Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23616 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23616 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25419-2021 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente – avverso la sentenza n. 623/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/08/2021 R.G.N. 221/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Oggetto
R.NUMERO_DOCUMENTO.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 04/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Bologna, riformando la sentenza del tribunale, aveva rigettato l’originaria domanda di COGNOME NOME, diretta ad ottenere il pagamento della somma di E. 366.744,43, a titolo di trattamento economico riconosciuto in favore dei dirigenti cessati dal servizio, o della diversa somma da accertarsi nel corso del giudizio, ed aveva altresì rigettato la domanda posta in via subordinata, diretta ad accertare l’inadempimento della datrice di lavoro, Banca Popolare Valconca spa, agli obblighi assunti dal consiglio di Amministrazione (CDA) con delibera n. 40 del 26.settembre 2016, con annullamento delle dimissioni del COGNOME e con ricostituzione del rapporto di lavoro dal 31.8.2017.
La corte territoriale aveva valutato non vincolante tra le parti la delibera del CDA relativa al mantenimento in servizio e nell’incarico del COGNOME al momento della maturazione al suo diritto alla pensione, con pagamento della somma indicata pari ad una annualità retributiva, non avendo, la delibera, natura negoziale, ma solo valenza interna alla banca quale espressione della volontà della stessa. La corte, infatti, non riteneva sufficiente la delibera a creare un vincolo obbligatorio con il dipendente, che, al più, aveva visto frustrate aspettative, ma nessun diritto nascente dalla predetta deliberazione.
Peraltro, osservava la corte, la delibera non conteneva nessuna indicazione di un tempo minimo di permanenza in servizio, tale da poter dar luogo ad una specificazione di un vincolo temporale, anche attesa la circostanza che, comunque, dopo cinque mesi dalla delibera, erano intervenute le dimissioni del COGNOME, interpretabili come segnale di rinuncia dello stesso alla piena esecuzione dell’assunto deliberativo.
Il giudice riteneva dunque che nessun incontro di volontà fosse intervenuto con la delibera in questione, atteso che lo stesso COGNOME si era limitato a dare solo la disponibilità a permanere in servizio, senza clausole specifiche, tali da poter costituire un vincolo
contrattuale, non altrimenti evincibile in assenza della determinazione dell’oggetto del contratto.
Infine, la corte escludeva anche il ripristino del rapporto, attesa la presenza delle dimissioni rese dal COGNOME, il cui annullamento non era possibile poiché non allegato e provato l’errore nella volontà così espressa.
Avverso detta decisione il COGNOME proponeva ricorso cui resisteva con controricorso la datrice di lavoro.
Entrambe le parti depositavano successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)Con il primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1326 c.c., per la errata valutazione della delibera del CDA quale atto interno, con la conseguente esclusione della sussistenza di un vincolo contrattuale.
Deve premettersi che la corte d’appello, nel valutare la natura e la valenza della delibera in questione, ha correttamente sottolineato come la stessa, proveniente dal Consiglio di amministrazione della società, dotata di personalità giuridica, fosse soltanto espressione della volontà interna della società, necessitante di un ulteriore atto formale assunto dal soggetto dotato del potere di rappresentanza della società.
A riguardo, in più occasioni, il Giudice di legittimità ha infatti statuito che <> (Cass.n. 15706/2004).
Costituisce principio fondamentale dell’agire della persona giuridica quello secondo cui per l’espressione esterna della volontà occorre sempre l’intermediazione dell’organo rappresentativo. Pertanto, quando uno dei contraenti è una persona giuridica, la delibera assembleare avente ad oggetto la formulazione di uno degli elementi dell’accordo contrattuale a norma degli artt. 1325, n. 1 e 1326 cod. civ., costituisce atto interno della società, mentre la rilevanza esterna è affidata alla dichiarazione dell’organo esecutivo dell’ente (Cass.n. 7525/1997).
Rispettando i principi richiamati e valutando il contenuto dell’atto in questione, la corte territoriale, con giudizio di merito a lei rimesso, ha dunque escluso che fosse completat o l’iter conclusivo della proposta contrattuale, invece ritenendo, al più, che si fosse in presenza di una mera aspettativa del dipendente, foriera di una eventuale responsabilità precontrattuale/extracontrattuale, ma non di un diritto all’esecuzione del contratto, non ancora perfezionatosi . Peraltro, anche la stessa disponibilità del COGNOME alla prosecuzione del rapporto, in assenza di specificazioni chiare sulle modalità esecutive dello stesso, è stata correttamente valutata quale generica adesione al progetto contrattuale.
Si tratta dunque di una valutazione di merito, svolta alla luce dei principi richiamati e delle concrete modalità di fatto acclarate nel corso del giudizio, che non può essere oggetto di una ri-valutazione di merito in questa sede di legittimità. Il motivo è da disattendere.
2)- Con il secondo motivo è dedotta violazione di legge con riguardo agli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c., per motivazione apparente con riguardo all’accoglimento del 5^ motivo di appello, relativo alla similitudine con il trattamento adottato dalla banca con altri dipendenti.
La corte di merito, nel giudicare le censure poste dalla banca appellante, ha ritenuto non corretta la valutazione del tribunale circa
la sussistenza di un pregresso trattamento per altri dipendenti che, al pari del COGNOME, avevano chiesto ed ottenuto di restare in servizio. Il giudice di appello ha invero escluso che le posizioni dei predetti dipendenti fossero assimilabili a quello del COGNOME.
L’attuale censura, diretta a contestare la valutazione della corte territoriale, si appalesa, oltre che inammissibile in quanto in sostanza chiede una nuova determinazione di merito non possibile in questa sede di legittimità, anche inconferente rispetto alla complessiva determinazione del giudice di appello, fondata, soprattutto ed in modo dirimente, sulla valutazione della inesistenza di un vincolo contrattuale costituito dalla delibera del CDA. Tale assorbente profilo decisorio rende ininfluente ogni altra considerazione rispetto a pregressi trattamenti.
3)- Con il terzo motivo è dedotta la violazione di legge in riferimento al principio di libertà contrattuale di cui all’art. 1321 c.c., con riguardo alla inesistenza di un termine minimo di durata del mantenimento in servizio.
Nella impugnata sentenza il giudice di appello, dopo aver escluso la natura di vincolo contrattuale della delibera del RAGIONE_SOCIALE (con le argomentazioni sopra esposte), aveva soggiunto che, comunque, pur ipotizzando invece la esistenza di un contratto, lo stesso era da considerarsi nullo per indeterminatezza dello stesso, in assenza dell’elemento essenziale del termine di durata della prestazione.
Come ben si evince dal tenore della motivazione e del ragionamento della corte di merito, quello in questione è un argomento o, meglio, una ipotesi, aggiuntiva, solo intesa a rafforzare l’iter motivazionale, ma non costituisce l’unica ratio decidendi. In s iffatto contesto, pertanto, risulta irrilevante l’esame della censura, in quanto altra è la ratio fondante della decisione (consistente nella esclusione del valore contrattuale della delibera) rimasta inalterata, come sopra detto (Cass.n. 18641/2017; Cass.n. 4678/2022).
La censura deve essere dunque disattesa.
4)Con ultimo subordinato motivo è denunciata la violazione dell’art. 26 d.lgs n.151/2015 e art. 1353 c.c., nonché dell’istituto della presupposizione negoziale, con riguardo alla revoca delle dimissioni a seguito del diniego del bonus stabilito per il mantenimento in servizio. Il motivo, se pur espresso con modalità non chiare, risulta, in sostanza, diretto ad una rivalutazione circa le rassegnate dimissioni, rispetto alle quali la corte territoriale ha evidenziato che non era accoglibile la richiesta di annullamento delle stesse in quanto non affetta, la volontà del dipendente così espressa, da vizi o errori nella formazione della decisione. Anche in questo caso la corte ha espresso, motivatamente, un giudizio di merito non più valutabile in questa sede di legittimità. Peraltro l’attuale censura non chiarisce quali sarebbero le effettive violazioni di legge in cui sarebbe incorsa la corte di merito, attesa la carenza del presupposto essenziale, ovvero la presenza di un vincolo contrattuale diretto al mantenimento del rapporto di lavoro in questione ed al diritto al bonus in discussione.
Anche tale censura deve essere disattesa ed il ricorso complessivamente rigettato.
Le spese seguono il principio di soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 6.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Cosi’ deciso in Roma il 4 giugno 2025.
La Presidente NOME COGNOME