Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1627 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 1627  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2037-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALEo dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente-
avverso  la  sentenza  n.  189/2019  della  CORTE  D’APPELLO  di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 07/10/2019 R.G.N. 80/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 2037/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/11/2024
CC
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 7.10.19 la corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha confermato la sentenza del 17.2.18 del tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda avanzata dalla lavoratrice in epigrafe nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti nella misura di oltre euro 90.000 derivanti da dequalificazione e demansionamento professionale subiti nel periodo 20052010, nonché al pagamento delle differenze retributive maturate dal 2001 a titolo di indennità di posizione e di risultato in relazione alle mansioni svolte e alle responsabilità gestionali, nella misura di oltre euro 83.000 ed euro 33.000 rispettivamente, oltre accessori.
In  particolare,  la  corte  territoriale  -per  quel  che  qui rileva- ha ritenuto priva di pregio la domanda, in quanto la ricorrente aveva fondato l’accertamento della dequalificazione e del dema nsionamento sull’essere stata assegnata a mansioni non equivalenti alle ultime svolte, laddove ciò che rileva in materia è soltanto la inferiorità delle mansioni rispetto a quelle previste dalla contrattazione  collettiva,  in  relazione  alla  qualifica  di appartenenza.
La corte ha quindi accertato che i servizi assegnati alla ricorrente  dopo  la  riorganizzazione  dell’ateneo  (servizio master  e  alta  formazione  dal  2000  al  2005  e  servizio relazioni internazionali successivamente al 2005) rientravano nella qualifica di appartenenza Categoria EP (e non invece nella categoria inferiore D, come asserito dalla lavoratrice).
Avverso  tale sentenza  ricorre la lavoratrice per tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste con
controricorso l’università.
Il Collegio, all’esito della camera  di  consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il  ricorso  domanda  la  cassazione  della  sentenza  sulla base di tre motivi.
Con  il  primo  motivo  si  deduce  ex  art.  360  co.  1  n.  5 c.p.c.  omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ex art.  360  n.  5  c.p.c.:  la  ricorrente  addebita  alla  Corte territoriale  di  avere  erroneamente  affermato  che  con l’atto  introduttivo  del  giudizio  di  primo  grado  non  era stata contestata la riconducibilità delle mansioni successivamente espletate alla categoria EP.
Il motivo è inammissibile, in quanto  la parte  non individua il fatto ( nei termini specificati da Cass. S.U. n. 8053/2014)  che  sarebbe  stato  trascurato  dalla  corte territoriale e, per altro verso, non individua correttamente l’ error in procedendo in cui sarebbe incorsa  la  corte,  tanto  più  che  la  censura  non  è  stata proposta  ai  sensi  del  n.  4  dell’art.  360  c.p.c.,  né  sono stati  denunciati la nullità della sentenza impugnata e la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il  secondo  motivo  deduce  violazione  dell’articolo  437 c.p.c.,  per  avere  la  corte  territoriale  trascurato  che  la ricorrente  non  aveva  modificato  la  domanda,  essendo rimasti immutati sia la causa petendi sia i fatti costitutivi del diritto.
Il  motivo presenta profili di inammissibilità perché
si  ricollega  al  primo  e  presuppone  una  interpretazione della domanda diversa da quella data all’atto dalla corte territoriale.
Se si resta nell’ambito dell’interpretazione data dal giudice d’appello al ricorso introduttivo, va evidenziato che la corte ha correttamente considerato che il riferimento delle mansioni a categoria inferiore rispetto alla categoria EP spettante integra un mutamento della domanda originaria che era stata proposta in quanto le mansioni erano non equivalenti alle ultime svolte. Il motivo di ricorso è dunque infondato, in quanto la pretesa risarcitoria fondata sul principio della equivalenza sostanziale degli incarichi implica una causa petendi ed un accertamento fattuale diverso da quello posto a fondamento di una domanda di demansionamento per essere le mansioni riferibili alla categoria o all’area inferiore.
Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 1362 c.c., 115, 116 e 416 c.p.c., nonché vizio di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver considerato il riconoscimento da parte dell’università delle medesime mansioni a personale della categoria inferiore D successivamente al pensionamento della ricorrente; in particolare, si contesta l’interpretazione data dalla Corte territoriale alla memoria difensiva dell’RAGIONE_SOCIALE ed è denunciata la violazione del principio di non contestazione perché, a detta della ricorrente, la resistente avrebbe ammesso che le mansioni non erano riconducibili alla categoria EP.
Premesso che «spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo
riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte» (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019), e che le censure all’interpretazion e degli atti non possono risolversi nella semplice prospettazione di una interpretazione alternativa, si osserva che la pretesa non contestazione è già stata correttamente disattesa dalla corte che ha rilevato che il riconoscimento del conferimento delle medesime mansioni a personale della categoria inferiore D successivamente al pensionamento della ricorrente non equivale a confessione né a non contestazione, ma è semplicemente una valutazione della qualifica riferibile alle mansioni.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano  in  euro  4.500  per  compensi  professionali  oltre  al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1  quater,  del  DPR  n.115/02  dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo  di  contributo  unificato,  pari  a  quello  previsto  per  il ricorso,  a  norma  del  comma  1  bis  dello  stesso  art.  13,  se dovuto.