Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4334 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4334 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3941/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con elezione di domicilio digitale all’indirizzo pec: ;
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO COGNOME RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO MARSALA, in persona dell’amministratore p.t., rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con elezione di domicilio digitale all’indirizzo pec:
;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO PALERMO n. 968/2020, pubblicata il 25/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Condominio Palazzina INDIRIZZO di INDIRIZZO di Marsala otteneva dal Tribunale di Marsala nei confronti del condomino NOME COGNOME un decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di € 13.621,14 a titolo di quote condominiali rimaste insolute e riguardanti lavori di manutenzione straordinaria. Le delibere dell’assemblea condominiale che avevano determinato tali costi si riferivano al lastrico solare e ai muri perimetrali di un edificio composto dalle scale G e F.
In sede di opposizione al decreto ingiuntivo, il condomino COGNOME NOME proponeva domanda riconvenzionale di nullità delle delibere, per la mancanza di legittimazione dell’assemblea condominiale nell’adottar le, le quali concernevano spese per lavori su parti comuni ma imputate esclusivamente ai condomini della scala G.
Il Tribunale di Marsala rigettava l’opposizione, per mancata impugnazione tempestiva delle delibere da ritenersi annullabili e non nulle. La Corte di appello di Palermo rigettava, con la sentenza indicata in epigrafe, il gravame dell’ Unti.
Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria. Ha resistito l’intimato Condominio con controricorso, depositando anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1135, 1136, 1117, 1123 c.c. e 115 c.p.c. Si afferma che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto annullabili, e non nulle, le delibere impugnate, approvate dai soli condomini della scala G, nonostante riguardassero lavori di manutenzione straordinaria sulla facciata dell’edificio, parte comune dell’intero fabbricato composto dalle scale G e H, la cui gestione richiedeva il consenso di tutti i condomini.
Il secondo motivo deduce violazione degli artt. 1123 c.c. e 115 c.p.c. Si critica la sentenza impugnata per non aver dichiarato nulle le delibere che, modificando i criteri di ripartizione delle spese
comuni, avevano attribuito i costi dei lavori straordinari della facciata esclusivamente ai condomini della scala G, escludendo quelli della scala H.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione.
Essi non sono fondati.
Entrambi i motivi ruotano tutti intorno alla confutazione della sentenza impugnata per non aver ritenuto affette da nullità le delibere su cui era stata fondata la domanda monitoria proposta nei confronti dell’attuale ricorrente dal Condominio oggi controricorrente. Senonché, il dedotto vizio di nullità delle delibere condominiali rivolta all’indicato oggetto non può dirsi sussistente alla stregua della giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, della sentenza delle Sezioni Unite n. 9839/2021.
Infatti, alla stregua di questa pronuncia, le delibere condominiali di ripartizione delle spese di gestione, emanate in violazione dei criteri normativi (legali o negoziali), sono nulle solo se l’assemblea (a maggioranza) abbia manifestato l’intendimento di modificarli programmaticamente per il futuro. In altre parole, l’assemblea che deliberi a maggioranza di modificare i criteri di ripartizione previsti dalla legge o dall’accordo unanime dei condomini opera in difetto assoluto di attribuzioni, mentre non esorbita dalle proprie attribuzioni l’assemblea che (come nel caso di specie) si limiti a ripartire le spese condominiali per il caso oggetto della delibera, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri legali o negoziali. Una delibera di quest’ultimo tipo non ha carattere normativo (cioè, non incide su tali criteri generali, valevoli per il futuro), né è contraria a norme imperative. Tale delibera, quindi, è meramente annullabile e deve essere impugnata, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, co. 2, c.c., nel presente caso rimasto inosservato (come accertato dalla Corte di appello nel confermare la sentenza di primo grado).
– Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 2379 c.c., sostenendo la nullità delle delibere adottate in assenza di titoli abilitativi al momento dell’approvazione delle opere edilizie.
Anche questo motivo è infondato.
Nella parte oggetto di detta doglianza la sentenza impugnata sostiene: « Non merita accoglimento la censura con cui l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto nulle le delibere, nonostante le opere edilizie approvate dall’assemblea necessitassero di titoli abilitativi, carenti al momento delle decisioni. Accertato che le opere in questione non richiedevano il rilascio di concessione edilizia, quel che rileva ai fini della validità delle delibere con cui ne è stata approvata la realizzazione è che si tratti di interventi edilizi non abusivi ab origine, regolarmente assentiti con le necessarie autorizzazioni rilasciate successivamente all’adozione delle decisioni stesse. Tale ultima circostanza può rilevare sotto profili diversi, ma non comporta la nullità per illiceità dell’oggetto della delibera assembleare».
La statuizione della Corte di appello resiste alle censure di parte ricorrente. In particolare, è da sottolineare che la mancanza di titoli abilitativi alla data delle delibere non determina la nullità di queste ultime per l’illiceità dell’oggetto.
– Il quarto motivo denuncia omesso esame di fatti decisivi e omissione di pronuncia ex art. 112 c.p.c.
Si lamenta che la Corte di appello non abbia considerato l’illegittimità delle delibere che prevedevano opere nei muri perimetrali e lavori innovativi, compromettendo la stabilità dell’edificio. La parte controricorrente replica che non vi è stata offerta alcuna prova di vizi strutturali derivanti dai lavori deliberati.
In proposito si ribadisce che la mancanza di autorizzazioni al momento delle delibere non costituisce causa di nullità e che eventuali irregolarità assembleari configurerebbero annullabilità, non nullità, delle delibere stesse.
Per quanto attiene alla censura di omesso esame di fatti decisivi, si osserva che ci si trova al cospetto di una doppia pronuncia dei giudici di merito conforme nella motivazione. In tale ipotesi, ai sensi dell’art. 348 -ter, co. 5 c.p.c. (applicabile ‘ratione temporis’ , ai sensi dell’art. 54, co. 2 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), la parte ricorrente in cassazione, per evitare che il motivo ex art. 360, n. 5 c.p.c. sia dichiarato inammissibile, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, onere non assolto nel caso di specie (cfr. Cass. 7724/2022).
Sotto il profilo della censura di violazione dell’articolo 112 c.p.c., il motivo è privo di fondamento. Infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia completamente mancata l’adozione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti (come nel caso attuale) la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando il profilo di domanda di cui si lamenta l’omesso esame risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr., tra le tante, Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 25710/2024).
5. -In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, le spese del presente giudizio, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 200 ,00 per esborsi, oltre alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-