Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6765/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE e MINISTERO ECONOMIA FINANZE rappresentati e difesi dalla AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
-controricorrenti e ricorrenti incidentali- nonché contro
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1932/2020 depositata il 27/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.con atto di citazione notificato il 30 marzo 2004 la sRAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME evocava dinanzi al Tribunale di Venezia i Ministeri Delle Infrastrutture e Dell’Economia, nonché il Comune di Cavallino Treporti esponendo di essere divenuta proprietaria, in forza di compravendite e di permute, dell’area sita nel Comune di Venezia, sez. Burano, foglio 52 mappali 161, 181, 182, 183, 209, 210 e 211, sulla quale insisteva una darsena con annessi impianti, utilizzati da imbarcazioni private in virtù di titoli contrattuali; aggiungeva che dal 1973 la Capitaneria di Porto aveva preteso di assoggettare le aree anzidette al regime del demanio marittimo e, sull’erroneo convincimento che l’intero sedime fosse divenuto demaniale, aveva corrisposto gli oneri concessori richiesti, pur sapendo trattarsi di proprietà privata. Tanto premesso, chiedeva accertarsi la proprietà attorea delle aree predette e condannarsi l’Amministrazione alla restituzione dei canoni indebitamente percepiti dal 1998 al 2002, per un complessivo importo di €.92.145,60; in subordine, chiedeva riconoscersi un indennizzo per il valore dei beni ritenuti trasferiti per fatto dell’uomo dal regime di proprietà privata a quello demaniale. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei Ministeri convenuti, i quali asserivano che i beni in questione facevano parte del demanio marittimo in quanto destinati a porto e aventi comunicazione col mare, comunque eccepita l’usucapione in favore dello Stato, ed in subordine la prescrizione quinquennale del diritto alla restituzione dei canoni e dei relativi interessi, il Tribunale respingeva le domande.
La società impugnava la sentenza.
La Corte di appello di Venezia rigettava il gravame in accoglimento dell’eccezione di usucapione -proposta dalla difesa erariale solo in primo grado, sulla quale il giudice di prime cure non si era pronunciato avendola ritenuta assorbita dal rigetto della domandariproposta in appello solo con la comparsa conclusionale.
La decisione d’appello veniva cassata con sentenza n.22354 del 2016 sul principio per cui ‘L’eccezione di usucapione sollevata, ma non esaminata, in primo grado e non tempestivamente riproposta dall’appellato, non è rilevabile d’ufficio dal giudice del gravame, trattandosi di eccezione da ritenersi rinunciata, ex art. 346 c.p.c., in quanto fondata su una ragione del tutto autonoma e non su una mera difesa a sostegno del rigetto del gravame’.
Con sentenza n. 1932 del 2020, la Corte di Appello di Venezia, quale giudice a cui la causa era stata rinviata, ha ritenuto l’area in questione di natura demaniale, ai sensi dell’art. 28, lett. b), cod.nav., secondo cui fanno parte del demanio marittimo “le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare”.
La Corte di Appello ha accertato, in linea di fatto, che la darsena insiste quasi per intero su terreno della società Cavallino, è collegata alla foce del fiume Sile -appartenente al demanio marittimo, è stata realizzata mediante scavo dell’area di foce del fiume, è influenzata dal regime del fiume tanto da essere protetta con apposite ‘porte vinciane’. Tali porte non separano la darsena dalla foce del fiume e dal mare ma la proteggono dalle piene. Si tratta -ha accertato la Corte di Appello’di una modificazione strutturale della foce del fiume sulla quale, previa recisione degli argini,’ è stato realizzato ‘un breve e largo canale di collegamento’. La Corte di Appello ha ricordato le numerose statuizioni della giurisprudenza di legittimità secondo cui ‘nella
nozione di bene pubblico’ non è rilevante che lo stesso abbia avuto una origine ‘artificiale’ (Cass. S.U. n.11211 del 1998; Cass. 26036 del 2013; Cass.9118 del 2012). Il suddetto ‘collegamento’ -ha precisato la Corte di Appello in riferimento a ‘rilievi planimetrici’ e fotografie ‘allegati alla ctu’ -non è ‘idoneo a rappresentare una effettiva separazione fra la foce del fiume e la darsena e conclama il rapporto di indistinguibilità, sotto il profilo idrogeologico tra la foce del fiume e il contermine fondo nel quale è stata realizzata la darsena. Quest’ultima risulta ‘del tutto inserita all’interno della foce del fiume costituendo niente più che una ulteriore sua articolazione tale da consentire agli utenti del mare di profittare della indole di porto naturale della foce del fiume. La darsena sfrutta ‘la particolare conformazione della anse del fiume che sta per immettersi in mare’ partecipa ‘della natura di foce del fiume che sbocca nel mare’. La Corte di Appello ha ribadito che l’intervento della società Marina del Cavallino, al contrario di quanto da questa sostenuto, ‘non ha dato vita ad una nuova opera’, autonoma rispetto alla foce del fiume ‘ma si è limitato a estendere la foce del fiume che sbocca al mare nell’ambito della sua proprietà privata sì da potersi avvalere della peculiare sua destinazione connessa e conseguente alla sua indole demaniale’. La Corte di Appello ha affermato che la circostanza che solo i clienti della società potessero fare uso del bacino per ormeggio e ricovero di imbarcazioni, era una ‘mera conseguenza del regime concessorio relativo allo specchio d’acqua per cui è causa, come attestato dalla documentazione prodotta in atti e dunque non vale in alcun modo a escludere o solo diminuire la accertata idoneità del sito agli usi pubblici del mare’.
La Corte di Appello ha concluso che l’area rivendicata dalla società Marina del Cavallino si trova in rapporto di accessione con un bene demaniale, quale la foce del fiume Sile, appartenente al demanio marittimo, per cui anch’essa aveva natura demaniale.
La Corte di Appello ha rigettato anche la domanda subordinata della società Marina del Cavallino. Con tale domanda la società aveva chiesto, per l’ipotesi in cui l’area de qua fosse stata ritenuta demaniale, il riconoscimento di un indennizzo pari al valore dei beni eventualmente trasferiti al demanio. Al riguardo la Corte di Appello ha evidenziato che la darsena in questione derivava dall’ampliamento -autorizzato dal demanio su richiesta della società Marina del Cavallino- della preesistente darsena demaniale già oggetto di una concessione a favore di una società terza, dante causa della Marina del Cavallino, e nella quale questa era subentrata nel 1973; che la società Marina del Cavallino, nel momento in cui aveva chiesto l’autorizzazione alla realizzazione dell’ampliamento, aveva rinunciato alla proprietà della darsena ed aveva dichiarato di ‘nulla ostare all’incameramento ed iscrizione’ dei beni realizzandi ‘ai beni del demanio’.
per la cassazione della sentenza la società Marina del Cavallino ricorre con tre motivi;
il Ministero delle Infrastrutture RAGIONE_SOCIALE e il Ministero dell’Economia e Finanze resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi;
il Comune di Cavallino Treporti è rimasto intimato;
la società Marina del Cavallino ha proposto controricorso per resistere al ricorso incidentale;
la causa perviene al collegio su richiesta di decisione avanzata dalla ricorrente ex art. 380-bis c.p.c. a seguito dalla comunicazione della proposta di definizione per inammissibilità o manifesta infondatezza dei tre motivi di ricorso principale;
la ricorrente ha deposito memoria;
considerato che:
1.preliminarmente, il Collegio, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, precisa che non sussiste alcuna incompatibilità del consigliere delegato che
ha formulato la proposta di definizione accelerata, rispetto alla composizione del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art.380 -bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa;
il primo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione o falsa
applicazione, ex art. 360, comma 1, n.3, dell’art. 28, lett.b), c.n.’. Prima di procedere all’esame del motivo va ricordato come i beni demaniali marittimi rappresentano una specie del più ampio genere dei beni che, ai sensi della classificazione codicistica, costituiscono il demanio pubblico e rientrano, in particolare, nella categoria del c.d. ‘demanio necessario’, la quale si compone di quei beni che sono assegnati dalla legge in appartenenza necessaria allo Stato. Ai sensi dell’art. 822, comma 1, del Codice civile, ‘Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia’. Come ricordato dalla Corte di Appello, un ampio inquadramento della categoria del beni demaniali in genere e della evoluzione nel tempo della relativa disciplina si legge nella motivazione della sentenza delle SU n.3811/2011 (alla quale si rinvia). L’elenco dei beni appartenenti al demanio marittimo contenuto nella disciplina codicistica si completa con l’art. 28 del codice della navigazione, che include nel demanio marittimo, oltre alle spiagge, ai porti, alle rade e al lido del mare, anche le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che, almeno durante una parte dell’anno, comunicano liberamente col mare e i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. L’art. 32 cod. nav. disciplina poi il procedimento di delimitazione del demanio marittimo al fine di
stabilire la demarcazione tra il demanio predetto e le proprietà private finitime (senza, tuttavia, che ne resti alterata la situazione giuridica preesistente) ed è assimilabile alla ordinaria “actio finium regundorum”, di cui all’art. 950 c.c. Tale procedimento si conclude con un atto di delimitazione, il quale si pone in funzione di mero accertamento, in sede amministrativa, dei confini del demanio marittimo rispetto alle proprietà private, con esclusione di ogni potere discrezionale della P.A., di talché il privato che contesti l’accertata demanialità del bene può invocare – come avvenuto nel caso in esame la tutela della propria situazione giuridica soggettiva dinanzi al giudice ordinario, abilitato a sindacare la legittimità dell’atto amministrativo e disapplicarlo se ed in quanto illegittimo (ex plurimis Cass. civ. Sez. I Ord., 21/05/2021, n. 14048 Cass. civ. Sez. II Ord., 12/07/2018, n. 18511). Il procedimento di delimitazione di un’area demaniale marittima ex art. 32 cod. nav. è indispensabile in presenza di una obiettiva incertezza in ordine ai confini del demanio marittimo, incertezza che esso procedimento si propone di superare con la determinazione dell’esatta posizione dei confini stessi. Qualora successivamente venga in discussione l’appartenenza di un determinato bene, nella sua attuale consistenza, al demanio naturale, il giudice ha il potere-dovere di controllare ed accertare con quali caratteri obiettivi esso si presenti al momento della decisione giudiziale (Cass. 26036 del 2013).
Quanto sopra premesso, con il primo motivo di ricorso, sotto la ricordata rubrica, la società RAGIONE_SOCIALE deduce che:
l’origine artificiale della darsena costituisce elemento di per sé idoneo a escludere l’applicabilità dell’art. 28, lett.b) c.n.
La tesi è infondata e la doglianza per cui la Corte di Appello avrebbe errato a decidere in senso contrario è inammissibile in riferimento all’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c..
La irrilevanza dell’origine ‘artificiale’ del bene ai fini della relativa qualificazione come demaniale ai sensi dell’art. 28, lett. b), cod.nav. è stata costantemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale si è espressa nel senso, appunto, che, “agli effetti dell’art. 28, lett. b), c.n., è irrilevante che la (imprescindibile) comunicazione del bacino di acqua salmastra ‘sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo’ (v. Cass. S.U. n.1121 del 1998; Cass. 26036 del 2013; Cass. n.15545 del 2015, in fattispecie sovrapponibile a quella che occupa, relativa ad una darsena scavata su un terreno privato collegato al fiume con un canale artificiale di collegamento funzionale al passaggio dei natanti);
la darsena e la foce del fiume sono beni separati.
La Corte di Appello avrebbe violato o falsamente applicato l’art. 28 cit. qualificando come demaniale un bene del tutto distinto dalla foce del fiume.
La doglianza è inammissibile.
La Corte di Appello si è attenuta alla giurisprudenza di legittimità per cui ‘se c’è prossimità e comunicazione diretta della darsena con l’alveo del fiume (la foce del fiume fa parte del demanio marittimo ex art. 28 c.n.), tale da consentire di ritenere la stessa darsena alla stregua di un’appendice o accessione dello specchio d’acqua, la darsena è demaniale, essendoci anche destinazione all’uso pubblico; se invece il canale è tale da integrare solo una fonte di alimentazione dello specchio d’acqua lontano, la darsena rimane di natura privata (v., tra altre, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15545 del 2015; Cass. 25223/2023, in motivazione).
Il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ‘ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una
qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione’ ( Cass. n. 23851 del 25/09/2019 (Rv. 655150 -02).
L’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna al vizio suddetto e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Nel caso di specie la doglianza è così strutturata: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo, cioè non corrisponde alla realtà delle cose, allora è stata violata la norma giuridica Y.
Simile struttura pone un problema di ricognizione della fattispecie concreta.
Al di là della formale denuncia, la ricorrente prospetta una realtà di fatto diversa da quella accertata dalla Corte di Appello e mira inammissibilmente a trasformare il giudizio di legittimità in una terza istanza di merito;
c) la darsena in concreto non è destinata agli usi pubblici del mare essendo invece destinata all’uso dei soli soggetti con i quali la ricorrente ha stipulato ‘contratti di locazione per gli ormeggi’. La Corte di Appello avrebbe violato o falsamente applicato l’art. 28 cit. qualificando come demaniale un bene per cui non sussiste il requisito della destinazione agli usi pubblici del mare.
La tesi è infondata e la doglianza per cui la Corte di Appello avrebbe errato a decidere in senso contrario è inammissibile in riferimento all’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c..
Questa Corte, con sentenza 15545 del 2015 (punti 4 e 5 della motivazione), con riferimento alla questione dell’idoneità del bene -darsena a soddisfare gli usi pubblici del mare, ha ritenuto congrua
la motivazione della corte territoriale che aveva collegato la predetta idoneità agli usi che si estrinsecano -come per la darsena di cui qui si discutenella navigazione e nell’ormeggio dei natanti ed ha precisato che la circostanza che in atto la darsena poteva essere utilizzata solo dai clienti della società appellante era riconducibile soltanto al regime concessorio.
Come accertato con la sentenza impugnata, la darsena in questione, per la sua conformazione e la sua destinazione funzionale a realizzare gli interessi attinenti agli usi potenzialmente di un novero indistinto di utenti del mare, e di fatto integrante ‘un centro con centinaia di posti per l’ormeggio delle barche’, rientra nel demanio marittimo necessario ai sensi dell’art. 28, lett. b), cod. nav. ovvero tra i beni che, per loro natura, non sono suscettibili di proprietà privata (Sez. 2, Sentenza n. 7564 del 15/05/2012, Rv. 622486 – 01);
3. il secondo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n.3. Necessità di interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 32 e 33, comma 1, del codice della navigazione. In subordine illegittimità costituzionale dei detti articoli del codice della navigazione per contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione’.
Sotto questa rubrica si deduce che l’incameramento della darsena tra i beni del demanio costituirebbe, in sostanza, un esproprio con la conseguenza che, a fronte di tale incameramento, spetterebbe alla ricorrente, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle due disposizioni del codice della navigazione, l’indennizzo che, illegittimamente, la Corte di Appello avrebbe invece negato, prospettandosi altrimenti l’incostituzionalità delle disposizioni medesime;
4. con il terzo motivo di ricorso la questione sollevata con il secondo motivo viene riproposta in riferimento, da un lato, oltre che agli artt. 32 e 33 del c.n. anche all’art. 28 dello stesso codice, e
dall’altro, in riferimento sia all’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU sia agli artt. 42 e 117 Cost.
I due motivi possono essere esaminati in modo congiunto.
Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, si è affermato che, nel caso in cui un bene assuma i connotati naturali di bene appartenente al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della P.A. o da opere pubbliche sullo stesso realizzate, il preesistente diritto di proprietà privata subisce una corrispondente contrazione, fino, se necessario, alla totale eliminazione, sussistendo, ormai, quei caratteri che, secondo l’ordinamento giuridico vigente, precludono che il bene possa formare oggetto di proprietà privata (Cass. civ. Sez. I Sent., 01/04/2015, n. 6619, rv. 634948). Si è altresì affermato che “Nell’ipotesi in cui il proprietario di un suolo sito sull’alveo di un lago realizzi una darsena mediante escavazione del proprio suolo, facendo sì che l’acqua lacustre allaghi lo scavo, non è possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale dell’acqua e così ritenere che la darsena appartenga al privato, salvo il diritto della P.A. alla derivazione. Al contrario, posti i principi di inseparabilità tra acqua ed alveo e di inalienabilità dei beni del demanio pubblico, deve ritenersi che, per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato, ma trasformato in darsena, sia divenuto anch’esso demaniale”.
In applicazione di questi principi appare evidente che i due motivi di ricorso non hanno pregio: si basano su una assimilazione all’evidenza indebita – ad un esproprio della fattispecie in esame in cui la darsena è stata realizzata dal privato su sua proprietà ma in modo tale precisamente, con l’ampliamento della foce del fiume demanialeda far sì che la stessa, in quanto in ‘rapporto di indistinguibilità sotto il profilo idrogeologico’ rispetto alla proprietà pubblica, assumesse ab origine i connotati della demanialità.
Data la manifesta infondatezza dell’assimilazione sono inconsistenti i prospettati dubbi di conformità dell’art. 28 c.n. alle disposizioni costituzionali e convenzionali;
il ricorso principale deve essere rigettato;
non vi è luogo all’esame del ricorso incidentale in quanto espressamente condizionato all’accoglimento dei ricorso principale;
al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese;
la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
11.sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in € 5. 000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese prenotate a debito;
condanna la ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 5.000,00 in favore delle controricorrenti nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 18 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME