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Demansionamento pubblico impiego: l’onere probatorio

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di presunto demansionamento nel pubblico impiego, originato dal mancato rinnovo di incarichi di Posizione Organizzativa a due dipendenti. L’ordinanza rigetta il ricorso, chiarendo che i ricorrenti non possono limitarsi a contestare la valutazione delle prove del giudice di merito, ma devono dimostrare la violazione di specifici criteri legali. La Corte sottolinea che, sebbene l’onere di provare la correttezza della procedura selettiva spetti all’ente, la contestazione del lavoratore deve essere specifica e circostanziata per consentire una verifica giudiziale.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento nel Pubblico Impiego: Quando la Prova della Procedura Selettiva Diventa Cruciale

Il tema del demansionamento nel pubblico impiego è spesso al centro di complesse vicende giudiziarie. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre spunti fondamentali sull’onere della prova e sui limiti del sindacato del giudice di legittimità, in un caso riguardante il mancato rinnovo di incarichi di Posizione Organizzativa (P.O.). L’analisi della Suprema Corte chiarisce come un dipendente debba articolare le proprie censure per contestare efficacemente una procedura selettiva ritenuta illegittima.

I Fatti di Causa

Due dipendenti di un’agenzia pubblica regionale, con una lunga anzianità di servizio e ruoli di responsabilità (uno esperto tecnico di categoria D5 e titolare di P.O., l’altro specialista tecnico di categoria D4 e responsabile informatico), si sono visti revocare i propri incarichi a seguito di una nuova procedura di conferimento delle Posizioni Organizzative. Ritenendo di essere stati ingiustamente pretermessi e di aver subito un demansionamento, hanno adito il Tribunale per chiedere l’accertamento dell’illegittimità della procedura e il conseguente risarcimento del danno, oltre alla reintegra in mansioni equivalenti.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato le loro domande. Secondo i giudici di merito, non era configurabile un demansionamento, in quanto i lavoratori continuavano a svolgere mansioni coerenti con la loro categoria di appartenenza. Inoltre, la procedura comparativa per l’assegnazione delle nuove P.O. è stata ritenuta correttamente espletata dall’ente, nonostante le contestazioni dei dipendenti, i quali non avevano, peraltro, specificato le ragioni per cui la scelta dell’amministrazione sarebbe stata illegittima.

L’analisi del demansionamento pubblico impiego in Cassazione

I lavoratori hanno proposto ricorso in Cassazione affidandosi a cinque motivi. Essi lamentavano principalmente:
1. La violazione delle norme sulla correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e delle disposizioni contrattuali (CCNL), sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente ritenuto assolto l’onere probatorio da parte dell’ente sulla base di un verbale generico.
2. L’errata valutazione della valenza probatoria di tale documentazione.
3. L’erronea declaratoria di inammissibilità della domanda volta ad accertare l’illegittimità della procedura.
4. La motivazione meramente apparente della sentenza impugnata.
5. La violazione dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001 in materia di demansionamento.

In sostanza, i ricorrenti contestavano alla Corte d’Appello di non aver adeguatamente vagliato la legittimità della procedura selettiva che li aveva esclusi, dando per provata la sua correttezza sulla base di documentazione insufficiente.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili o infondati tutti i motivi di ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha chiarito diversi principi chiave:

Inammissibilità delle censure sulla valutazione delle prove: I primi due motivi sono stati giudicati inammissibili perché si risolvevano in una mera contestazione della valutazione del materiale probatorio operata dal giudice di merito. In sede di legittimità, non è possibile chiedere una nuova valutazione delle prove, ma solo denunciare la violazione di specifiche norme di diritto o vizi logici della motivazione. I ricorrenti, secondo la Corte, non avevano indicato la violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale, ma si erano limitati a criticare l’apprezzamento del giudice.

Infondatezza del motivo sul demansionamento e sulla procedura: La Corte ha ritenuto infondati anche gli altri motivi. Ha stabilito che la domanda di accertamento dell’illegittimità della procedura era stata correttamente rigettata, poiché non era funzionale a un’effettiva tutela (come la richiesta di rinnovo della procedura o il risarcimento per perdita di chance). Inoltre, la motivazione della sentenza d’appello non era affatto apparente, ma rifletteva adeguatamente il percorso logico-giuridico seguito. Infine, non era ravvisabile un demansionamento nel pubblico impiego, poiché era stato accertato che i dipendenti svolgevano mansioni coerenti con il loro livello di inquadramento (livello D), indipendentemente dal mancato rinnovo della P.O.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel contenzioso sul demansionamento nel pubblico impiego: il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della controversia. Per contestare efficacemente l’esito di una procedura selettiva e la valutazione delle prove operata dai giudici di merito, il lavoratore deve articolare censure precise, indicando la violazione di specifiche norme di diritto o di interpretazione contrattuale. Non è sufficiente manifestare un generico dissenso rispetto alla decisione. La sentenza consolida l’orientamento secondo cui il mancato conferimento di un incarico superiore non integra automaticamente un demansionamento, se le mansioni svolte dal dipendente rimangono coerenti con la sua qualifica di appartenenza.

Può il mancato rinnovo di una Posizione Organizzativa (P.O.) configurare automaticamente un demansionamento nel pubblico impiego?
No. Secondo l’ordinanza, il demansionamento non è automatico né configurabile in questo specifico caso, poiché la Corte d’Appello ha accertato che i dipendenti svolgevano mansioni coerenti con il loro livello di inquadramento, a prescindere dal precedente incarico di P.O.

Come deve un dipendente contestare la legittimità di una procedura selettiva per l’assegnazione di incarichi?
Non è sufficiente affermare genericamente che la procedura sia illegittima. Il dipendente deve denunciare specificamente la violazione dei criteri di correttezza e buona fede da parte dell’amministrazione, fornendo elementi concreti che consentano al giudice di verificare tale violazione. Contestare la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito non è ammissibile in Cassazione se non si indica la violazione di un preciso criterio legale.

A chi spetta l’onere di provare la correttezza della procedura comparativa per l’attribuzione delle P.O.?
L’onere di provare l’avvenuto e corretto espletamento della procedura comparativa spetta all’ente pubblico. Tuttavia, in questo caso, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti non avessero adeguatamente contestato la decisione di merito, limitandosi a criticare la valutazione delle prove senza fornire elementi sufficienti per dimostrare la fondatezza della loro accusa e consentire alla Corte una verifica sulla legittimità dell’omissione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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