Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20568 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20568 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ordinanza
sul ricorso 4952/2019 proposto da
RAGIONE_SOCIALE, difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
Condominio INDIRIZZO, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la sentenza della COGNOME di appello di Roma n. 4386/2018 del 27/6/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 aprile 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Nel 2007 il Condominio ottiene dal Tribunale di Roma nei confronti della società costruttrice e condomina (RAGIONE_SOCIALE 2) un decreto ingiuntivo di pagamento di circa € 15.537 per spese condominiali. In sede di opposizione, la società ingiunta domanda in riconvenzionale l’accertamento della nullità della correlativa delibera (del 24/7/2006) per contrasto con l’art. 49 del regolamento condominiale (di natura
contrattuale). In relazione agli immobili rimasti invenduti, tale articolo esclude che le spese condominiali possano imputarsi a costei, quale società costruttrice. Il Tribunale rigetta la domanda riconvenzionale (e l’opposizione al decreto ingiuntivo), poiché ritiene che si faccia valere l’erroneità della ripartizione delle spese condom iniali, quindi una causa di annullabilità e non di nullità della delibera; pertanto, l’impugnazione è tardiva per violazione dei termini ex art. 1137 c.c. La COGNOME di appello conferma.
Ricorre in cassazione la società costruttrice con due motivi, illustrati da memoria. Resiste il Condominio con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Il primo motivo (p. 6) denuncia che la COGNOME di appello ha applicato la disciplina della annullabilità delle delibere condominiali, invece di quella corretta della nullità, al caso in cui le spese siano imputate ad un condomino esonerato da ciò in forza del regolamento condominiale di natura contrattuale. Si fa valere che: tra i debitori è stato inserito un condomino cui le spese secondo il regolamento condominiale (art. 49) non sono da imputare; quindi, non si tratta di una semplice imputazione erronea nella deliberazione del consuntivo, del preventivo e del riparto ex art. 1135 n. 2 e n. 3 c.c., bensì di una delibera su materia estranea alle attribuzioni dell’assemblea condominiale, quindi nulla. Si deduce violazione degli artt. 1123, 1130, 1135, 1137 e 1418 c.c. (in relazione al carattere contrattuale del regolamento e la nullità della delibera assembleare); degli artt. 104, 121, 132, 189 c.p.c. (violazione dei principi processuali generali); dell’art. 112 c.p.c. (violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato); dell’art. 113 c.p.c. (pronuncia secondo diritto); dell’art. 115 c.p.c. (principio della disponibilità delle prove).
Il secondo motivo (p. 14) denuncia che la COGNOME di appello ha ritenuto corretta la qualificazione di annullabilità della delibera, sul
presupposto che essa non abbia modificato il regolamento condominiale, bensì semplicemente ripartito erroneamente gli oneri condominiali in modo difforme dal regolamento. Si citano poi (p. 15) altre delibere sulla stessa linea che attestano la determinazione del Condominio di inaugurare un nuovo indirizzo applicativo, di abrogazione tacita dell’art. 49 reg. condominiale. Si fa valere l’omessa motivazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 163, 164 e 167 c.p.c.
2.1. -I due motivi sono da esaminare congiuntamente per connessione.
Essi non sono fondati, come si può desumere da una rilettura di passi – selezionati in vista della pronuncia sul caso di specie – di Cass. SU 9839/2021 (che ha delineato nel periodo più recente il quadro ricostruttivo della distinzione tra annullabilità e nullità delle delibere condominiali). Tra le questioni su cui le Sezioni Unite si sono pronunciate vi era appunto quella se le delibere condominiali di ripartizione delle spese di gestione delle cose comuni, emanate in violazione dei criteri stabiliti per legge oppure per accordo unanime dei condomini siano affette da nullità unicamente nel caso in cui l’assemblea (a maggioranza) abbia inteso modificare tali criteri stabilmente (in via programmatico-normativa), mentre siano affette da annullabilità (secondo il regime dell’art. 1137 c.c.) nel caso in cui i criteri legali o negoziali di ripartizione delle spese siano disattesi solo episodicamente (cioè: senza espressione di intendimento programmatico di modifica).
Le Sezioni Unite (Cass. SU 9839/2021, nn. 6.3. e 6.4.) rispondono al quesito affermativamente, cioè: le delibere condominiali di ripartizione delle spese di gestione, emanate in violazione dei criteri legali o negoziali, sono nulle solo se l’assemblea (a maggioranza) abbia manifestato l’intendimento di modificarli
programmaticamente. Il massimo consesso di questa COGNOME premette che, in materia di invalidità delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini, riveste carattere generale il regime di annullabilità ex art. 1137 c.c., mentre residuale è l ‘applic azione della categoria della nullità. Statuiscono poi, in continuità con Cass. SU 4806 del 2005, che le delibere di ripartizione delle spese condominiali sono nulle ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni di potere (esercitando un potere che non le spetta), modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o dall’accordo di tutti i condomini, con effetto non solo per il caso concreto oggetto della delibera, ma anche per il futuro (esprimendosi così una volontà normativa). Viceversa, sono meramente annullabili le delibere che violano i criteri suddetti nel caso concreto che esse hanno ad oggetto, cosicché l’opera to assembleare si qualifichi come applicazione erronea di quei criteri, frutto di un cattivo esercizio del potere spettante all’assemblea secondo l’ art. 1135 nn. 2 e 3 c.c. Si tratta appunto di un potere diretto esclusivamente ad applicare concretamente i criteri stabiliti dall’art. 1123 c.c., mentre la modifica di tali criteri con determinazione normativa per il futuro è ammissibile solo per via della «diversa convenzione» stipulata tra tutti i condomini, cui fa rinvio l’art. 1123 co. 1 c.c.
Esprimendo lo stesso concetto con parole diverse, l’assemblea che delibera a maggioranza di modificare i criteri di ripartizione previsti dalla legge o dall’accordo unanime dei condomini opera in difetto assoluto di attribuzioni, mentre non esorbita dalle attribuzioni l’assemblea che si limiti a ripartire le spese condominiali per il caso oggetto della delibera, anche se la ripartizione venga effettuata (consapevolmente) in violazione dei criteri legali o negoziali. Una delibera di quest’ultimo tipo non ha carattere normativo (cioè, non incide su tali criteri generali, valevoli per il futuro), né è contraria a norme
imperative; pertanto, tale delibera è semplicemente annullabile e ha da essere impugnata, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 co. 2 c.c.
2.2. -Se si applicano al caso di specie i principi desunti da Cass. SU 9839/2021 e riassunti nel paragrafo precedente, ne deriva che la delibera oggetto di impugnazione non è affetta da nullità, ma è semplicemente annullabile.
Peraltro, l’atteggiarsi di una circostanza del caso consente di precisare che la qualificazione del vizio in termini di annullabilità non muta al cospetto di una serie di delibere emanate – nei casi concreti che esse hanno ad oggetto – in violazione dei criteri legali o negoziali, quand’anche si tratti della ripetizione di una violazione identica (o simile) e quindi si esponga ad essere interpretata come frutto della determinazione del Condominio di inaugurare un indirizzo modificativo dei criteri di ripartizione delle spese. È quello che è accaduto nel caso di specie secondo la prospettazione della ricorrente, ove si narra di altre delibere sulla stessa linea, che attesterebbero la determinazione del Condominio di inaugurare un nuovo indirizzo di abrogazione tacita dell’art. 49 reg. condominiale (il quale corrisponde ad una convenzione ex art. 1123 co. 1 c.c. fra tutti i condomini).
Infatti, tale situazione non dà luogo a nullità delle delibere, poiché non vi si ravvisano gli estremi di una manifestazione espressa di una volontà di carattere programmatico-normativo intesa a modificare i criteri legali o negoziali di ripartizione delle spese. In altre parole, una serie di violazioni puntuali e concrete dei criteri, nei casi di volta in volta oggetto delle delibere, non dà luogo ad un qualcosa di diverso e ulteriore rispetto alla somma delle singole volizioni lesive dei criteri: in particolare non trasforma tale somma nella manifestazione di una volontà normativa attuale di modifica dei criteri (nemmeno per facta concludentia, inammissibile in materia di convenzione ex
art. 1123 co. 1 c.c.: cfr. Cass. 24808/2022). Pertanto, incombe alla parte interessata l’onere di impugnare ciascuna singola delibera entro il termine perentorio ex art. 1137 co. 1 c.c.
I due motivi sono rigettati.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La COGNOME rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in € 2.200 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-