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Demansionamento infermiere: l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’infermiera che lamentava un demansionamento per essere stata adibita a mansioni inferiori (tipiche di OSS). La decisione si fonda sulla mancata allegazione e prova, da parte della lavoratrice, del carattere prevalente, sia in termini quantitativi che temporali, di tali mansioni rispetto a quelle proprie della sua qualifica. La Corte ha sottolineato che, senza una prova specifica della prevalenza, le mansioni inferiori possono essere considerate meramente complementari e non costituiscono demansionamento.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento infermiere: quando provare lo svolgimento di mansioni inferiori non basta

Il tema del demansionamento infermiere è una questione delicata e frequente nel diritto del lavoro sanitario. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali sull’onere della prova che grava sul lavoratore. La Suprema Corte ha stabilito che non è sufficiente dimostrare di aver svolto compiti inferiori, ma è necessario provare che tali compiti fossero prevalenti rispetto a quelli propri della qualifica. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

Una infermiera professionale si rivolgeva al Tribunale lamentando di essere stata adibita, sin dal 1990, a mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica, tipiche del personale di supporto (OSS e OTA), come l’igiene dei pazienti, il cambio di lenzuola e pannoloni, e il trasporto. Il Tribunale di Frosinone accoglieva la sua domanda, riconoscendo il demansionamento e condannando l’Azienda Sanitaria Locale a riadibirla alle mansioni corrette e a risarcire il danno.

L’Azienda Sanitaria, tuttavia, impugnava la decisione. La Corte d’Appello di Roma ribaltava la sentenza di primo grado, rigettando il ricorso dell’infermiera. La motivazione del giudice d’appello era netta: sebbene le prove testimoniali avessero confermato lo svolgimento di mansioni inferiori, la lavoratrice non aveva allegato né provato in modo specifico la prevalenza, in termini quantitativi e temporali, di queste attività rispetto a quelle propriamente infermieristiche. Secondo la Corte d’Appello, in assenza di tale prova, le mansioni inferiori dovevano considerarsi meramente strumentali e complementari, e quindi non demansionanti.

La specificità della prova nel demansionamento infermiere

Insoddisfatta della decisione d’appello, l’infermiera proponeva ricorso per Cassazione, basandolo su tre motivi principali. Sostanzialmente, lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente interpretato le norme sul demansionamento e la ripartizione dei compiti tra infermieri e personale di supporto, e che non avesse considerato le precise allegazioni contenute nel ricorso introduttivo sulla prevalenza delle mansioni dequalificanti.

Inoltre, la ricorrente invocava la violazione dell’articolo 49 del codice deontologico dell’infermiere, che ammette lo svolgimento di compiti diversi solo in situazioni eccezionali di carenza e disservizio, e non in modo costante e continuativo come nel suo caso.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni degli Ermellini sono un’importante lezione sull’onere della prova nel contenzioso per demansionamento.

La Corte ha spiegato che i motivi del ricorso non si confrontavano adeguatamente con la ratio decidendi (la ragione fondamentale) della sentenza d’appello. Il punto centrale non era se l’infermiera avesse o meno svolto mansioni da OSS, ma se avesse provato che tali mansioni erano prevalenti. La Corte d’Appello aveva concluso per una carenza di allegazione e prova su questo specifico aspetto. Di conseguenza, il ricorso in Cassazione, limitandosi a ribadire lo svolgimento delle mansioni inferiori, non scalfiva il nucleo della motivazione impugnata.

La Suprema Corte ha ribadito che, in mancanza di una prova chiara sulla prevalenza quantitativa e temporale, le mansioni inferiori svolte in parallelo a quelle qualificanti vengono considerate complementari all’attività principale e non integrano la fattispecie del demansionamento. Riguardo alla violazione del codice deontologico, la Corte ha specificato che tale violazione non può costituire un motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., in quanto non si tratta di una norma di diritto la cui violazione può essere fatta valere in quella sede.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: nel contenzioso per demansionamento infermiere, e più in generale per ogni lavoratore, l’onere della prova è rigoroso. Non è sufficiente elencare i compiti dequalificanti svolti; è indispensabile allegare in modo specifico e poi dimostrare con prove concrete (ad esempio, testimonianze precise su orari e frequenza) che tali compiti hanno assorbito la maggior parte del tempo lavorativo, svuotando di contenuto la professionalità per cui si è stati assunti. Per i lavoratori e i loro legali, questa decisione rappresenta un monito a costruire cause di demansionamento su basi probatorie solide e dettagliate, concentrandosi non solo sul ‘cosa’ si è fatto, ma soprattutto sul ‘quanto’.

Perché il ricorso dell’infermiera è stato respinto in appello e poi dichiarato inammissibile in Cassazione?
La Corte d’Appello ha respinto il ricorso perché l’infermiera non ha specificamente allegato e provato che le mansioni inferiori svolte fossero prevalenti, sia in termini di quantità che di tempo, rispetto alle sue mansioni infermieristiche. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi proposti non contestavano efficacemente questa specifica ragione della decisione d’appello (la ratio decidendi).

Svolgere mansioni inferiori è sempre considerato demansionamento?
No. Secondo questa ordinanza, se le mansioni inferiori sono svolte in modo non prevalente e risultano complementari o strumentali alle mansioni principali della propria qualifica, non si configura un demansionamento illecito. È necessario dimostrare che le attività dequalificanti hanno di fatto svuotato la professionalità del lavoratore.

La violazione del codice deontologico di una professione può essere usata come motivo per un ricorso in Cassazione?
No. La Suprema Corte ha chiarito che la violazione di norme deontologiche non rientra tra le violazioni di norme di diritto che possono essere fatte valere come motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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