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Demansionamento: onere della prova del lavoratore

Un dipendente di un istituto di credito ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro per un presunto demansionamento a seguito di due trasferimenti, lamentando una drastica riduzione del portafoglio clienti e un impoverimento delle mansioni. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. L’ordinanza sottolinea un principio fondamentale: in una causa per demansionamento, è il lavoratore ad avere l’onere della prova, che include non solo la dimostrazione ma, prima ancora, la specifica e dettagliata allegazione dei fatti. La mancata descrizione puntuale delle nuove e inferiori mansioni svolte impedisce al giudice di effettuare la necessaria valutazione comparativa, rendendo la domanda infondata.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento e Onere della Prova: La Cassazione Chiarisce

Il demansionamento sul posto di lavoro è una delle questioni più delicate e sentite nel diritto del lavoro. Si verifica quando un dipendente viene adibito a mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica, con un conseguente danno alla sua professionalità e dignità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: per ottenere tutela, il lavoratore non solo deve provare, ma prima ancora deve allegare in modo specifico e dettagliato i fatti che costituiscono la dequalificazione. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: Trasferimenti e Presunta Dequalificazione

Un dipendente di un importante istituto di credito, con la qualifica di quadro direttivo e mansioni di private banker, lamentava di aver subito un grave demansionamento. La vicenda si è sviluppata in due fasi principali:

1. Primo Periodo: A seguito di un trasferimento da Milano a Viareggio, il lavoratore sosteneva che il suo portafoglio clienti fosse stato drasticamente ridotto, passando da un valore prospettato di 70-100 milioni di euro a circa 1,4 milioni, svuotando di fatto le sue mansioni.
2. Secondo Periodo: Successivamente, dopo essere stato ritrasferito a Milano con l’incarico di “specialista settore titoli”, il dipendente riteneva di essere rimasto di fatto dequalificato.

Sulla base di queste premesse, il lavoratore si era dimesso per giusta causa e aveva chiesto in tribunale l’accertamento del demansionamento, il risarcimento dei danni e il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano però respinto le sue domande relative alla dequalificazione professionale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso del lavoratore. La Suprema Corte ha ritenuto i motivi di ricorso in parte inammissibili e in parte infondati, consolidando principi fondamentali in materia di onere probatorio e di allegazione nei casi di demansionamento.

Le Motivazioni: L’Onere di Allegazione nel Demansionamento

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella distinzione tra onere di allegazione e onere della prova. Per i giudici, prima ancora di dover provare un fatto, la parte ha l’obbligo di allegarlo, cioè di descriverlo in modo preciso e circostanziato nei propri atti processuali. Nel caso specifico, la Corte ha analizzato separatamente i due periodi contestati.

Per quanto riguarda il trasferimento a Viareggio, la Corte d’Appello aveva già accertato, sulla base di documenti prodotti dalla banca, che la riduzione del portafoglio clienti non era avvenuta nei termini catastrofici descritti dal lavoratore, ma era stata molto più contenuta. La Cassazione ha sottolineato che questa è una valutazione di fatto, basata sull’analisi delle prove, che non può essere riesaminata in sede di legittimità.

Il punto cruciale, tuttavia, riguarda il secondo periodo, quello successivo al rientro a Milano. La Corte ha evidenziato come il lavoratore, nel suo ricorso iniziale, si fosse limitato a lamentare genericamente la dequalificazione, senza però mai specificare quali fossero, in concreto, le nuove mansioni di “specialista settore titoli” che gli erano state assegnate. Questa carenza di allegazione è risultata fatale. I giudici hanno spiegato che, in assenza di una descrizione puntuale dei nuovi compiti, era impossibile per il tribunale effettuare una valutazione comparativa con le precedenti mansioni di private banker per stabilire se vi fosse stato o meno un impoverimento professionale. Non è sufficiente affermare di essere stati demansionati; è necessario spiegare come e perché, descrivendo nel dettaglio le attività svolte.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratore e Azienda

L’ordinanza in esame offre una lezione fondamentale per lavoratori e aziende. Per il lavoratore che si ritiene vittima di demansionamento, non basta sentirsi dequalificato: è indispensabile, fin dal primo atto giudiziario, allegare e descrivere con la massima precisione i fatti. Ciò significa elencare in modo dettagliato le mansioni precedentemente svolte e quelle nuove, evidenziando le differenze qualitative e quantitative. Affermazioni generiche o il semplice rinvio a documenti non possono sopperire a una carenza nell’esposizione dei fatti. Per l’azienda, questa pronuncia ribadisce l’importanza di documentare con precisione i passaggi di ruolo e le mansioni assegnate, al fine di poter dimostrare, in caso di contenzioso, la coerenza tra l’inquadramento del dipendente e le attività effettivamente richieste.

Cosa deve fare un lavoratore per dimostrare di aver subito un demansionamento?
Secondo la Corte, il lavoratore ha innanzitutto l’onere di allegare, cioè descrivere in modo specifico e dettagliato nel ricorso iniziale, quali fossero le mansioni precedenti e quali le nuove, evidenziando gli elementi che ne dimostrino l’inferiorità. Solo successivamente dovrà fornire le prove di quanto allegato.

Una riduzione quantitativa del portafoglio clienti costituisce sempre demansionamento?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che non ogni modifica quantitativa si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale. Nel caso esaminato, i giudici di merito hanno accertato, sulla base di prove documentali, che la riduzione non era così grave come sostenuto dal lavoratore, escludendo quindi il demansionamento sotto questo profilo.

Perché la domanda relativa al secondo periodo di presunto demansionamento è stata respinta?
La domanda è stata respinta perché il lavoratore non ha adempiuto al suo onere di allegazione. Egli non ha specificato nel ricorso quali fossero le concrete mansioni svolte come “specialista settore titoli”. Questa omissione ha impedito al giudice di effettuare un confronto con le precedenti mansioni di ‘private banker’ e, di conseguenza, di valutare la sussistenza della lamentata dequalificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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