, la durata e la gravità dell’attuato demansionamento, la frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione e le eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore di lavoro e comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale’.
Al contrario, il giudice di appello ha accertato che ella aveva dei dipendenti sovraordinati e svolgeva mansioni che non potevano definirsi meramente materiali ed esecutive (sono indicate a pagina 10 della sentenza gravata) e ha spiegato che l’esiguità della ‘assegnazione di risorse umane e strumentali, oltre che finanziarie’ si spiegava con il fatto che veniva in rilievo una struttura dirigenziale di nuova istituzione e si era nel periodo iniziale di una riorganizzazione.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 4.500,00 per compenso e in € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge ;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 6