Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25739 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 25739 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 7931-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza del TRIBUNALE di PADOVA n. 1357/2019 depositata il 25 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 settembre 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
lette le memorie delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrente e l’avvocato NOME COGNOME per il controricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il Giudice di Pace di Padova, decidendo sul procedimento di opposizione, avente R.G. n. 5054/2013, proposto da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo n. 1575/2013 emesso in favore dell’avv. NOME COGNOME per il pagamento di euro 3.042,39 quale residuo credito professionale, con sentenza n. 395 del 3 aprile 2014 -evocativa della giurisprudenza di legittimità sulla caducazione del decreto ingiuntivo in caso di dichiarazione di difetto di competenza del giudice adito in sede di opposizione a decreto ingiuntivo -dichiarava la propria incompetenza per valore a conoscere della domanda ed affermava la competenza del Tribunale di Padova in relazione, non al valore preteso in ingiunzione, bensì a quello complessivo del contratto d’opera professionale.
NOME COGNOME riassumeva la causa dinanzi al Tribunale di Padova, riproponendo tutte le domande di merito di cui all’opposizione.
Il Tribunale adito dubitando a sua volta della propria competenza, ai sensi dell’art. 45 c.p.c., sollevava d’ufficio regolamento di competenza con ordinanza del 6 febbraio 2015.
La Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza n. 13847 del 7 luglio 2016, a risoluzione del regolamento, stabiliva la competenza funzionale ed inderogabile in capo al Giudice di Pace per le cause di opposizione a decreto ingiuntivo, nella cui cognizione rientrano anche le ragioni di insussistenza del credito azionato in via monitoria, tra le quali la validità della fonte dell’obbligazione, di cui deve limitarsi a conoscere incidenter tantum , strumentalmente alla decisione da assumere sulla ragione di credito azionata.
Successivamente l’appellante notificava una comparsa di riassunzione oltre il termine prescritto per la riassunzione, senza però poi dare corso a ulteriori atti di impulso.
Il COGNOME iscriveva a ruolo il procedimento con un ricorso in riassunzione dinanzi al Giudice di Pace, con richiesta di declaratoria di estinzione del giudizio e di esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
Il procedimento di riassunzione, che assumeva n. R.G. 3906/2017, diverso da quello relativo al procedimento di opposizione, si concludeva con ordinanza del Giudice di Pace il quale, rilevato che la riassunzione della causa era avvenuta oltre il termine di tre mesi stabilito dall’art. 50 c.p.c., dichiarava l’estinzione del giudizio e l’esecutività del decreto ingiuntivo.
Avverso tale ordinanza interponeva appello NOME COGNOME chiedendo la correzione del provvedimento di estinzione, nel senso di dichiarare estinto il procedimento n. 5054/2013 per tardiva riassunzione anziché il n. 3906/2017, e la revoca della dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo opposto, già caducato con la pronuncia di incompetenza del Giudice di Pace.
Si costituiva in giudizio l’avv. COGNOME eccependo l’inammissibilità dell’appello e comunque la sua infondatezza.
Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 1357 del 25 luglio 2019, rigettava l’appello e compensava tra le parti le spese di lite.
Il giudice di merito precisava, innanzitutto, che il procedimento R.G. n. 3906/2017 coincide con il procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo n. 1575/2013 e che l’attribuzione di un diverso numero di R.G. attiene solo ad aspetti organizzativi di cancelleria e non esclude che il procedimento R.G. n. 3906/2017 riguardi proprio la riassunzione del preesistente procedimento numero 5054/2013.
Il Tribunale evidenziava, quindi, che l’estinzione del giudizio R.G. n. 3906/2017 concerneva il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promossa dal COGNOME, non riscontrando pertanto la necessità di alcun provvedimento di correzione.
Secondo il Tribunale, inoltre, la sentenza che ha pronunciato sulla incompetenza è stata posta nel nulla dalla pronuncia della Corte di cassazione, che ha affermato la competenza del giudice di pace, non essendoci pertanto nessuna pronuncia con efficacia sostitutiva del decreto ingiuntivo opposto.
Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per cassazione da NOME COGNOME sulla base di cinque motivi.
L’avv. NOME COGNOME ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte e le parti hanno depositato memorie illustrative.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale, sollevata dalla difesa dell’opposto, sul presupposto che, a fronte della notifica del ricorso avvenuta in data 13 febbraio 2020, l’iscrizione a ruolo ed il deposito del ricorso sarebbero avvenuti solo in data 5 marzo 2020, ben oltre il termine di 20 giorni prescritto dall’art. 369 c.p.c., e presidiato dalla sanzione dell’improcedibilità.
L’eccezione, tuttavia, non tiene conto del fatto che il ricorrente, come consentito dall’art. 134 disp. att. c.p.c., ancora vigente all’epoca dei fatti, ha provveduto al deposito del ricorso a mezzo invio per posta in data 27 febbraio 2020, ed è quindi in relazione a tale data, come previsto dallo stesso art. 134 ora richiamato (co. 5) che occorre far riferimento al fine della verifica della tempestività del deposito, verifica che si risolve in senso favorevole al ricorrente (cfr. da ultimo Cass. n. 684/2016, secondo cui, ai fini della verifica del tempestivo deposito del ricorso per cassazione, quando il ricorrente si sia avvalso del servizio postale, assume rilievo la data di consegna all’ufficio postale del plico da recapitare alla cancelleria della Corte di cassazione, dovendo in tal caso ritenersi che l’iscrizione a ruolo sia avvenuta in tale data, non assumendo rilievo che il plico pervenga a destinazione dopo il decorso del termine di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c.).
Quanto, invece, alla questione relativa al mancato deposito della delibera di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, appaiono condivisibili le osservazioni della Procura Generale che ha evidenziato che il ricorrente ha provveduto a dimettere, al momento della costituzione in giudizio, la comunicazione dell’avvenuta ammissione proveniente dal Consiglio degli Avvocati di Padova così che l’esplicito riferimento alla sicura esistenza della delibera ed al procedimento in oggetto, consente di escludere l’improcedibilità per il mancato deposito del decreto di ammissione, e ciò anche in considerazione del fatto che risulta tempestivamente allegata al ricorso la comunicazione del Consiglio dell’Ordine di avvenuta ammissione del ricorrente al detto beneficio, la cui concessione non può essere posta in dubbio.
Il primo motivo di ricorso principale denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 156 e 654 c.p.c., nonché degli artt. 125, 125 bis e 126 disp. att. c.p.c., anche sotto il profilo del vizio motivazionale, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per non aver il giudice di merito riconosciuto l’avvenuta violazione delle norme relative alla riassunzione del procedimento la quale dovrebbe essere operata dinanzi allo stesso giudice della causa da riassumere, riattivando lo stesso fascicolo d’ufficio, che andrebbe immediatamente trasmesso al giudice della riassunzione.
Secondo il ricorrente, il creditore avrebbe, invece, iscritto il procedimento a ruolo come nuovo procedimento dinanzi al giudice di pace, senza far confluire in esso né gli atti precedenti alla dichiarazione di estinzione della causa di opposizione a
decreto ingiuntivo né la dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo.
Trattandosi di due procedimenti diversi tra le stesse parti, rubricati sotto due differenti numeri di ruolo generale, il Tribunale con la sua pronuncia avrebbe violato i limiti della domanda, segnati, a livello anche formale, dalla conformazione di ogni singolo fascicolo processuale.
Il motivo è manifestamente infondato.
La censura insiste reiteratamente su di una pretesa diversità tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e quello all’esito del quale è stata dichiarata l’estinzione del primo giudizio, ma trattasi di affermazione che appare evidentemente smentita dai fatti di causa.
La sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che l’eventuale errore commesso dalla cancelleria nel far confluire il ricorso proposto dal COGNOME, dopo la notifica della comparsa in riassunzione da parte del ricorrente, a seguito della decisione sul regolamento di competenza d’ufficio, in un procedimento al quale è stato assegnato un diverso numero di ruolo generale, non può prevalere rispetto alla chiara volontà dello stesso COGNOME di voler dare impulso al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sul quale vi era stata la declaratoria di incompetenza del Giudice di Pace, rivelatasi erronea all’esito della decisione regolativa della competenza assunta da questa Corte. In più, è stato altresì evidenziato che il creditore opposto, evidentemente avvedutosi del fatto che la riassunzione con la prima comparsa notificata dal ricorrente non era rispettosa del termine di cui all’art. 50 c.p.c., ha inteso dare impulso al processo di opposizione, ma all’unico e
dichiarato fine di farne dichiarare l’estinzione, intendendo da tale pronuncia trarre l’ulteriore effetto a sé favorevole, della declaratoria di esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto.
Nel ricorso depositato dal COGNOME che ha poi indotto il Giudice di Pace a dichiarare l’estinzione del giudizio di opposizione, non è dato intravedere alcuna autonoma domanda, se non il palese intento di assicurare la definizione in rito del giudizio di opposizione sul quale vi era stata la declaratoria di incompetenza, poi rivelatasi erronea, e d’altronde invocare l’estinzione del giudizio di opposizione denota evidentemente come il detto ricorso non contenga alcuna autonoma domanda né introduca alcuna diversa causa petendi , rispetto a quelle già coinvolte a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dal ricorrente.
La riassunzione ad opera del ricorrente incidentale (che a ben vedere si configura più alla stregua di una comparsa in risposta alla comparsa di riassunzione tardivamente notificata dal COGNOME) è stata correttamente indirizzata all’ufficio giudiziario dinanzi al quale era stato illo tempore introdotto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che si intendeva riattivare, sia pure al limitato fine di farne dichiarare l’estinzione, senza che rilevi l’erronea attribuzione di un nuovo numero di ruolo generale (palesandosi in maniera evidente la medesimezza della causa identificata dal nuovo numero di ruolo generale con quella già pendente) né la diversità del giudice persona fisica, risultando, invece, corretta l’individuazione dell’ufficio giudiziario, ed essendo prive di sanzioni le eventuali violazioni delle regole che dispongono in ordine alla sostituzione del giudice cui era stato inizialmente
assegnato il procedimento (cfr. da ultimo Cass. n. 29281/2024, a mente della quale, il difetto di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. è ravvisabile unicamente quando gli atti giudiziari sono posti in essere da persone estranee all’ufficio giudiziario e non investite della funzione esercitata, mentre non è riscontrabile se si verifica una sostituzione tra giudici di pari funzione e pari competenza appartenenti al medesimo ufficio, anche se non siano state osservate al riguardo le disposizioni previste dal codice di rito ovvero dalle norme sull’ordinamento giudiziario, poiché l’inosservanza del disposto degli artt. 174 c.p.c. 79 disp. att. c.p.c., in difetto di una espressa sanzione di nullità, costituisce una mera irregolarità di carattere interno, che non incide sulla validità dell’atto e non è causa di nullità del giudizio o della sentenza).
Tali considerazioni offrono, infine, contezza anche dell’infondatezza dell’ultima deduzione sviluppata nel motivo, secondo cui, essendovi una formale diversità di cause, il giudice della causa riassunta non avrebbe potuto dichiarare l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, occorrendo altresì evidenziare che, come affermato da Cass. n. 766/1988 (di cui si avrà modo di riferire nel prosieguo), l’estinzione del giudizio di opposizione per mancata prosecuzione può essere rilevata e dichiarata ” incidenter tantum ” anche da giudice diverso da quello dell’opposizione a decreto ingiuntivo e nella specie dal giudice dell’opposizione all’esecuzione promossa in base al detto decreto.
Il secondo motivo di ricorso principale denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.,
degli artt. 131, co. 1, 156, 158, 653, 654 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per non aver il giudice di merito rilevato la mancata notifica della comparsa di riassunzione, omissione che determinerebbe un vizio di costituzione del giudice e la violazione del principio del contraddittorio, nullità che si rifletterebbero sulle norme relative all’esecutività del decreto ingiuntivo, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 653 c.p.c. ad un procedimento incardinato ex novo sotto il diverso numero di ruolo R.G. n. 3906/2017 -anziché in proseguimento della causa R.G. n. 5054/2013 nata come di opposizione a decreto ingiuntivo -e senza portare con sé il decreto ingiuntivo da dichiarare eventualmente esecutivo.
Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto rilevare non solo l’erroneità della dichiarazione di esecutività del giudice di pace in quanto non ricollegabile al decreto ingiuntivo al quale pretendeva riferirsi, ma anche il vizio di forma consistente nell’erronea iscrizione da parte del preteso creditore di una nuova causa al ruolo per ottenere la declaratoria di estinzione del giudizio pendente. Conseguenza di ciò, a parere del ricorrente, sarebbe il carattere abnorme del provvedimento emanato dal giudice di pace che avrebbe dovuto essere oggetto di riforma in toto , con eventuale dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità della domanda di estinzione.
Anche tale motivo è manifestamente infondato.
Soccorre al riguardo la considerazione espressa in occasione della disamina del primo motivo, e che parte dal fatto che il ricorso in riassunzione del COGNOME si pone alla stregua di una comparsa di risposta rispetto alla riassunzione tardivamente notificata da
parte del ricorrente, così che era proprio tale prima notifica ad avere assicurato la novella instaurazione del contraddittorio.
Tale circostanza inficia, quindi, in via conseguenziale tutte le argomentazioni che il ricorrente spende al fine di supportare la tesi della nullità della declaratoria di estinzione emessa dal giudice di pace.
Ma ancor più assorbente risulta il rilievo, mosso anche dalla difesa del ricorrente incidentale, che ha evidenziato la novità delle questioni poste con il mezzo in esame, atteso che nella sentenza non risultano in alcun modo affrontate, né il ricorrente riferisce con precisione dove e quando le stesse siano state proposte in appello; in ricorso, alla pag. 14, si limita esclusivamente a riferire della contestazione in ordine alla pretesa identità tra la causa riassunta e quella di opposizione. Manca ogni puntuale riferimento sia alla censura circa l’omessa notifica del ricorso della controparte sia in ordine al preteso difetto di costituzione del giudice, così che, in assenza di una formulazione di un tempestivo motivo di appello, la deduzione resta preclusa ex art. 161 c.p.c.
Il terzo motivo di ricorso principale denuncia l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulta dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato discusso tra le parti e abbia carattere decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nella diversità di fascicolo processuale tra la causa nata come di opposizione a decreto ingiuntivo -rubricata R.G. n. 5054/2013 -e la causa tardivamente riassunta rubricata R.G. n. 3906/2017.
In particolare, a parere del ricorrente, per ‘fatto storico’ si dovrebbe intendere sia l’alterità dei procedimenti quello originario di opposizione a decreto ingiuntivo e quello asseritamente riassunto -sia l’avvenuta pronunzia di un procedimento di esecutività di un decreto ingiuntivo non presente nel fascicolo del procedimento, in quanto estraneo ad esso e inerente ad altro procedimento non pendente dinanzi al giudice della pronuncia di estinzione ed esecutività.
Il giudice del gravame, secondo il ricorrente, nel pronunciarsi su una domanda e su un procedimento nuovi e trascurando il carattere decisivo della circostanza, avrebbe confermato la decisione abnorme del giudice di pace della seconda causa che ha dichiarato esecutivo il decreto ingiuntivo, nonostante questo fosse già stato caducato dalla sentenza dichiarativa della propria incompetenza emessa dal giudice di pace nell’opposizione a decreto ingiuntivo, pronunciando però all’interno di altro e diverso procedimento limitato alla domanda di dichiarazione di estinzione e di esecutività.
Il motivo è evidentemente inammissibile, sia perché deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c., nonostante la preclusione posta dall’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., applicabile ratione temporis , avendo la sentenza di appello confermato quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto, sia perché la sentenza impugnata, lungi dall’avere omesso la disamina dei pretesi fatti decisivi, li ha invece espressamente esaminati, pervenendo alla conclusione, del tutto incensurabile in questa sede, per la quale ad essere stato riassunto dal COGNOME (ancorché al fine di
conseguire la declaratoria di estinzione e le statuizioni conseguenziali sul decreto opposto) era proprio il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
6. Il quarto motivo di ricorso principale denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 653 e 654 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per non aver il Tribunale rilevato, da un lato, che il decreto ingiuntivo opposto era già stato caducato con la sentenza di incompetenza del giudice di pace, dall’altro, che la causa di opposizione era già stata definita in virtù di tale pronuncia.
In particolare, secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe erroneamente considerato il procedimento a quo come prosecuzione del procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo, anziché del giudizio di cognizione ordinaria sull’esistenza o inesistenza del credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione che si apre con l’opposizione.
Inoltre, secondo il ricorrente, anche a voler ritenere corretta la riassunzione del giudizio, non sarebbe stato possibile pronunciare un decreto di esecutività del decreto ingiuntivo, stante il fatto che il decreto ingiuntivo sarebbe ‘già uscito dal mondo del diritto’ per effetto della sentenza dichiarativa dell’incompetenza del giudice adito in sede di opposizione.
Il quinto motivo di ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 42, 43, 44, 50, 338, 310 e 393, 161, 163, 653 e 654 c.p.c., 34 D. Lgs. n. 150/2011, 125, 125 bis e 126 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per essere la sentenza del Tribunale affetta dal c.d. vizio di sussunzione, consistente nell’erronea ricognizione delle norme
implicate nella decisione del caso di specie. In particolare, secondo il ricorrente, il giudice di merito avrebbe erroneamente ricondotto la fattispecie in esame a quella astratta dell’estinzione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo per omessa riassunzione dopo la sentenza di rinvio, anziché considerare che la fattispecie era quella, diversa, di estinzione della causa ordinaria di cognizione sull’accertamento del credito di cui al ricorso per ingiunzione dopo l’ordinanza di regolamento di competenza, che ha determinato la competenza a conoscerne in capo al giudice di pace, che però in sede di opposizione a decreto ingiuntivo si era dichiarato incompetente con sentenza.
Inoltre, a parere del ricorrente, la decisione del giudice di merito, nel confermare l’ordinanza di estinzione del giudizio e di esecutività del decreto ingiuntivo, sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità in materia di procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo secondo la quale la nullità del decreto ingiuntivo è un effetto di diritto della declaratoria di incompetenza.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata ha deciso la controversia conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, ai cui principi il Collegio intende assicurare continuità.
In una vicenda per molti versi assimilabile a quella oggetto di causa, con la differenza che il problema dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo era sorta in sede di esecuzione, Cass. 28/01/1988 n. 766 ha affermato che, in ipotesi di mancata riassunzione del processo di opposizione a decreto ingiuntivo
dinanzi al giudice dichiarato competente dalla Corte di cassazione in sede di regolamento, l’estinzione del processo non incide sull’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo, la cui pronuncia di revoca è venuta meno, e tale estinzione può essere rilevata e dichiarata incidenter tantum anche dal giudice dell’opposizione all’esecuzione promossa in forza del decreto stesso, dovendosi ritenere la relativa istanza implicita nella richiesta di rigetto della opposizione a precetto per intervenuta estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
In motivazione la Corte ha precisato che non poteva avere seguito la tesi dell’allora ricorrente, che appare ripercorrere gli stessi tratti di quella del COGNOME, secondo cui, pur risultando applicabile alla fattispecie l’art. 50 c.p.c., anziché l’art. 393 c.p.c., non era applicabile il disposto dell’art. 653 c.p.c., che concerne o il rigetto dell’opposizione o la dichiarazione di estinzione da a sentenza, e ciò in quanto il giudice dell’opposizione, con la declaratoria di incompetenza aveva revocato il decreto ingiuntivo.
emettersi dal giudice dell’opposizione prima di giungersi Anche in quella sede era dedotto l’argomento della parte soccombente nel merito, secondo cui, nel caso di mancata riassunzione del processo davanti al giudice dichiarato competente, l’estinzione investirebbe solo il giudizio di opposizione, ma resterebbe in piedi la già dichiarata revoca del decreto opposto.
Ma questa Corte ha chiaramente affermato che l’inefficacia concerne ovviamente solo tale giudizio e non anche il decreto opposto.
In particolare, non rileva che questo era stato (preliminarmente) revocato dal giudice di merito, dichiaratosi (erroneamente) incompetente con sentenza poi annullata con la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in sede di regolamento, e ciò perché detta revoca resta anch’essa travolta dalla inefficacia della pronuncia del giudice di merito.
Ed anzi proprio per effetto dell’estinzione del giudizio di opposizione ex art. 50 c.p.c., il decreto ingiuntivo opposto acquista efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 653 c.p.c., facendo venir meno la contestazione di merito (Cass. 16.11.1977 n. 5021).
Reputa il Collegio che il ragionamento che è alla base del precedente richiamato debba essere pienamente condiviso, anche alla luce della considerazione per la quale, a voler opinare, come vorrebbe parte ricorrente, che una volta intervenuta la revoca del decreto ingiuntivo, quale evidente corollario della declaratoria di incompetenza, a nulla rileverebbe che successivamente in sede di regolamento di competenza (su iniziativa di parte ovvero ex art. 45 c.p.c.), si ravvisi l’erroneità della statuizione in punto di competenza.
Infatti, proprio perché la revoca del decreto è un corollario della decisione negatoria della competenza del giudice dell’opposizione, al fine di assicurare la piena effettività della decisione regolatrice della competenza, è necessario altresì che l’errore del giudice sia pienamente emendato, ripristinando, non solo la cognizione del giudice illegittimamente spogliatosi della controversia, ma rimettendo il creditore nella medesima posizione di vantaggio nella quale era posto a seguito dell’emissione del de creto
ingiuntivo, e specialmente per quanto attiene alla sorte del decreto nel caso di estinzione, secondo quanto prescritto dall’art. 653 c.p.c.
Ad opinare diversamente, alla decisione resa dalla Corte di cassazione in tema di regolamento di competenza sarebbe attribuita un’efficacia dimidiata, in quanto il riscontro dell’errore del giudice in ordine alla valutazione della propria competenza, se assicura che la causa debba essere riassunta dinanzi allo stesso giudice dichiaratosi incompetente, non garantirebbe il pieno ripristino della situazione processuale nella quale le parti versavano prima della declaratoria di incompetenza.
La caducazione per effetto della decisione regolatrice della competenza anche della revoca del decreto ingiuntivo collegata alla pronuncia di incompetenza del giudice dell’opposizione, comporta che correttamente il Tribunale ha rigettato l’appello del ricorrente, risultando incensurabile la conclusione secondo cui alla declaratoria di estinzione si accompagnava l’esecutorietà del decreto opposto ex art. 653 c.p.c.
Il ricorso principale va dunque rigettato.
Il primo ed unico motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale erroneamente compensato le spese di lite in virtù della peculiarità della questione giuridica affrontata. In particolare, secondo il ricorrente, il giudice di merito si sarebbe limitato a ravvisare una non meglio indicata peculiarità della questione giuridica trattata, senza dare atto di cosa la stessa consista come richiesto dal dato normativo e dalla giurisprudenza di legittimità.
Il motivo è fondato.
Avuto riguardo alla data di introduzione del presente giudizio (2013), risulta applicabile il testo dell’art. 92 c.p.c., quale scaturente dalla novella di cui alla legge n. 69/20009, e nella versione anteriore alle successive modifiche di cui alla legge n. 162/2014 di conversione del d.l. n. 132/2014.
In ragione dell’integrale soccombenza in appello del ricorrente principale, ai fini della compensazione è perciò necessario che ricorrano gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate in motivazione.
Il giudice di appello ha però compensato le spese facendo un generico richiamo alla peculiarità della questione giuridica tratta, sebbene in motivazione avesse esplicato in maniera netta le ragioni che deponevano per l’infondatezza delle censure del COGNOME.
Questa Corte ha specificamente affermato che l’espressa motivazione della compensazione delle spese processuali è sottoposta al sindacato di legittimità in ordine alla verifica dell’idoneità in astratto delle ragioni poste a fondamento della pronuncia. Ne consegue che la radicale incoerenza tra la giustificazione esplicita dei “giusti motivi” posti a base della compensazione, nella specie dovuta alla peculiarità e controvertibilità delle questioni oggetto del contendere, e le ragioni del di rigetto della domanda, derivante da accertato difetto di allegazione e prova costituiscono violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (Cass. n. 13767/2018).
Pertanto, poiché le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la
compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, è stato escluso che sia sufficiente, per derogare il principio della soccombenza, il mero riferimento alla “peculiarità della materia del contendere”. (Cass. n. 11217/2016; Cass. n. 29125/2016; Cass. n. 11411/2016; Cass. n. 22310/2017).
Il richiamo della sentenza gravata alla ‘peculiarità della questione giuridica affrontata’, oltre che essere confutata dalla nettezza delle argomentazioni spese in motivazione per disattendere le censure dell’appellante, non soddisfa gli oneri di motivazione che incombono sul giudice per addivenire alla compensazione anche a favore della parte integralmente soccombente.
Poiché all’esito del giudizio di appello, l’appellato era risultato totalmente vittorioso, essendo stato rigettato in toto l’appello, la motivazione in punto di compensazione delle spese si palesa meramente apparente e comunque non conforme alla prescrizione normativa.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in parte qua, e deve essere rimessa al Tribunale di Padova in diversa composizione, affinché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di appello, nonché di quelle del presente giudizio di legittimità e di quelle di rinvio.
Poiché il ricorso principale è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso incidentale nei limiti di cui in motivazione e, rigettato il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Padova, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di appello e del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 11 settembre 2025.
Il Presidente
L’Estensore