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Demansionamento dirigente medico: no se c’è necessità

Una dirigente medico ha citato in giudizio la propria azienda sanitaria per demansionamento a seguito di una riduzione della sua attività chirurgica dopo un trasferimento di reparto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per la dirigenza sanitaria pubblica non sussiste un diritto a un volume di lavoro costante. Il demansionamento del dirigente medico è escluso quando la contrazione delle mansioni è dovuta a comprovate e oggettive necessità organizzative e non a un intento vessatorio, purché non si verifichi un completo svuotamento delle funzioni.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento Dirigente Medico: Quando la Riduzione di Compiti è Legittima?

La questione del demansionamento del dirigente medico nel settore pubblico è complessa e si discosta notevolmente dalle regole applicate al lavoro privato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che una riduzione dell’attività chirurgica, se motivata da reali necessità organizzative, non configura automaticamente un illecito. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti: il Trasferimento e la Presunta Inattività

Una dirigente medico, responsabile di chirurgia specialistica presso un’azienda ospedaliera universitaria, ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro. Lamentava di essere stata relegata a uno stato di sostanziale inattività per quasi due anni, a seguito del trasferimento della sua Unità Operativa da una clinica a un nuovo policlinico universitario. Secondo la sua tesi, questo trasferimento aveva comportato una drastica riduzione della sua attività professionale e, di conseguenza, un danno alla sua professionalità.

Il Tribunale di primo grado le aveva dato ragione, condannando l’azienda al risarcimento. Tuttavia, la Corte di Appello ha ribaltato la decisione, ritenendo, sulla base di prove documentali e testimoniali, che non vi fosse stata una reale inattività e che l’impegno della professionista fosse rimasto, quantitativamente e qualitativamente, in linea con il periodo precedente al trasferimento.

La Disciplina Speciale per il Demansionamento Dirigente Medico

La ricorrente ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che la Corte d’Appello avesse errato nel confrontare la sua attività con quella pregressa anziché con le mansioni previste dalla sua qualifica. La Cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso, cogliendo l’occasione per ribadire i principi specifici che governano il rapporto di lavoro della dirigenza sanitaria pubblica.

La Non Applicabilità delle Norme Comuni

I giudici hanno chiarito che ai dirigenti medici del Servizio Sanitario Nazionale non si applicano le norme comuni sul demansionamento previste per i lavoratori privati (art. 2103 c.c.) né quelle generali per il pubblico impiego (art. 52 d.lgs. 165/2001). La loro posizione è unica: sono inquadrati in un ruolo unico, caratterizzato da autonomia tecnico-professionale e responsabilità gestionali. Questo status speciale implica che non abbiano un diritto soggettivo a svolgere un volume di lavoro costante e predeterminato.

Il Ruolo della Necessità Organizzativa

Il punto centrale della decisione è il riconoscimento della discrezionalità dell’azienda sanitaria nell’organizzare il lavoro. La distribuzione degli incarichi, inclusi gli interventi chirurgici, deve rispondere a criteri di efficienza, qualità del servizio e, soprattutto, tutela della salute dei cittadini. La competenza e la capacità degli operatori sanitari sono prioritarie rispetto a una mera logica di equa ripartizione dei compiti.

Di conseguenza, una riduzione delle mansioni non è illecita se deriva da una comprovata e oggettiva necessità organizzativa. Nel caso di specie, la contrazione dell’attività era una conseguenza diretta del trasferimento del reparto, che aveva comportato una diminuzione degli spazi e dei posti letto. La Corte ha escluso che vi fosse un intento vessatorio da parte del datore di lavoro e ha accertato che non si era verificato un totale svuotamento delle mansioni della dirigente.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso basandosi sulla specificità del rapporto di lavoro della dirigenza sanitaria. Ha sottolineato che il potere del datore di lavoro pubblico, in questo contesto, è finalizzato a tutelare interessi collettivi di primaria importanza, come il diritto alla salute. Pertanto, le scelte aziendali che mirano a garantire l’efficienza e la qualità del servizio sono legittime, anche se comportano una variazione quantitativa delle prestazioni richieste a un singolo dirigente. L’illecito si configurerebbe solo in caso di totale inattività o di assegnazione a mansioni estranee alla propria professionalità, oppure qualora la decisione fosse palesemente vessatoria e priva di giustificazione organizzativa, circostanze che la Corte ha escluso nel caso esaminato.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: il demansionamento del dirigente medico va valutato secondo parametri diversi da quelli del lavoro subordinato comune. La flessibilità organizzativa dell’azienda sanitaria è un elemento chiave per garantire la migliore assistenza possibile ai pazienti. Un dirigente medico non può pretendere un numero fisso di interventi, ma ha diritto a vedere tutelata la propria professionalità attraverso l’assegnazione di compiti correlati alle sue competenze, pur nell’ambito delle mutevoli esigenze della struttura sanitaria.

Un dirigente medico può lamentare un demansionamento se il numero dei suoi interventi chirurgici diminuisce?
No, secondo la Corte. I dirigenti medici nel pubblico impiego non hanno un diritto soggettivo a svolgere un numero costante di interventi. L’organizzazione del lavoro, inclusa l’assegnazione degli interventi, è una prerogativa dell’azienda sanitaria, che deve basarsi su criteri di competenza, capacità e tutela della salute dei cittadini, non su una mera equa ripartizione del lavoro.

La riduzione di compiti per un dirigente sanitario costituisce sempre demansionamento?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che se la riduzione delle mansioni deriva da un’effettiva necessità organizzativa (come un trasferimento di reparto con riduzione di spazi e posti letto) e non da un intento vessatorio, e non comporta un totale svuotamento delle mansioni, non si configura un illecito demansionamento. La professionalità deve essere comunque garantita, ma in un quadro di esigenze aziendali.

Al dirigente medico del servizio sanitario pubblico si applicano le stesse regole sul demansionamento del lavoro privato (art. 2103 c.c.)?
No. La Corte ha ribadito che per la dirigenza sanitaria pubblica vige una disciplina speciale. L’art. 2103 del codice civile e l’art. 52 del D.Lgs. 165/2001 non si applicano. Il loro rapporto è caratterizzato da un unico ruolo e livello, con autonomia tecnico-professionale, e la gestione degli incarichi risponde a logiche di efficienza del servizio sanitario e tutela della salute.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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