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Demansionamento dirigente: quando la qualifica non basta

Un ex manager di banca ha citato in giudizio la sua ex azienda per demansionamento, sostenendo che i suoi nuovi incarichi fossero inferiori al suo precedente ruolo di vicedirettore generale. La Corte di Cassazione ha respinto il suo ricorso, confermando le decisioni dei tribunali inferiori. Il punto cruciale della decisione è che, nonostante il titolo, il lavoratore non era un dirigente apicale poiché non aveva potere decisionale strategico finale. Di conseguenza, i successivi ruoli dirigenziali sono stati considerati equivalenti, escludendo la richiesta di demansionamento dirigente.

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Demansionamento dirigente: il ruolo conta più del titolo

Il tema del demansionamento dirigente è una questione delicata nel diritto del lavoro, che spesso porta a contenziosi complessi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che il titolo formale non è sufficiente a definire il livello di un manager. Ciò che conta sono i poteri effettivi e la partecipazione alle decisioni strategiche. Analizziamo insieme questo caso per capire quando un cambio di mansioni diventa un declassamento illegittimo.

I Fatti del Caso: Un Manager Contro la Banca

La vicenda ha come protagonista un dirigente di un istituto di credito che, per quindici anni, aveva ricoperto il ruolo di Vice Direttore Generale, partecipando al Comitato di Direzione e gestendo l’intera Divisione Commerciale. A seguito di una riorganizzazione aziendale, a partire dal 2009, gli sono stati assegnati incarichi diversi, come responsabile del settore parabancario e, successivamente, dell’ufficio acquisti.

Ritenendo questi nuovi ruoli un declassamento professionale e un impoverimento del suo bagaglio di competenze, il dirigente ha citato in giudizio la banca, chiedendo il risarcimento dei danni per demansionamento. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno però respinto la sua domanda, portando il caso fino in Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sul demansionamento dirigente

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del dirigente, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale è che i motivi di ricorso presentati dal lavoratore miravano, in realtà, a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un compito che non spetta alla Corte di Cassazione. Quest’ultima, infatti, può intervenire solo per correggere errori di diritto (c.d. error in iudicando) o gravi vizi procedurali (error in procedendo), ma non può sostituire la propria valutazione a quella, adeguatamente motivata, del giudice di merito.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse ben motivata e basata su un’analisi approfondita delle prove. La chiave di volta della decisione risiede nella distinzione tra un dirigente con un titolo elevato e un vero e proprio “dirigente apicale”.

I giudici di merito avevano accertato che, nonostante il ruolo di Vice Direttore Generale, il ricorrente non possedeva poteri decisionali strategici. Le sue funzioni erano di coordinamento e di attuazione delle direttive impartite dal Direttore Generale e dal Consiglio di Amministrazione. Non partecipava, quindi, al vertice decisionale della banca. Mancando questa caratteristica, non poteva essere considerato un dirigente apicale.

Di conseguenza, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato l’art. 2103 del Codice Civile, valutando l’equivalenza delle nuove mansioni rispetto a quelle precedentemente svolte all’interno della medesima categoria dirigenziale. Era emerso che anche i nuovi incarichi comportavano l’esercizio di poteri decisori tipici di un dirigente, escludendo così l’ipotesi di un declassamento professionale. La Cassazione ha confermato che tale accertamento di fatto, essendo logico e ben argomentato, non poteva essere messo in discussione in sede di legittimità.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza sul Demansionamento

Questa ordinanza offre spunti pratici fondamentali per lavoratori e aziende:

1. Il titolo non basta: Possedere una qualifica prestigiosa come “Vice Direttore Generale” non garantisce automaticamente lo status di dirigente apicale. La vera differenza la fanno i poteri decisionali, l’autonomia e il coinvolgimento nelle strategie aziendali.
2. La prova del demansionamento: Per dimostrare un demansionamento dirigente, non è sufficiente lamentare un cambio di compiti. È necessario provare un effettivo impoverimento professionale e una riduzione del livello complessivo delle responsabilità, tale da collocare le nuove mansioni in un gradino inferiore della scala gerarchica.
3. I limiti del ricorso in Cassazione: La valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. Se la loro motivazione è coerente e logica, non è possibile ottenere un terzo esame del merito davanti alla Suprema Corte.

Un titolo altisonante come “Vice Direttore Generale” è sufficiente a qualificare un lavoratore come “dirigente apicale”?
No. Secondo la sentenza, il titolo non è decisivo. Ciò che conta è la partecipazione effettiva all’assunzione delle decisioni strategiche e all’attuazione delle stesse, con ampi poteri di iniziativa e discrezionalità. Nel caso di specie, il dirigente non aveva tali poteri, che restavano in capo al Direttore Generale e al Consiglio di Amministrazione.

Quando un cambiamento di mansioni per un dirigente si configura come demansionamento illegittimo?
Si ha demansionamento quando le nuove mansioni sono professionalmente inferiori a quelle precedenti e comportano un impoverimento del bagaglio professionale del lavoratore. La sentenza ha stabilito che, se le nuove funzioni, seppur diverse, implicano ancora l’esercizio di un potere decisorio tipico del dirigente e sono riconducibili alla medesima categoria dirigenziale, non si verifica demansionamento.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la valutazione delle prove fatta da un giudice di merito in un caso di demansionamento?
No, in linea di principio non è possibile. La Corte di Cassazione giudica solo per errori di diritto (“violazione di legge”) e non può riesaminare i fatti o la valutazione delle prove. Se il giudice di merito ha fornito una motivazione logica e non meramente apparente per la sua decisione, la sua valutazione dei fatti è insindacabile in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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