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Demansionamento: la corretta impostazione del ricorso

Una dipendente universitaria ha citato in giudizio l’ateneo per demansionamento, sostenendo di aver ricevuto mansioni non equivalenti alle precedenti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che per provare il demansionamento non basta l’assenza di equivalenza con le mansioni passate, ma è necessario dimostrare che i nuovi compiti sono inferiori a quelli previsti dalla propria categoria contrattuale. La sentenza sottolinea l’importanza di impostare correttamente la causa petendi (la ragione della domanda) fin dal primo grado di giudizio.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento: Non Basta Provare la Non Equivalenza delle Mansioni

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale in materia di demansionamento professionale. Per ottenere un risarcimento, non è sufficiente dimostrare che le nuove mansioni non sono ‘equivalenti’ a quelle svolte in precedenza, ma è cruciale provare che esse sono qualitativamente inferiori rispetto alla propria categoria contrattuale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una dipendente di un’università pubblica ha intentato una causa contro il suo datore di lavoro, chiedendo un cospicuo risarcimento danni. La lavoratrice sosteneva di aver subito un demansionamento e una dequalificazione professionale nel periodo tra il 2005 e il 2010. Inoltre, richiedeva il pagamento di differenze retributive maturate fin dal 2001 per indennità di posizione e di risultato.

La sua domanda si basava sulla convinzione che i nuovi incarichi assegnatile dopo una riorganizzazione interna (servizio master e alta formazione, poi servizio relazioni internazionali) non fossero equivalenti a quelli che svolgeva in precedenza. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello hanno rigettato le sue richieste.

L’Analisi della Corte sul Demansionamento

La Corte d’Appello ha respinto la domanda della lavoratrice, evidenziando un errore cruciale nell’impostazione della sua richiesta. Secondo i giudici, il parametro per valutare un eventuale demansionamento non è l’equivalenza con le mansioni precedentemente svolte, bensì la coerenza delle nuove mansioni con la qualifica di appartenenza prevista dal contratto collettivo.

Nel caso specifico, la corte ha accertato che i servizi assegnati alla ricorrente rientravano pienamente nella sua categoria professionale (EP) e non in una categoria inferiore (D), come da lei sostenuto. La lavoratrice ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, basando il suo appello su tre motivi principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorso della lavoratrice verteva su tre punti:
1. Omesso esame di un fatto decisivo: La ricorrente accusava la Corte d’Appello di aver erroneamente affermato che lei non avesse mai contestato, nel primo atto del giudizio, la riconducibilità delle nuove mansioni alla sua categoria EP.
2. Violazione di norme procedurali: Si lamentava che la corte avesse considerato la sua argomentazione come una modifica inammissibile della domanda iniziale.
3. Errata interpretazione e vizio di motivazione: Contestava il fatto che la corte non avesse considerato come un’ammissione il fatto che, dopo il suo pensionamento, le stesse mansioni fossero state assegnate a personale di categoria inferiore (D).

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili o infondati tutti i motivi del ricorso. In primo luogo, ha chiarito che spostare il focus della domanda dalla ‘non equivalenza’ delle mansioni rispetto alle precedenti alla ‘inferiorità’ rispetto alla categoria contrattuale costituisce un mutamento della causa petendi, ovvero del fondamento giuridico della richiesta. Una simile modifica non è consentita nei gradi successivi del giudizio se non introdotta correttamente.

Il concetto di equivalenza sostanziale tra incarichi, su cui si basava inizialmente la lavoratrice, implica un accertamento fattuale diverso rispetto alla verifica della riconducibilità delle mansioni a una specifica categoria contrattuale. La Corte ha quindi confermato la correttezza della decisione dei giudici di merito.

Riguardo al terzo motivo, la Cassazione ha ribadito che l’interpretazione degli atti processuali e la valutazione della condotta delle parti (come la presunta ‘non contestazione’) sono di competenza esclusiva del giudice di merito. L’aver assegnato le stesse mansioni a personale di categoria inferiore dopo il pensionamento della ricorrente non equivale a una confessione da parte dell’università, ma rappresenta semplicemente una diversa valutazione della qualifica riferibile a tali compiti in un momento successivo.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato definitivamente il ricorso, condannando la lavoratrice al pagamento delle spese legali. Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale nel diritto del lavoro: per agire con successo in una causa per demansionamento, il lavoratore deve fondare la propria domanda sulla dimostrazione che le nuove mansioni sono qualitativamente inferiori rispetto al livello di inquadramento previsto dal contratto collettivo di riferimento. Argomentare semplicemente che i nuovi compiti non sono equivalenti a quelli svolti in passato è un approccio giuridicamente debole e rischia di portare al rigetto della domanda per un errore di impostazione iniziale.

Qual è il criterio corretto per dimostrare un demansionamento?
Per dimostrare un demansionamento, il lavoratore deve provare che le nuove mansioni assegnategli sono inferiori a quelle previste dalla sua qualifica di appartenenza, come definita dalla contrattazione collettiva. Non è sufficiente sostenere che non siano equivalenti alle mansioni svolte in precedenza.

È possibile modificare il fondamento della propria domanda per demansionamento nel corso del processo?
No, non è possibile. Cambiare il fondamento della domanda, ad esempio passando dalla richiesta basata sulla ‘non equivalenza’ delle mansioni a quella basata sulla ‘inferiorità’ rispetto alla qualifica, costituisce un mutamento della ‘causa petendi’ che, se non correttamente gestito nei termini di legge, rende la domanda inammissibile.

Se dopo il mio pensionamento le mie stesse mansioni vengono assegnate a un dipendente di livello inferiore, questo prova che ero demansionato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questa circostanza non costituisce una confessione o un’ammissione da parte del datore di lavoro. Si tratta semplicemente di una successiva valutazione della qualifica attribuibile a quelle mansioni, che non ha valore di prova retroattiva per una presunta precedente dequalificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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