Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2701 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 2701  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25011-2020 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,  rappresentato  e  difeso  dall’AVV_NOTAIO  NOME COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona  del legale  rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che la
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N. 25011/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 06/12/2023
CC
rappresenta  e  difende  unitamente  agli  avvocati  NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  475/2020  della  CORTE  D’APPELLO  di MILANO, depositata il 27/07/2020 R.G.N. 288/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal AVV_NOTAIO
COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano respingeva il reclamo proposto da NOME contro la sentenza n. 476/2020 del Tribunale della medesima sede che pure aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza di quello s tesso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva rigettato il suo ricorso relativo all’impugnativa del licenziamento disciplinare per giusta causa intimatogli dalla datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE in data 23.11.2018, in base a precedente nota di contestazione in data 14.11.2018.
 Per  quanto  qui  interessa,  la  Corte  territoriale premetteva la trascrizione integrale della cennata contestazione, nella quale, in sintesi, era stato addebitato al  lavoratore,  direttore  del  punto  vendita  RAGIONE_SOCIALE di Nizza Monferrato: di aver omesso di vigilare sul rispetto delle prescrizioni sanitarie finalizzate alla conservazione degli alimenti, non impedendone la violazione; e di aver sbeffeggiato, davanti alla telecamera,
un giornalista della trasmissione ‘RAGIONE_SOCIALE‘ che gli stava formulando domande a tale proposito. Indi, esaminati congiuntamente i quattro motivi di reclamo del lavoratore, riteneva in particolare che, diversamente da quanto opinato dal reclamante, la sentenza impugnata avesse correttamente reputato valida ed efficace, rispetto al disposto di cui all’art. 16 d.lgs. n. 81/2008, la delega fondante, in capo ad RAGIONE_SOCIALE, i doveri di controllo in materia alimentare di cui il datore lamentava la trasgressione. Confermava, altresì, che le condotte contestate, considerata la loro gravità, integrassero gli estremi della giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c.
 Avverso  tale  decisione,  NOME  COGNOME  ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione/errata/falsa applicazione di norme di diritto in ordine alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c.’. Riferita parte della motivazione dell ‘impugnata sentenza qui censurata, il ricorrente premette che la Corte d’appello ha ritenuto che il giudice di primo grado abbia correttamente reputato valida ed efficace la delega fondante, in capo ad RAGIONE_SOCIALE, i doveri di controllo in materia alimentare di cui il datore lamenta la trasgressione. Secondo il ricorrente questa Corte di legittimità dovrebbe rilevare che la Corte d’appello, nel ritenere a sua volta valida ed efficace la
delega di funzioni conferita al sig. COGNOME, viola la normativa di riferimento. Passa, quindi, a considerare la delega  di  funzioni  in  termini  generali,  facendo  precipuo riferimento al disposto di cui all’art. 16 d.lgs. n. 81/2008, e ai principi di diritto affermati anche da questa Corte di cassazione (in sede penale) circa tale previsione.
Con un secondo motivo deduce ‘Omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c.’. Individuata la parte di motivazione censurata, il ricorrente assume che la Corte d’appello di Milano nell’emettere la sua pronuncia non ha tenuto conto di quanto riferito nel corso del giudizio dal sig. COGNOME, ovvero che lo stesso era rimasto assente dal posto di lavoro nei giorni 18, 19 e 20 ottobre 2018, sicché non poteva essere a conoscenza di quanto accaduto nei giorni delle riprese, il 20 ottobre 2018. Inoltre, secondo il ricorrente, la Corte d’appello, basando la propria pronuncia sulle valutazioni testimoniali effettuate dal giudice di primo grado, non ha preso in considerazione le ulteriori dichiarazioni rese dai testi (NOME COGNOME e NOME COGNOME). La Corte d’appello, pertanto, ha omesso di motivare su un punto decisivo della controversia, ovvero che il comportamento assunto dal responsabile del reparto macelleria fosse stato perpetrato all’insaputa dell’NOME e anche degli ispettori stessi.
3. Il primo motivo è infondato.
 Il  ricorrente  non  si  confronta  con  la  completa motivazione  dell’impugnata  sentenza  circa  la  questione riproposta con tale censura.
In particolare, la Corte territoriale, nell’esaminare tale questione in relazione al secondo motivo di reclamo dell’attuale ricorrente (cfr. pag. 6 della sua sentenza), ha considerato che:  (così pag. 8).
Ebbene,  il ricorrente, da un  lato, prende  in considerazione  solo  taluni  stralci  della  motivazione  in proposito resa dalla Corte di merito (cfr. pag. 14 del ricorso in  esame),  e,  dall’altro,  non  illustra  in  che  senso  le complete valutazioni espresse dalla stessa Corte in base ad emergenze documentali puntualmente indicate sarebbero in  contrasto  con  la  disciplina  di  cui  all’art.  16  d.lgs.  n. 81/2008 e con i principi di diritto che il ricorrente richiama.
Inammissibile è il secondo motivo.
Nota anzitutto il Collegio che il ricorrente, sia nella rubrica che nello svolgimento di tale censura, sembra fare riferimento al previgente testo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. che recitava: ‘per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio’.
Il  testo  della  stessa  disposizione,  come  sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. n. 83/2012, conv. con mod. nella L. n. 134/2012, recita: ‘per omesso esame circa un  fatto  decisivo  per  il  giudizio  che  è  stato  oggetto  di discussione  fra  le  parti’;  e tale  versione  della  stessa,  a norma  dell’art.  54,  comma  3,  del  medesimo  decreto (secondo il quale esso si applica alle sentenze pubblicate dal  trentesimo  giorno  successivo  a  quello  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del predetto decreto), è quella indubbiamente applicabile nella specie.
Tanto precisato, occorre, allora, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis , Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
8.1. Nel caso in esame, la sentenza di secondo grado e  quella  che  ha  definito  il  primo  grado  sono  del  tutto conformi.
8.2. Ebbene, il ricorrente neanche ha allegato se ed in che parti  le  motivazioni  delle  due  sentenze  in  questione fossero significativamente difformi.
 Il  ricorrente,  pertanto,  di  nuovo  soccombente, dev’essere  condannato  al  pagamento,  in  favore  della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità,  liquidate  come  in  dispositivo,  ed  è  tenuto  al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso.  Condanna  il  ricorrente  al pagamento,  in  favore  della  controricorrente,  delle  spese del  giudizio  di  legittimità,  che  liquida  in  €  200,00  per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso  forfetario  delle  spese  generali  nella  misura  del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali  per  il  versamento,  da  parte  del  ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così  dec iso  in  Roma  nell’adunanza  camerale  del