Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19294 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20872-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 222/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 16/02/2021 R.G.N. 89/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 20872/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di NOME COGNOME intesa alla condanna di Credito Padano Banca di Credito Cooperativo s.c., ex datrice di lavoro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti al demansionamento asseritamente subito a partire dall’anno 2009.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di sette motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per difetto di esplicitazione delle ragioni in diritto alla base della decisione con conseguente lesione del diritto di difesa.
Con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. per manifesta irragionevolezza del giudizio decisorio formulato nella sentenza impugnata. La decisione di secondo grado è criticata per avere escluso, al l’esito dell’esame delle risultanze istruttorie, lo svolgimento di funzioni apicali da parte del COGNOME. Premesso che la posizione apicale di un dirigente si identifica in base al livello gerarchico ricoperto, riconoscibile quest’ultimo dal grado
di partecipazione all’attività di vertice della banca, concretantesi nell’assunzione delle decisioni strategiche e nell’attuazione delle stesse per il funzionamento e sviluppo dell’intera struttura, e premesso essere stato accertato che l’istituto di credito aveva adottato un’organizzazione gerarchica funzionale e che il COGNOME aveva per ben quindici anni ricoperto il ruolo di Vice Direttore Generale partecipando attivamente al Comitato di Direzione, sostituendo il Direttore Generale durante le sue assen ze ed infine gestendo tutta la Divisione RAGIONE_SOCIALE ‘ cuore pulsante’ della banca medesima, parte ricorrente assume che la posizione di supremazia rivestita era ascrivibile ad un livello di elevata apicalità; sostiene che le opposte conclusioni attinte dalla Corte di merito erano frutto di un ragionamento decisorio in contrasto con il senso comune e con il principio ex art. 116 c.p.c. del ‘prudente apprezzamento’.
3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere negato al COGNOME, Vice Direttore Generale della Banca, Responsabile della Divisione Commerciale e membro del Comitato di Direzione e Finanza, la qualifica apicale; ciò nonostante esso COGNOME fosse stato preposto alla direzione del più importante e prestigioso ramo aziendale ed investito di attribuzioni che per l’ampiezza di poteri di iniziativa e discrezionalità consentivano di imprimere un indirizzo ed un orientamento complessivo al governo dell’azienda con le correlate responsabilità, come del resto confermato dal riconoscimento di assegno ad personam giustificato proprio dall’impegno e dall’apporto professionale nelle riunioni del Comitato di Direzone.
Con il quarto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2095, 2103 e 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere attribuito <>; in questa prospettiva si duole che la verifica effettuata non avesse considerato che in base all’art. 2 103 c.c., nel testo all’epoca vigente, il giudizio di equivalenza doveva essere effettuato anche nell’ambito della stessa categoria e tenere conto della privazione di tutte le mansioni di responsabilità di coordinamento e di direzione di tutti i settori della divisione commerciale e della riduzione qualitativa e quantitativa delle funzioni successive, che asserisce comunque di natura sostanzialmente impiegatizia, rispetto a quelle svolte fino all’anno 2009.
Con il quinto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2095, 2103, c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per omessa considerazione del ruolo del COGNOME e della sua posizione all’interno ed all’esterno della Banca quale Vice Direttore Generale della Banca, Responsabile della Divisione Commerciale e membro del Comitato di Direzione e Finanza, ed omessa considerazione dello svilimento dei ruoli e delle posizioni nel tempo attribuiti allo stess o, sia all’interno che all’esterno; il giudice di appello non aveva considerato la marcata differenza emergente dalla contrapposizione fra la direzione e responsabilità di un ramo di azienda e la responsabilità attribuita successivamente di un settore, quale quello bancario
e assicurativo, fra i meno importanti della Banca, e quindi di un ufficio (l’ufficio acquisti) che circoscriveva il ruolo o la posizione a quel settore o servizio, con impoverimento del bagaglio professionale fino a quel momento acquisito.
Con il sesto motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 2095, 2103 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere omesso ogni valutazione in ordine alla sottrazione di mansioni che gli incarichi conferiti al COGNOME aveva comportato rispetto ai compiti di Vicedirettore generale svolti fino all’anno 2009.
Con il settimo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 2095, 2103 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere omesso di considerare che le mansioni di responsabile del settore parabancario prima e dell’ufficio acquisti poi non erano in alcun modo dirigenziali ed in alcun modo in linea con le mansioni precedentemente svolte e non consentivano la migliore utilizzazione del patrimonio professionale acquisito rappresentandone, anzi, un impoverimento.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
8.1. E’ noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum . E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile
il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un., n. 22232/2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., n. 9105/2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112/2009).
Tali carenze, che l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del tutto generiche ed apodittiche, non sono riscontrabili nella sentenza in esame risultando del tutto percepibili le ragioni alla base della decisione le quali sono innanzitutto frutto di un articolato accertamento di fatto, ampiamente argomentato con riguardo alle emergenze probatorie acquisite. Quanto alla esplicitazione delle ragioni in diritto, delle quali specificamente si denunzia carente indicazione, si osserva che, a differenza di quanto opina l ‘odierno ricorrente, il perimetro giuridico (ed il connesso parametro normativo) delle questioni oggetto di causa risulta definito con assoluta chiarezza secondo quanto evincibile dal riferimento al demansionamento ed alla dequalificazione quali presupposti della pretesa risarcitoria azionata ed alla dichiarata applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 2103 c.c. nel testo
antecedente alle modifiche introdotte dal. D. lgs n. 81/2015 (v. in particolare, sentenza, pag. 5 primo capoverso).
I motivi dal secondo al settimo, esaminati congiuntamente per connessione, sono anch’essi da respingere.
9.1. Preliminarmente va rilevato che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa v. tra le altre Cass. n. 16698/2010, Cass. n. 7394/2010
9.2. Questa Corte ha altresì chiarito che nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute
nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione ( v. tra le altre, Cass., n. 20870/2024, Cass., n. 16038/2013).
9.3. Infine, per consolidato orientamento del giudice di legittimità la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. (v. ex aliis Cass. Sez. Un., n. 20867/2020, Cass., n. 4699/2018, Cass., n. 11892/2016, Cass., n. 2434/2016) e la violazione dell’art. 116 c.p.c. è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016, Cass. n. 13960/2014, Cass. n. 26965/2007).
9.4. Tanto premesso in linea di principio, si rileva che la Corte di merito, in ordine alla concreta ricostruzione dei compiti espletati dall’odierno ricorrente nel periodo anteriore all’anno 2009 ed in quello successivo, in cui si sarebbe consumato il preteso demansionamento, quanto al ruolo svolto dal COGNOME prima dell’anno 2009 ha dichiaratamente convenuto con il giudice di prime cure sul fatto che l’odierno ricorrente
coordinava l’attività delle filiali, da un lato attuando le decisioni e le direttive del CdA, dall’altro fungendo da tramite tra i singoli direttori di filiale ed il Direttore Generale, il quale poi riportava al CdA. (sentenza, pag. 10); ha quindi rimarcato che il contenuto concreto dei compiti svolti come Vice Direttore comportava il confronto continuo con il Direttore Generale, anche in funzione propositiva, ma non implicava poteri deliberativi e che la partecipazione al Comitato Direttivo dei Vice Direttori non comportava certo una compartecipazione nell’adozione delle scelte strategiche della Banca che erano deliberate dal CdA e poi affidate al Direttore Generale che ne curava l’attuazione attraverso l’opera dei responsabili delle due divisioni, Amministrativa e Commerciale (sentenza, pagg. 11 e 12). Da tale ricostruzione ha tratto la conclusione che il COGNOME non fosse un dirigente apicale. Muovendo da tale presupposto, dato atto dei vari mutamenti organizzativi via via verificatisi, ha ritenuto che i nuovi incarichi non avessero comportato un demansionamento in quanto la Banca aveva provato che le funzioni assegnate a partire dall’anno 2009 implicavano l’effettivo esercizio di potere decisorio tipico del dirigente e che i nuovi incarichi corrispondevano da un punto di vista concreto a mansioni dirigenziali.
9.5. Tale accertamento e le conclusioni attinte dal giudice di merito sul piano dell’equivalenza delle mansioni prima e dopo il venir meno della Funzione di Vice Direttore non risultano incrinati dalle censure articolate con i motivi in esame. Ed invero, il secondo motivo di ricorso, alla luce di quanto sopra detto in ordine alla deducibilità come violazione di norma di diritto riferita all’art. 116 c.p.c., risulta inammissibile in quanto si risolve nella mera prospettazione di un dissenso valutativo in
ordine al carattere apicale delle funzioni dirigenziali, negato dalla Corte di merito in coerenza con l’accertamento fattuale operato il quale aveva escluso nel ruolo del COGNOME una compartecipazione nell’adozione delle scelte strategiche, come viceversa, propria del livello dirigenziale più elevato.
9.6. E’ inammissibile il terzo motivo che pur formalmente deducendo violazione e falsa applicazione di norma di diritto, si sostanzia in realtà nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo della risultanze di causa, in punto di ampiezza di poteri connessa al ruolo di Vice direttore espletato dal COGNOME, come non consentito al fine della valida deduzione dei vizio denunziato.
9.7. Il quarto motivo di ricorso è infondato laddove denunzia violazione dell’art. 2103 c.c.; la sentenza impugnata, dato atto dell’applicabilità ratione temporis dell’art. 2103 c.c. nel testo antecedente alla modifica introdotta dal d. lgs. n. 81/2015, ha fatto corretta applicazione della norma codicistica in quanto il giudizio di equivalenza delle mansioni è stato dichiaratamente effettuato anche in relazione alle mansioni riconducibili alla medesima categoria (dirigenziale). Sono invece inammissibili, in quanto espressione di mero dissenso valutativo, le censure che asseriscono la natura impiegatizie delle mansioni espletate successivamente.
9.8. Il quinto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto si sostanzia nella sollecitazione di un diverso apprezzamento delle emergenze in atti in punto di ruolo e caratteristiche dei compiti espletati dal COGNOME prima e dopo il preteso demansionamento, ed in tal modo sollecita un sindacato estraneo al giudice di legittimità .
9.9. Analogamente il sesto ed il settimo motivo di ricorso, che concernono la valutazione del contenuto dei compiti svolti dal COGNOME a partire dall’anno 2009 e quindi investono un accertamento fattuale incrinabile solo dalla deduzione del vizio di motivazione ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. neppure formalmente denunziata dall’odierno ricorrente .
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 12.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 15 aprile 2025
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME