Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5506 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5506 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
La Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza del Tribunale di Catanzaro che aveva condannato l’Azienda Ospedaliera Universitaria Mater Domini di Catanzaro al risarcimento del danno alla professionalità cagionato a NOME COGNOME, dirigente medico di I livello, nel periodo da aprile 2006 a febbraio 2008.
NOME COGNOME Responsabile di Chirurgia della tiroide, delle paratiroidi e della mammella presso l’Unità Operativa di Chirurgia Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Mater Domini, aveva dedotto di avere lavorato alle dipendenze della suddetta Azienda presso l’Unità Operativa di Chirurgia d’Urgenza, ubicata presso i locali della clinica ‘INDIRIZZO‘ ed aveva lamentato di essere stata costretta ad uno stato di sostanziale inattività dal mese di aprile 2006 (epoca del trasferimento dell’Unità Operativa di Chirurgia dalla Clinica ‘INDIRIZZO‘ al ‘Policlinico Universitario di Germaneto’ di Catanzaro) al mese di febbraio 2008.
La Corte territoriale ha evidenziato che i dati fattuali riguardanti l’attività della COGNOME non erano risultati affatto circostanziati nella prova testimoniale, mentre dalla prova documentale, non esaminata dal primo giudice, erano emersi quegli elementi significativi dell’impegno della COGNOME che, integrati con le risultanze delle deposizioni e dell’interrogatorio libero della medesima, anch’esso non considerato dal Tribunale, avevano consentito di ricostruire l’effettiva prestazione lavorativa svolta dalla Innaro nella suddetta fase di transizione.
Il giudice di appello ha escluso la sostanziale inattività della COGNOME nel periodo di contestazione ed ha accertato che l’ impegno della COGNOME in sala
operatoria non si era discostato, sul piano quantitativo e qualitativo, da quello profuso negli anni immediatamente precedenti il trasferimento di sede della chirurgia d’urgenza, e che vi era stata una conseguenziale prestazione di reparto.
Ha poi rilevato che dal quadro istruttorio non erano emersi elementi sintomatici di un’incidenza negativa, derivata dalla riduzione dei compiti, sulla posizione lavorativa della COGNOME ed erano, anzi, stati acquisiti dati obiettivi di segno contrario, costituiti dalle valutazioni di professionalità nettamente positive conseguite negli anni dal 2006 al 2008, dal riconoscimento della retribuzione di risultato per i medesimi anni e dal l’assegnazione all’Unità Operativa di Chirurgia Generale, avvenuta con la medesima collocazione di dirigente medico di primo livello fino ad allora ricoperta e con la pienezza delle mansioni che a tale livello si accompagna, senza alcuna deminutio di ruolo e di competenze.
Ha, infine, escluso l’efficacia del giudicato riflesso costituito dalla sentenza n. 1657/2012, pronunciata tra i colleghi in servizio presso l’U.O. di chirurgia d’urgenza, rimasti forzosamente inattivi a seguito del t rasferimento di sede, e l’RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro.
Avverso tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.
L’Azienda Ospedaliera Universitaria ‘Mater Domini’ ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia nullità del procedimento, violazione delle disposizioni processuali in materia di processo del lavoro ex art. 437, 126 e 130 cod. proc. civ.; omessa verbalizzazione dell’udienza; violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Deduce che con decreto n. 25/2020 del 4.5.2020 del Presidente della Corte di Appello di Catanzaro, emesso ai sensi dell’art. 83 del d.l. n. 18/2020 come modificato dal d.l. n. 23/2020 e dal d.l. n. 28/2020 e contenente linee guida per la gestione delle udienze nel periodo dal 12.5.2020 al 31.7.2020 era stata
prevista la trattazione delle sole cause dichiarate urgenti dal Presidente del Collegio, d’intesa con il Presidente di Sezione.
Evidenzia che con provvedimento del 5.5.2020, il Presidente della Sezione Lavoro della Corte di Appello di Catanzaro, preso atto della dichiarazione di urgenza dei fascicoli da trattare all’udienza del 14.5.2020 da parte del Presidente del Collegio, aveva disposto che la causa venisse trattata con la modalità della trattazione scritta.
Lamenta la lesione del diritto alla difesa, a fronte della mancanza in atti della dichiarazione d’urgenza contenente le motivazioni sottese a tale qualificazione e del verbale dell’udienza di discussione.
Sostiene che la redazione del verbale di udienza era obbligatoria e che solo la verbalizzazione avrebbe garantito il rispetto delle norme procedurali ed assicurato la corrispondenza tra il Collegio dell’udienza di discussione e quello deliberante.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione degli artt. 52 d.lgs. n. 165/2001 e 2087 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Critica la sentenza impugnata per avere omesso la sequenza relativa al giudizio trifasico e di avere escluso la violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001 sul rilievo della sostanziale equivalenza delle mansioni.
Addebita alla Corte territoriale di avere sostituito i termini del confronto, in quanto ha raffrontato l’attività in concreto eseguita dal lavoratore non con la declaratoria contrattuale, ma con le mansioni svolte nel periodo precedente.
Richiama il principio secondo cui l’eventuale pregresso svolgimento di mansioni inferiori rispetto alla qualifica posseduta non legittima la perpetuazione dell’inadempimento datoriale e costituisce anzi violazione dell’art. 2103 cod. civ. ; evidenzia che il dirigente medico non può essere lasciato in una condizione di sostanziale inattività, né assegnato a funzioni che esulino del tutto dal personale bagaglio di conoscenze specialistiche, mentre il datore di lavoro nell’assegnazione degli incarichi e ne lla distribuzione del lavoro fra i dirigenti medici è tenuto al rispetto delle regole di correttezza e buona fede.
Evidenzia che l’ambito di applicazione dell’art. 2087 cod. civ. non è circoscritto al campo della prevenzione antinfortunistica, in quanto l’obbligo posto a carico del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore gli impone non solo di astenersi da ogni condotta che sia finalizzata a ledere detti beni, ma anche di impedire che nell’ambiente di lavoro possano verificarsi situazioni idonee a mettere in pericolo la dignità della persona e ciò costituisce un limite posto al potere di modificazione unilaterale delle mansioni.
Lamenta che Corte territoriale ha escluso lo stato di sostanziale inattività sul rilievo dell’equivalenza dell’attività svolta nel periodo di riferimento rispetto a quella degli anni immediatamente precedenti, senza valutare il risibile numero degli interventi chirurgici eseguiti in generale e di quelli effettuati come primo operatore nell’arco di quasi due anni , nonché la circostanza che con deliberazione n. 517 del 26.10.2006 la ricorrente e altri cinque medici chirurghi, nel non breve periodo di allestimento e organizzazione dei reparti della nuova struttura di Germaneto, erano stati assegnati presso un’ Unità Operativa in cui erano già in servizio altri cinque colleghi ed in cui vi erano dunque 11 dirigenti medici in servizio per un massimo di cinque pazienti, come risultava dalla lettera del 11.1.2008.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.; nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Critica la sentenza impugnata per avere erroneamente applicato l’art. 2103 cod. civ. in luogo dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, valorizzando l’equivalenza professionale, che rileva solo nell’impiego privato, sulla base delle ultime mansioni svolte; evidenzia che nel pubblico impiego contrattualizzato il giudice deve avere riguardo solo al criterio oggettivo, e dunque alla rispondenza delle nuove mansioni a quelle del livello contrattuale di appartenenza.
Lamenta la contraddittorietà della motivazione, che da un lato sembra individuare quale termine di confronto il livello professionale raggiunto dal
dipendente e la rilevanza del ruolo, e dall’altro attribuisce esclusiva valenza alle ultime mansioni effettivamente svolte.
Sostiene che il confronto dell’attività in concreto svolta dalla COGNOME con il livello professionale dalla medesima raggiunto, desumibile dal suo curriculum vitae e dalla sua anzianità di servizio, avrebbe portato al riconoscimento del demansionamento.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.; contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc . civ.
Critica la sentenza impugnata per avere considerato solo il prospetto allegato dall’Azienda in cui erano stati annotati gli interventi eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE, e per non avere invece esaminato la documentazione prodotta dalla difesa della ricorrente nei gradi di merito riguardante il medesimo periodo, da cui era emerso che nei 22 mesi di servizio decorrenti dall’aprile 2006 al febbraio 2008 la RAGIONE_SOCIALE aveva svolto 18 interventi, e dunque meno di un intervento al mese.
Addebita alla Corte territoriale di avere omesso una compiuta valutazione sulla natura degli interventi eseguiti dalla COGNOME e sull’implicazione delle specifiche abilità professionali della medesima nell’esecuzione degli interventi stessi.
Evidenzia il carattere confessorio delle dichiarazioni contenute nella deliberazione DG n. 517 del 26.10.2006 (prodotta dalla ricorrente), da cui risulta l’inoperatività della chirurgia d’urgenza presso il Campus di Germaneto, e dalla nota prot. n. 1164/AAGG del 12.2.2007, da cui emerge una contrazione dell’attività chirurgica nel suo complesso, di cui aveva sofferto anche la U.O. di chirurgia generale; aggiunge che la delibera n. 307 del 9.6.2006 era stata revocata dalla stessa Direzione aziendale con la deliberazione n. 354 del 21.7.2006.
Il primo motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata risulta che è stata disposta la trattazione scritta della causa ai sensi delle disposizioni emergenziali di cui all’art. 83, comma 5,
del d.l. n. 18/2020 e del decreto n. 25/2020 del Presidente della Corte di Appello di Catanzaro adottato in data 4.5.2020.
L’art. 83, comma 5, del d.l. n. 18/2020, vigente alla data del 4.5.2020, prevedeva che nel periodo di sospensione dei termini e limitatamente all’attività giudiziaria non sospesa, i capi degli uffici giudiziari potessero adottare le misure di cui al comma 7, lettere da a) a f), e h); il comma 7, lettera h) stabiliva che i capi degli uffici giudiziari potessero prevedere lo svolgimento delle udienze civili che non richiedevano la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice.
La censura, che lamenta la mancanza in atti del provvedimento di dichiarazione di urgenza del procedimento, prospetta che i procedimenti fissati per l’udienza del 14.05.2020 erano stati dichiarati urgenti dal Presidente del Collegio a norma dell’art. 83, comma 3, lettera a) del decreto legge n.18/2020.
L’art. 83, comma 3 , prevedeva : ‘ 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi: a) (…) e, in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione puo’ produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile;…’.
Considerato che la dichiarazione di urgenza è stata dichiarata non impugnabile dal legislatore, si deve ritenere superata ogni questione relativa alla lesione del diritto alla difesa.
Il rito previsto dall’art. 83, comma 7, del d.l. n. 18/2020 è connotato da specialità e tale disposizione speciale rende inapplicabile la disciplina di carattere generale che la ricorrente invoca.
Questa Corte ha infatti osservato che lo schema camerale per la trattazione dei processi civili, anche in materia di lavoro era stato adottato in via generale per contrastare la pandemia e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria ; ha inoltre evidenziato che la previsione emergenziale di
cui all’art. 83, comma 7, lett. h) era stata dettata per fare fronte a una situazione generale causata dalla pandemia, diversa dalla normalità di condizioni processuali (Cass. n. 17587/2024).
La doglianza relativa alla mancanza del verbale di udienza è parimenti infondata.
L’art. 83, comma 7, lettera h) del d.l. n. 18/2020 ha previsto l’adozione fuori udienza del provvedimento del giudice.
Questa Corte ha, dunque, affermato che i provvedimenti pronunciati in sede di udienza a trattazione scritta o ‘cartolare’ prevista dall’art. 83, commi 6 e 7, lett. h), d.l. n. 18/2020, devono intendersi emessi fuori udienza (Cass. n. 13735/2023).
Si è inoltre chiarito che in caso di udienza c.d. cartolare pandemica a trattazione scritta, lo schema generale è stato ritenuto dal legislatore sufficiente a garantire il contraddittorio con comunicazione successiva del dispositivo, unitamente o separatamente dal provvedimento decisorio, ferma la decorrenza dei termini per l’impugnazione dalla data della comunicazione telematica ; ha dunque escluso che in caso di deposito del dispositivo una registrazione successiva determini violazione del contraddittorio, evidenziando che non sono riscontrabili ipotesi di nullità espressamente previste dal sistema processuale cd. emergenziale’ (Cass. n. 17587/2024).
Si tratta di principi che a maggior ragione operano nella fattispecie nella quale, per le peculiarità proprie del rito, non può trovare applicazione l’invocato art. 130 cod. proc. civ.
Il secondo ed il terzo motivo, che vanno trattati congiuntamente per motivi di connessione logica, presentano profili di inammissibilità.
In particolare, la seconda censura, nel sostenere che l’eventuale pregresso svolgimento di mansioni inferiori rispetto alla qualifica posseduta non legittima la perpetuazione dell’inadempimento datoriale , non si confronta con il decisum , ma con una ratio decidendi non esplicitata né implicata da quella espressa dalla sentenza impugnata, essendo pacifico che nel periodo anteriore al mese di aprile 2006 la ricorrente non era stata demansionata; sollecita inoltre un diverso
accertamento in fatto facendo leva sulla deliberazione n. 517 del 26.10.2006 e sulla lettera del 11.1.2008.
La terza censura, nel prospettare la contraddittorietà della motivazione non coglie il decisum; la sentenza impugnata ha infatti escluso che la riduzione dei compiti avesse inciso sulla posizione lavorativa della COGNOME
7. Nella restante parte le suddette censure sono infondate.
In ordine al demansionamento nell’ambito della dirigenza sanitaria alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, va osservato che l’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 esclude l’applicabilità agli incarichi dirigenziali dell’art. 2103 cod. civ. e detta esclusione è stata ribadita per i dirigenti medici dalle parti collettive (art. 27 CCNL 8.6.2000 per la dirigenza medica del servizio sanitario nazionale), perché, come evidenziato dall’art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, ‘la dirigenza sanitaria è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali’.
Inoltre l’ art. 15 del d.lgs 30.12.1992 n. 502, pur prevedendo che «l’attività dei dirigenti sanitari è caratterizzata nello svolgimento delle proprie mansioni e funzioni dall’autonomia tecnico -professionale i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica, sono progressivamente ampliati», assegna al dirigente della struttura complessa il potere di direzione della struttura, da esercitare mediante «direttive a tutto il personale operante nella stessa e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata».
P er le medesime ragioni è stata esclusa l’applicabilità al rapporto dirigenziale dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II (cfr. Cass. n. 21565/2018; Cass. n. 22047/2022; Cass. n. 27861/2024).
Si è inoltre chiarito che i poteri che derivano dalla preposizione alla struttura, già sostanzialmente individuati in passato dal d.P.R. n. 761 del 20.12.1979, sono
funzionali alla posizione di garanzia che si assume nei confronti del paziente, perché la necessaria tutela del fondamentale diritto dei cittadini alla salute impone al dirigente della struttura e, nel caso di attività chirurgica, al capo equipe di organizzare e sorvegliare anche il lavoro altrui in modo da prevenire errori dai quali possa derivare una lesione al paziente (cfr. Cass.pen. 28.7.2015 n. 33329 sulla posizione di garanzia del capo equipe e Cass.pen. 28.6.2007 n. 39609 sulla delega in ambito sanitario).
In relazione a detta posizione di garanzia, considerato anche che il dirigente della struttura deve perseguire obiettivi finalizzati «all’efficace utilizzo delle risorse e all’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità», si deve ribadire il principio già affermato da questa Corte secondo cui «ai fini della distribuzione degli incarichi (nella specie degli interventi chirurgici ai medici del reparto) assumono valore prioritario la competenza e la capacità degli operatori sanitari, dovendosi ritenere una diversa soluzione, che assegni preminenza ad un criterio di equa ripartizione del lavoro, in contrasto con il fondamentale diritto alla salute dei cittadini» (Cass. 7.10.2013 n. 22789).
Si è dunque affermato che nel pubblico impiego contrattualizzato i dirigenti medici non hanno un diritto soggettivo a svolgere interventi qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché lo stesso non può opporsi né a scelte aziendali che siano finalizzate a tutelare gli interessi collettivi richiamati dall’art. 1 del d.lgs. n. 502/1992, né alle direttive impartite dal responsabile della struttura che perseguano l’obiettivo di garantire efficienza e qualità del servizio da assicurare al paziente; ciò non significa che la professionalità del dirigente medico non riceva alcuna tutela, perché innanzitutto deve essere garantito al dirigente di svolgere un’attività che sia correlata alla professionalità posseduta, sicché il dirigente stesso non può essere posto in una condizione di sostanziale inattività né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialistiche diverso da quello posseduto e allo stesso non assimilabile, sulla base delle corrispondenze stabilite a livello regolamentare (Cass. n. 4986/2018).
Considerato che il datore di lavoro è tenuto al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, si è inoltre chiarito che l’esercizio del diritto non può essere ispirato da finalità vessatorie né avvenire causando uno sproporzionato
ed ingiustificato sacrificio della controparte, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali il diritto medesimo è attribuito.
La sentenza impugnata non si è discostata da tali principi, in quanto ha escluso che , a seguito del trasferimento dell’Unità Operativa di Chirurgia dalla Clinica ‘INDIRIZZO‘ al ‘Policlinico Universitario di Germaneto’ di Catanzaro, dal mese di aprile 2006 al mese di febbraio 2008, la COGNOME avesse subito il totale svuotamento delle mansioni ; a fronte delle risultanze dell’istruttoria testimoniale, da cui era emerso che il trasferimento aveva comportato una riduzione degli spazi e dei posti letto, ha sostanzialmente accertato che la riduzione delle mansioni era dipesa da un’effettiva necessit à.
D ‘altronde le censure n emmeno prospettano il carattere vessatorio della condotta datoriale.
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella critica all’accertamento di fatto e confonde l’omesso esame del fatto con la mancata valorizzazione di singole risultanze istruttorie che sarebbero state trascurate dalla sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha comunque valutato la riduzione dell’attività di chirurgia d’urgenza come risultante dalla prova testimoniale .
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 5000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della