Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20756 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20756 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5178-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente – principale –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 506/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2021 R.G.N. 5173/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/05/2024
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da NOME COGNOME e in parziale riforma della sentenza gravata, condannava la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dell’appellante incidentale, a titolo di risarcimento del danno da demansionamento, della somma di € 103.902 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dall’1/1/2014 ed alla rifusione delle spese processuali del doppio grado.
La Corte confermava invece la condanna al pagamento delle differenze retributive liquidate in primo grado.
Contro la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi ai quali ha resistito NOME COGNOME con controricorso contenente ricorso incidentale con due motivi. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
Sintesi dei motivi del ricorso principale
1. Con il primo motivo di ricorso principale si sostiene la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.) in relazione agli artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c., avendo la Corte di appello fornito un’interpretazione degli Accordi di secondo livello applicabili alla fattispecie in contrasto con i canoni ermeneutici di letteralità e di interpretazione complessiva delle clausole. Secondo la ricorrente la Corte d’appello avrebbe violato gli accordi di secondo livello che regolamentano la retribuzione dei quadri nel riconoscere le somme a titolo di indennità di funzione. In particolare RAGIONE_SOCIALE ha fatto rilevare che tali accordi erano quello del 26 aprile 2001, del 22 marzo 2005, del 6 dicembre
2011 e l’accordo del 17 aprile 2013, quest’ultimo mai applicato da RAGIONE_SOCIALE a seguito della mancata formale ratifica da parte del Cda , che anzi aveva dichiarato la sua inefficacia con delibera del 28 maggio 2013. I conteggi svolti in primo grado dal lavoratore in relazione alla indennità di funzione erano stati compiuti tutti sulla base delle voci di cui alla lettera c) degli accordi sopraccitati. Il diritto a percepire l’indennità di funzione nella misura di cui alla lettera c) deriverebbe secondo il lavoratore dalla sentenza della Corte d’appello n. 1017/2012.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.2.- In primo luogo va evidenziato che la Corte di appello ha confermato la pronuncia del tribunale relativa alle differenze retributive spettanti al lavoratore a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n. 1017/2012 della Corte d’appello di Roma (a seguito della dichiarazione di improcedibilità del ricorso con sentenza della Corte di cassazione n. 262/2018); differenze quantificate dal tribunale in € 54.594,34, oltre accessori, relativamente all’indennità di funzione rigettando il motivo d’appello relativo all’interpretazione degli accordi aziendali in tema di indennità di funzione quadri, che si sono succeduti tempo per tempo.
La Corte ha richiamato e confermato le motivazioni e gli accertamenti effettuati in proposito dal tribunale in ordine al possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti in relazione alle diverse misure ( a, b, c) delle indennità di funzione previste nei diversi accordi con le relative decorrenze.
1.3.- In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che il tribunale avesse accolto la richiesta concernente la corresponsione dell’indennità di funzione Quadri a decorrere dal 26 ottobre 2000 considerando l’indennità spettante al lavoratore inquadrato nel primo livello Super Quadri lettera b )
dell’accordo aziendale del 26 febbraio 2001 successivi dal gennaio 1996 ; e lettera c) a decorrere dal 1 gennaio 2012. A differenza di quanto lamentato in ricorso quindi la Corte ha pure ricordato che il primo giudice aveva rigettato invece la domanda del lavoratore che rivendicava sempre l’indennità di cui alla lett. c), perché il NOME COGNOME non aveva i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti allo scopo.
1.4. La Corte territoriale ha poi disatteso la censura sollevata dall’appellante principale secondo cui il tribunale non aveva tenuto conto, quanto ai miglioramenti economici previsti espressamente dall’accordo del 2013, del fatto che detto accordo sarebbe stato dichiarato inefficace con delibera del CdA del 28 maggio 2013. La Corte d’appello ha sostenuto sul punto che la delibera in questione non fosse stata prodotta in giudizio e che fosse intervenuta la decadenza; rilevando comunque che neppure in appello fosse stato prodotto detto documento e che era mancata la relativa istanza ex art. 437 c.p.c.
1.5. La Corte ha rigettato altresì la censura di RAGIONE_SOCIALE relativamente al riconoscimento della indennità di funzione di cui alla lettera b) successivamente al 26 ottobre 2000 in quanto si trattava di una censura del tutto generica ed assertiva e non considerava l’iter logico argomentativo seguito dal giudice di primo grado; dal quale si evinceva che fosse stata la stessa società ad aver attribuito, sia pure tardivamente e in misura non adeguata, al RAGIONE_SOCIALE COGNOME l’indennità quadri.
1.6. Ha quindi concluso la Corte territoriale che l’appello principale dovesse essere respinto considerato che il passaggio motivazionale (della sentenza di primo grado) esplicitava, condivisibilmente ed anche con relatio ai rispettivi accordi esaminati e posti a fondamento della pronuncia, che l’accordo del dicembre 2011 era applicabile al lavoratore, considerato che
era soddisfatto il parametro di cui alla lettera c) ovvero l’intervenuta permanenza del NOME COGNOME nel parametro di cui alla lettera b) per oltre otto anni, permanenza che nel caso di specie era stata maturata in conformità alle previsioni dell’accordo, alla data dell’1/1/2012.
1.7. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso deve essere respinto atteso che esso non si confronta con le specifiche, puntuali ed articolate ragioni della decisione, ripropone senza argomentazioni specifiche censure già rigettate, omette di considerare che sul punto si è dinanzi ad una ‘doppia conforme’ e sollecita altresì una differente interpretazione della contrattazione aziendale e dei fatti di causa ad essa sottesi, siccome posti a fondamento della stessa interpretazione giudiziale.
1.8. In proposito, va ricordato che sul piano processuale la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro aziendali non è stata parificata a quella delle norme di diritto perché tale parificazione riguarda soltanto i contratti collettivi nazionali di lavoro (e solo per questi non deve essere veicolata attraverso la deduzione delle regole di ermeneutica contrattuale) pertanto l’interpretazione delle clausole del contratto collettivo aziendale devono essere contestata in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c. e ss.) con specifica indicazione delle norme asseritamente violate e indicazione di come il giudice di merito si sia discostato da canoni legali assunti come violati (Cass. n. 21888/2016; Cass. n. 4460/2020).
1.9. Nel caso in esame sul punto il ricorso è meramente assertivo e mira a censurare non già una errata applicazione dei criteri interpretativi negoziali previsti dalla legge, quanto piuttosto il risultato dell’attività ermeneutica in quanto tale,
siccome non rispondente a quello desiderato dalla parte. Ma come noto, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); tali valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma la denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei contratti non può certo risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000).
Nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale, la parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione più favorevole; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 e 18735 del 2006).
1.10. Inoltre va disatteso lo stesso motivo laddove contesta la sussistenza dei presupposti per la corresponsione dell’indennità di funzione di cui alla lettera C) a partire dal 1 gennaio 2012; mirando pure esso a sindacare l’accertamento di fatto e
collegandosi per il resto al motivo successivo che si passa ad esaminare.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.) in relazione agli artt.345 comma 3 c.p.c. e 421 e 437 c.p.c., per non avere la Corte di Appello disposto l’acquisizione di una prova documentale richiesta dalla Società ricorrente, nonostante la sua evidente indispensabilità.
2.1. Il motivo è privo di fondamento atteso che la Corte d’appello, come già detto, ha accertato che nulla era stato provato al riguardo, la delibera doveva essere prodotta da RAGIONE_SOCIALE, e non c’era stata alcuna istanza per l’acquisizione di detta delibera neppure in appello.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.) in relazione agli artt. 2103, 2059 e 2697 c.c. per avere la Corte di Appello invertito l’onere probatorio in materia di accertamento del demansionamento.
Con il quarto motivo si afferma la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.) in relazione in relazione agli artt. 414, 420, 115 e 116 c.p.c. ed agli artt. 2697, 1226, 2103 e 2043c.c., per avere la Corte di appello accertato la sussistenza del demansionamento in difetto di adeguate allegazioni e di concreti e fondati elementi di prova.
4.1. I motivi terzo e quarto, da valutare unitariamente per connessione, sono inammissibili.
La Corte ha correttamente richiamato il principio secondo cui l’onere della prova in tema di esatto adempimento dell’obbligo ex art.2103 c.c. grava sul datore di lavoro. Inoltre ha comunque accertato in fatto che il lavoratore (nonostante la sua qualifica di Quadro primo livello Super) dal maggio 2008 fosse stato
posto in una posizione del tutto subordinata rispetto al collega COGNOME da lui diretto in precedenza ed in una posizione analoga a quella di altri ispettori ( COGNOME e COGNOME). Del resto che il lavoratore avesse svolto “mere mansioni di ispettore non di quadro, risulta non solo da quanto rilevato, ma a ben vedere anche dalle stesse deduzioni in fatto svolta dalla società datrice di lavoro. Si legge a pagina 14 della memoria di costituzione in primo grado che il dipendente aveva svolto dal 5 luglio 2007 esclusivamente attività connesse alla mansione di ispettore. Mansione evidentemente ben diversa ed inferiore rispetto al profilo riconosciutogli anche quale capo sezione poi capo funzione.’
4.2. Le due censure comunque sono infondate nel merito poiché non esiste alcuna violazione dell’onere della prova sul demansionamento, né carenza di prova del demansionamento. In relazione al danno, correttamente si afferma nella gravata pronuncia che il giudice possa desumere l’esistenza del pregiudizio, determinandone anche l’entità, in via equitativa, con processo logico -giuridico attinente alla formazione della prova , anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionanento, all’esito finale della dequalificazione ed alle altre circostanze del caso concreto ( Cass. 14729/2006, Sez. Unite 6752/2006, Cass. 15955/2004).
Con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art.111 comma 6 della Costituzione e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’art.360 comma 1 n.3 e 4 posto che in relazione sempre all’accertam ento del demansionamento sussisterebbe una manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione; laddove la sentenza impugnata, da un lato, conferma la
spettanza dell’indennità di funzione al NOME COGNOME per lo svolgimento delle funzioni di quadro addirittura riconoscendo l’indennità C) in considerazione delle funzioni svolte dal NOME COGNOME e, dall’altro lato, per il medesimo periodo, afferma che lo stesso lavoratore sia stato gravemente demansionato.
5.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e perché costituisce una mera petizione di principio, dal momento che non risulta neppure documentato ex actis che si stia discutendo effettivamente del medesimo periodo di tempo. Inoltre va aggiunto che il vizio di motivazione può essere censurato in C assazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico della impugnata pronuncia.
Sintesi dei motivi di ricorso incidentale
6.- Col primo motivo di ricorso incidentale si deduce violazione falsa applicazione dell’articolo 1362 seguenti c.c. violazione degli articoli 99, 112, 113, 115 e 116 c.p.c. violazione dei principi in tema di corrispondenza fra il richiesto e il pronunciato, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., per aver respinto la domanda intesa ad ottenere il riconoscimento del trattamento di quadro di cui alla lettera c) dell’accordo aziendale del 2001 e seguenti sin dal 26 ottobre 2000 in quanto sussistenti gli elementi indicati dal citato accordo, così come già dichiarati dalla Corte d’appello con la sentenza di accertamento del 2012 6.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha confermato sul punto l’accertamento del primo giudice negando che la sentenza passata in giudicato contenesse tutti gli elementi, anche di fatto, che avrebbero consentito di attribuire al COGNOME l’indennità di funzione di cui alla lettera c) sin dal 26.10.2000.
Al contrario, secondo la Corte d’appello, fermo il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nel primo livello super quadri del contratto collettivo con decorrenza dall’1/1/1994, la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE era stata emessa considerando ‘ogni effetto di legge e di co ntratto’ ; ossia essa doveva essere attuata dal datore di lavoro che avrebbe dovuto ricostruire la carriera attraverso atti e provvedimenti di inquadramento che rendessero effettivo e puntuale quanto riconosciuto al dipendente, in forza delle previsioni contrattuali ed in forza degli Accordi, allo scopo di individuare le indennità spettanti ai quadri nella misura desumibile dagli accordi succedutisi nel tempo in base ai parametri di volta in volta previsti (a, b, c,).
La doglianza proposta dell’appellante incidentale relativa all’erroneo inquadramento operato dal primo giudice si fondava invece esclusivamente su un preteso automatismo che sarebbe derivato dall’intervenuto giudicato esterno. Mentre quella pronuncia necessitava di adeguamento spontaneo da parte del datore di lavoro che avrebbe dovuto procedere a ricostruire la carriera del Re COGNOME o sotto il duplice profilo dell’aderenza alla normativa legale e contrattuale. Solo all’esito la condanna generica contenuta nella pronuncia giudiziale avrebbe potuto essere quantificata.
Ciò posto, va ricordato che anche su questo punto c’è una ‘doppia conforme’ e che quindi risulta inammissibile la pretesa di vedere accertati i requisiti soggettivi ed oggettivi del trattamento economico di cui alla lettera c) fin dal 26 ottobre
2000, in contrasto col doppio accertamento conforme effettuato dai giudici di merito.
7.- Con il secondo motivo di ricorso incidentale si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 c.c., violazione degli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c., violazione dei principi in tema di corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. e si contesta la decisione della Corte d’appello di limitare il demansionamento fino al 2013 quando in ragione della disposta riorganizzazione di cui alla comunicazione n. 109 del 2013 al Re COGNOME venne affidata la responsabilità dell’unità denominata Ufficio programmazione e controllo attività operativa quindi un ufficio e mansioni aderenti a quanto riconosciutogli giudizialmente.
Le censure sono inammissibili, perché non esiste alcuna violazione degli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c. E neppure violazione o falsa applicazione dell’articolo 2103 c.c.
In realtà le censure proposte solo formalmente denunciano plurimi errores in procedendo ed iudicando, mentre in realtà mirano piuttosto ad infirmare la valutazione dei fatti inerenti all’accertamento della cessazione del demansionamento e proponendo -sotto apparenti violazioni di legge – nuovi accertamenti di fatto su cui non ha pronunciato la Corte d’appello.
8. In proposito occorre considerare che gli accertamenti di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui parte ricorrente non tiene conto,
pretendendo piuttosto una rivalutazione degli accadimenti storici ed una revisione del giudizio di fatto non ammissibile in questa sede.
9. Deve ribadirsi, in consonanza con l’orientamento di questa Corte (v. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità qualora il giudice, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale. In modo parallelo, la violazione dell’art. 116 c.p.c. presuppone che il giudice abbia valutato una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame, da cui emerge unicamente che il giudice avrebbe male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, censura consentita solo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. nel caso di specie precluso e non integrato nei requisiti richiesti dal nuovo testo.
10.- In conclusione, sulla scorta delle premesse svolte, devono essere rigettati sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale; mentre le spese di lite possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza .
11.- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa le spese processuali nel presente giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio 28.5.2024