Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19271 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 19271 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18548/2023 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC de ll’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 483/2023 de lla Corte d’Appello di Venezia, depositata il 24.7.2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.6.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Padova ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, contro la sentenza con cui la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la decisione del Tribunale di Padova che, in funzione di giudice del lavoro, accolse la domanda dell’attuale controricorrente volta ad ottenere l’accertamento del proprio demansionamento e la condanna dell’ente datore di lavoro a riassegnarle mansioni corrispondenti alla categoria di inquadramento («Categoria D» di cui al l’allegato A al CCNL Comparto Regioni e Autonomie Locali del 31.3.1999).
Si è difesa con controricorso la lavoratrice, tecnica laureata in architettura, che si era lamentata dell’attribuzione in via esclusiva delle funzioni di responsabile del procedimento per la verifica dell’idoneità abitativa degli immobil i; secondo la sua opinione, poi sostanzialmente condivisa da entrambi i giudici di merito, la sua attività si riduceva a una semplice presa d’atto dell’esito dei sopralluoghi eseguiti da altro personale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente sul l’asserito presupposto che la sentenza della Corte veneziana sarebbe basata su due autonome rationes decidendi , una della quali -l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi -non è stata in effetti censurata dal Comune di Padova.
1.1. La dichiarazione di inammissibilità e il rigetto di una domanda o di un ‘impugnazione non possono mai essere due autonome rationes che concorrono a sostenere la medesima decisione, perché si tratta, invece, di due decisioni tra di loro incompatibili . Il rilievo dell’inammissibilità preclude l’esame nel merito della domanda e il rigetto della domanda è incompatibile con la dichiarazione della sua inammissibilità (Cass. nn. 29529/2022; 7995/2022).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha esaminato nel merito e rigettato l’appello e contro tale decisione è diretto il ricorso del Comune di Padova. Il riferimento, nella motivazione della sentenza, a ll’art. 434 c.p.c. e all’onere di contestazione specifica del contenuto della sentenza appellata è chiaramente diretto a delimitare l’oggetto e l’ambito della cognizione in appello, non a negare ingresso al mezzo di impugnazione.
Il primo motivo di ricorso è proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ed è rubricato «violazione/falsa applicazione della declaratoria contrattuale di cui all’allegato A CCNL Regioni e Autonomie Locali, nella parte in cui ha ritenuto la categoria D da un lato necessariamente contraddistinta da elevate conoscenze plurispecialistiche, contenuti di tipo tecnico, gestionale o direttivo e risoluzione di problemi di elevata complessità, intesi come necessari contemporaneamente e di rilevanza eccezionale, e dall’altro lato ha escluso ogni rilevanza alle ulteriori plurime caratteristiche, tra cui in particolare la ‘rappresentanza istituzionale’ ».
2.1. Il motivo è infondato.
2.1.1. La Corte territoriale ha correttamente interpretato il CCNL Regioni e Autonomie Locali, individuando le
caratteristiche essenziali della Categoria D nelle conoscenze plurispecialistiche richieste al pubblico impiegato, nei contenuti di tipo tecnico, gestionale o direttivo delle mansioni da svolgere e nella complessità elevata dei problemi da affrontare.
Si tratta, infatti, di espressioni tratte direttamente dalla declaratoria contenuta nell’allegato A al CCNL .
È poi vero che non necessariamente devono ricorrere tutte le plurime caratteristiche che connotano la categoria D, ma proprio per questo occorre definire un «tratto comune ed indefettibile», che questa Corte ha già individuato nelle « conoscenze tecnico-specialistiche e competenze professionali che vanno ben oltre quelle di tipo operativo e basate su metodologie definite che connotano la categoria C », mentre non hanno rilievo, presi singolarmente, l’essere l’impiegato preposto a un ufficio o delegato ad avere relazioni esterne (Cass. n. 238/2023).
2.1.2. A tale impostazione, cui si intende qui dare continuità, si è attenuta la sentenza impugnata.
Erra, infatti, il ricorrente laddove accusa la Corte d’Appello di Venezia di avere inteso l’aggettivo «elevate» -che la declaratoria contrattuale associa alle conoscenze del lavoratore e alla complessità dei problemi da risolvere -in un senso restrittivo ed equivalente a «di rilevanza eccezionale». Espressione, quest’ultima, che non compare nella sentenza impugnata e che tradisce anche lo spirito e il senso sostanziale della sua motivazione.
Il secondo motivo censura, « in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: nullità della sentenza per assenza assoluta di motivazione per avere escluso, tramite mero
richiamo al documento …, che la lavoratrice avesse il potere di sottoscrivere il provvedimento finale …, a fronte di un documento che, al contrario, espressamente le conferiva il potere di assumerlo».
Il ricorrente sostiene che il giudice d’appello avrebbe travisato il contenuto dell’atto di conferimento dell’incarico di responsabile del procedimento per la verifica dell’idoneità abitativa degli immobili, laddove ha negato che l’incarico comprendesse anche l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento.
Il terzo motivo denuncia, «in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: nullità della sentenza per assenza assoluta di motivazione per avere escluso che la lavoratrice avesse un ruolo di supervisore che richiedesse il possesso di spiccata professionalità tecnica per valutare le risultanze delle verifiche e accertamenti eseguiti dai collaboratori nel corso dell’istruttoria … , tramite il richiamo al documento … che la stessa sentenza dava tuttavia nel contempo conto avere un contenuto diverso … ».
Il ricorrente c ensura l’affermazione del giudice d’appello secondo cui l’attività assegnata alla lavoratrice sarebbe consistita, nella sostanza, in un mero recepimento dei dati dei sopralluoghi effettuati da altri e delle valutazioni eseguite da costoro.
I due motivi, da esaminare congiuntamente, per la stretta connessione tra di loro, sono entrambi inammissibili, perché, nonostante il tentativo di declinarli nei termini di una denuncia del vizio di motivazione assente, sono in realtà volti a censurare l’accertamento del fatto, insindacabile in sede di legittimità.
5.1. È principio ben noto e consolidato che il difetto di motivazione, in base al vigente testo dell’ art. 360, comma 1, c.p.c., è censurabile con il ricorso per cassazione solo nel caso di motivazione del tutto assente o meramente apparente o insanabilmente contraddittoria, tale per cui non sia rispettato il «minimo costituzionale» garantito dall’art. 111, comma 6, Cost. (v., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014).
È dunque evidente che non può integrare gli estremi di una denuncia di siffatto vizio radicale la censura limitata all’apprezzamento di un singolo mezzo di prova, tra quelli utilizzati dal giudice del merito, o a una delle argomentazioni con cui è motivata la decisione impugnata.
5.2. Al di là di questo, irrilevante è la critica concentrata su ll’affermazione della Corte d’Appello secondo cui alla lavoratrice non era conferito il potere di firmare il provvedimento finale, posto che -come già rilevato sopra -non è stato questo l’ unico aspetto, né quello più importante, valorizzato nel giudizio su ll’assenza, nell’attività svolta, dei tratti caratterizzanti della categoria D.
5.3. Quanto all ‘assenza di «spiccata professionalità tecnica» nelle mansioni assegnate alla lavoratrice, è paradossale che il ricorrente prospetti la nullità della sentenza per omessa motivazione, senza nemmeno confrontarsi con il rilievo della Corte territoriale che la delibera di conferimento di incarico imponeva all ‘ attuale controricorrente di rivolgersi al titolare di posizione organizzativa in tutti i casi «che dovessero rappresentare aspetti di particolare rilevanza o dovessero assumere connotazione di particolarità o specialità». Il che vale quanto dire che alla lavoratrice non era lasciata autonomia decisionale su qualsiasi questione trascendente l ‘ordinaria routine .
Rigettato il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Non si ravvisano invece gli estremi della lite temeraria necessari per accogliere la domanda della lavoratrice di condanna della parte soccombente al pagamento di un’ulteriore somma ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a d € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
si dà atto che sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19.6.2024.