Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23602 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23602 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20303-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– resistente con mandato – avverso la sentenza n. 2184/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 17/12/2019 R.G.N. 108/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
R.G. 20303/20
Rilevato che:
Oggetto
R.G.N. 20303/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 27/05/2025
CC
Con sentenza del giorno 17.12.2019 n. 2184, la Corte d’appello di Bari accoglieva l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza del Tribunale di Trani che aveva accolto l’opposizione proposta da COGNOME NOME avverso l’ingiunzione di pagamento, con la q uale era stato richiesto il pagamento della somma di € 17.346,59 a titolo di contributi per RAGIONE_SOCIALE -lavoratori autonomi ed associati, riferita alla posizione dell’impresa agricola di COGNOME NOME e al periodo da gennaio 2011 a dicembre 2014.
Il tribunale aveva accolto l’opposizione ritenendo sussistenti adeguati elementi probatori per escludere che COGNOME NOME avesse svolto, nel periodo contestato, prevalente attività agricola, in quanto impiegato a tempo pieno alle dipendenze di un Consorzio di guardie campestri; ciò, in quanto era emerso in sede ispettiva che la ditta era condotta dal figlio COGNOME NOME e non da COGNOME NOME personalmente, con conseguente insussistenza dell’obbligo di iscrizione e contributivo.
La Corte d’appello a sostegno degli assunti di accoglimento del gravame dell’Inps, ha ritenuto che la pretesa impositiva rivolta a COGNOME NOME era giustificata dalla veste di titolare dell’impresa commerciale e, in quanto tale, tenuto al pagamento dei contributi per i familiari coadiutori assicurati, quale il Figlio COGNOME NOME, che conduceva effettivamente l’azienda, come da quest’ultimo confermato in sede ispettiva: pertanto, la circostanza che COGNOME NOME non si occupasse direttamente della coltivazione dei fondi, in quanto impiegato alle dipendenze di terzi, di per sé non significava che non si fosse dedicato indirettamente all’azienda, tramite il familiare coadiuvante all’attività agricola, come riferito dallo stesso ricorrente (oltre
che dal figlio), circostanza che giustificava l’imposizione contributiva a favore del familiare coadiuvante.
Avverso tale sentenza, COGNOME NOME ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, mentre l’Inps non ha spiegato difese scritte. Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, la parte ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 della legge n. 1047/57 e della circolare Inps n. 78/13, perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto COGNOME Mario soggetto alla pretesa contributiva dell’Inps, quando lo stesso aveva svolto attività di lavoratore subordinato a tempo pieno presso terzi.
Con il secondo motivo di ricorso, la parte ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 10 della legge n. 613/66, perché la Corte d’appello non aveva tenuto conto che l’atto impositivo aveva come destinatario COGNOME NOME s enza alcun riferimento alla posizione di COGNOME NOME, figlio coadiutore del ricorrente ma non presente nell’odierno giudizio e non destinatario della cartella di pagamento.
In via preliminare e dirimente, va rilevato che nelle more del presente giudizio, il ricorrente ha aderito con riferimento all’intimazione di pagamento di cui all’avviso di addebito per cui è causa, alla definizione agevolata dei crediti di cui all’art. 1, commi da 231 a 252 della legge n. 197/2002 (cd. rottamazione quater), come da documentazione allegata al fascicolo telematico (cfr. doc. 2).
In presenza della dichiarazione del debitore di avvalersi della definizione agevolata, implicante impegno a rinunciare al giudizio, questa Corte ha chiarito che il giudizio di cassazione deve essere dichiarato estinto, ex art. 391 c.p.c.,
rispettivamente per rinuncia del debitore, qualora egli sia ricorrente, ovvero perchè ricorre un caso di estinzione ex lege, qualora sia resistente o intimato, ferma in entrambi i casi la dichiarazione di cessazione della materia del contendere qualora risulti, al momento della decisione, che il debitore abbia anche provveduto al pagamento integrale del debito rateizzato (così Cass. n. 24083 del 2018).
Che a tale soluzione non reputa il Collegio che si possa pervenire anche nel caso di specie, atteso che, pur prevedendo il comma 236 dell’art. 1 della legge n. 197 cit. l’impegno a rinunciare ai giudizi pendenti aventi oggetto i carichi per i quali è intervenuta richiesta di definizione agevolata, il successivo periodo stabilisce che “l’estinzione del giudizio è subordinata all’effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati”, ciò che nel caso di specie non risulta (cfr. fascicolo telematico) né risulta l’accettazione dell’Inps (cfr. sempre, fascicolo telematico).
Poiché non risulta compatibile con il giudizio di cassazione la previsione di cui al medesimo comma 236 cit., secondo il quale “nelle more del pagamento delle somme dovute (i processi) sono sospesi dal giudice”, deve piuttosto rilevarsi che l’avvenuta adesione alla definizione agevolata con l’impegno a rinunciare (anche) al presente giudizio determina sicuramente la sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione, ciò che comporta l’inammissibilità del ricorso per cassazione (così, in un caso analogo, Cass. S.U. n. 28182 del 2020).
La mancata costituzione da parte dell’Inps, esonera inoltre, il Collegio dal provvedere sulle spese.
Sulla base della disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, finalizzata ad evitare
impugnazioni pretestuose o dilatorie, deve escludersi che il meccanismo sanzionatorio ivi previsto sia applicabile alle ipotesi di inammissibilità sopravvenuta del gravame (cfr. fra le tante Cass. nn. 19464 del 2014, 13636 del 2015, 3542 del 2017 e, da ult., Cass. S.U. 28182 del 2020, cit.), onde non si ravvisano i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27.5.25