Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12785 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12785 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13845/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in BRESCIA INDIRIZZO DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente
Contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in BRESCIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 664/2023 depositata il 17/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.con decreto di trasferimento ex art.586 c.p.c. del Tribunale di Brescia la srl RAGIONE_SOCIALE diveniva proprietaria di tre unità immobiliari in un edificio in Brescia, distinte in catasto dal foglio 15, mappale 1613, subalterni 19, 20 e 21, già di proprietà di NOME COGNOME. Questi proponeva ricorso ex art.703 c.p.c. sostenendo di essere stato spogliato del possesso delle unità di cui al sub. 19 e al sub. 21 e di essere stato molestato nel possesso dell’unità di cui al sub 20. Il Tribunale adito rigettava il ricorso per difetto di legittimazione. La causa proseguiva nel merito e il Tribunale dichiarava la cessazione della materia del contendere quanto alla domanda di manutenzione nel possesso del sub. 20 e ribadiva il rigetto della domanda del Cassano in ragione del difetto di legittimazione per il resto. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n.664 del 2023, confermava la sentenza di primo grado ritenendo, come già il Tribunale, che il Cassano, per effetto del decreto di trasferimento, aveva perduto la qualità di possessore ed era divenuto mero detentore, come tale non legittimato all’azione di manutenzione ai sensi degli artt. 1168 e 1170 c.c.
2.NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza di appello con cinque motivi, avversati dalla CMMF con controricorso; 3. la causa perviene al Collegio su istanza formulata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito di proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso;
le parti hanno depositato memoria; considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione ‘all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. violazione degli artt. 1168 e 2919 c.c. e 560 (previgente), 586 e 608 c.p.c.’
2.con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione ‘all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. violazione degli artt. 1168, 2697, 2919 c.c. e 560 (previgente), 586 e 608 c.p.c.’.
I due motivi sono strettamente connessi. Si deduce, col primo motivo, che sia errata l’affermazione della Corte di Appello per cui l’attuale ricorrente è divenuto mero detentore dei due immobili già di sua proprietà per effetto del decreto di trasferimento emesso dal Tribunale di Brescia in favore della controricorrente ai sensi dell’art. 586 c.p.c. e, col secondo motivo, che sia errata la affermazione, conseguente alla prima, per cui l’attuale ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di avere, successivamente al decreto di trasferimento, posto in essere atti idonei a trasformare la propria posizione dal detenzione in possesso.
I due motivi sono fondati.
La Corte di Appello si è basata sulla giurisprudenza di legittimità secondo cui ‘Il decreto di espropriazione è idoneo a fare acquisire la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di diritto o di fatto con essa incompatibile e, qualora il precedente proprietario o un soggetto diverso continuino a svolgere sulla cosa attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, la notifica del detto decreto comporta la perdita dell'”animus possidendi”, con la conseguenza che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso “ad usucapionem”, è necessario un atto di “interversio possessionis”‘ (così le richiamate pronunce n.13669 del 2007; n. 23850 del 2018; n. 6742 del 2014).
La Corte di Appello non ha tenuto conto del fatto che il superiore principio è stato affermato con riguardo al decreto di espropriazione per pubblica utilità nelle controversie soggette al regime giuridico previgente al d.lgs. n. 327 del 2001 (per essere la dichiarazione di pubblica utilità intervenuta prima del 30 giugno 2003), e che tale principio non è estensibile al decreto ex 586 c.p.c.
In generale, nei trasferimenti coattivi diversi dall’espropriazione forzata, ‘il provvedimento di aggiudicazione non determina automaticamente, per il solo fatto che esso venga pronunciato ed a prescindere dalla sua esecuzione, il mutamento dell’ animus rem sibi habendi del proprietario espropriato, trasformandolo in animus detinendi alieno nomine e cioè in nome dell’espropriante (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1716 del 02/07/1966; v. altresì Cass. n.4047 del 14/02/2024 secondo cui, in tema di esecuzione forzata, ‘il provvedimento di aggiudicazione non determina automaticamente, per il solo fatto che esso venga pronunciato ed a prescindere dalla sua esecuzione, il mutamento dell’animus rem sibi habendi del proprietario espropriato, trasformandolo in animus detinendi alieno nomine, con la conseguenza che la aggiudicazione trasferisce la proprietà e non il possesso del bene’). La questione relativa alla configurabilità del constitutum possessorium ha riguardato anche i negozi traslativi della proprietà o degli altri diritti reali e la giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso di escludere che costituisca un effetto automatico dell’atto, salvo un diverso accertamento, in concreto, della effettiva volontà delle parti (ex plurimis, Sez. 2, Sentenza n. 6893 del 24/03/2014; Cass. 31434/2023).
Diverso è il caso della espropriazione per pubblica utilità come è stato rimarcato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n.651 del 2023.
Le Sezioni Unite hanno distinto, in tema di espropriazione per pubblica utilità, tra controversie soggette al regime giuridico previgente al d.lgs. n. 327 del 2001 e controversie soggette a questo regime giuridico. Con riguardo alle prime hanno statuito che ‘il decreto di esproprio validamente emesso è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la piena proprietà del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile, con la conseguenza che, anche quando all’adozione
del menzionato decreto non segua l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva di detto decreto comportano ugualmente la perdita dell'”animus possidendi” in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto -nel caso in cui continui ad occupare il bene -si configura come mera detenzione, che non consente il riacquisto della proprietà per usucapione se non a seguito di un atto di interversione del possesso, fermo restando il diritto di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene’; con riguardo invece alle controversie soggette alla disciplina introdotta dal d.lgs. n. 327 del 2001, le Sezioni Unite hanno statuito che ‘l’esecuzione del decreto di esproprio -con la immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio entro il termine perentorio di due anni, mediante la formale redazione di un verbale- assurge a condizione sospensiva di efficacia del decreto stesso (artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, d.lgs. cit.), con la conseguenza che, in mancanza, detto decreto diventa definitivamente inefficace e non si realizza l’effetto estintivo della proprietà e degli altri diritti gravanti sul bene (salvo il potere dell’autorità espropriante di emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilità entro i successivi tre anni, cui dovrà seguire un nuovo decreto di esproprio). Ove, invece, il decreto di esproprio sia tempestivamente eseguito, il beneficiario dell’espropriazione acquista la proprietà e il possesso del bene e l’espropriato o il terzo che continuino ad occuparlo o a utilizzarlo si trovano in una situazione di fatto che non è configurabile come possesso “ad usucapionem” (art. 24, comma 4, d.lgs. cit.)’.
In particolare, alla prima statuizione le Sezioni Unite sono pervenute (v. punto 8.1. della motivazione) in ragione della previsione dell’art. 52 l. n. 2359 del 1865, ove è stabilito che non solo le azioni di rivendicazione, di usufrutto, di ipoteca, di diritto dominio, ma anche tutte le altre azioni esperibili sui fondi soggetti ad espropriazione, non possono interrompere il corso di essa, né
impedirne gli effetti, evidenziando che si tratta di un effetto legale del decreto di esproprio, avente efficacia immediatamente traslativa (art. 50), il quale determina l’estinzione automatica di tutti gli altri diritti, reali o personali, gravanti sul bene espropriato, salvo quelli compatibili con i fini cui l’espropriazione è preordinata (art. 25, comma 1, d.lgs. n.327/2001). Secondo le Sezioni Unite, non vi è ragione di ritenere che tra i diritti estinti non vi sia anche lo ius possessionis tipico delle situazioni possessorie, se si considera che, pronunciata l’espropriazione, tutti i diritti anzidetti si possono far valere non più sul fondo espropriato, ma sull’indennità che lo rappresenta (cfr. gli artt. 52, comma 2, l. n. 2359 del 1865 e art. 14 l. n. 865 del 1971; in senso analogo, v. anche l’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 327 del 2001, il quale stabilisce che, dopo la trascrizione del decreto di esproprio, tutti i diritti relativi al bene espropriato possono essere fatti valere unicamente sull’indennità). È per questo che le Sezioni Unite hanno ritenuto che non è possibile qualificare in termini di possesso la relazione fattuale dell’espropriato -occupante con il bene, non essendogli concesso di proporre le azioni possessorie a tutela della pienezza del godimento del bene stesso o per contrastare le legittime (e doverose) attività appropriative dell’Amministrazione in conseguenza dell’espropriazione. ‘Le azioni possessorie costituiscono modi di tutela del diritto di continuare a godere del bene nello stato di fatto in cui era precedentemente posseduto e sono proponibili nei confronti della P.A. «a meno che sul diritto non abbia inciso un provvedimento avente attitudine a sottrarre al privato la proprietà o disponibilità della cosa o a mutarne il modo di godimento» (Sez. U, Sentenza n. 11351 del 11/11/1998), nel qual caso l’azione è proponibile solo se è ravvisabile carenza di potere amministrativo, situazione non configurabile in presenza di un provvedimento espropriativo legittimo’. Per converso, ‘l’ente espropriante, invece, può agire con i mezzi ordinari a tutela della proprietà e del
possesso (ad esempio, con l’azione di rilascio) nei confronti dell’espropriato o dei terzi occupanti (cfr. Sez. U, Sentenza n. 27456 del 29/12/2016; Sez. U, Ordinanza n. 17954 del 2007; Sez. U, Ordinanza n. 15290 del 2006; Sez. U, Sentenza n. 6129 del 1986) e, in alternativa, in via di autotutela amministrativa ex art. 823, comma 2, c.c. mediante atti non impugnabili davanti al giudice ordinario (cfr. Sez. U, n. 7344 del 1983 e Sez. U, n. 3226 del 1979).
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che non sia dato instaurare un parallelismo tra una vicenda traslativa autoritativa -quale l’espropriazione per pubblica utilità -e una vicenda traslativa negoziale poiché nell’espropriazione per pubblica utilità la volontà del proprietario per definizione non conta e, quindi, non è comprensibile -visto che la proprietà si trasferisce contro la (o nonostante una diversa) volontà dell’espropriatocome costui possa (e perché debba) conservare l’animus possidendi, né sia dato assimilare l’espropriazione per pubblica utilità all’aggiudicazione in un procedimento di esecuzione individuale perché si tratta di vicende coattive non comparabili tra loro, tenuto conto che l’espropriazione per pubblica utilità dà luogo ad un acquisto a titolo originario, con gli effetti sopra illustrati derivanti da specifica disciplina, mentre l’espropriazione forzata dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo (cfr. Sez. 2, ordinanza n. 25926 del 02/09/2022, Sez. 2, ordinanza n. 20608 del 31/08/2017), rispetto al quale l’art. 2919 c.c. fa comunque salvo solo il possesso di buona fede (così le Sezioni Unite al punto 10.1. della motivazione);
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta in relazione all’ ‘art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., nullità della sentenza ex art. 112 e 132 c.p.c.’ . Si deduce che la Corte di Appello non avrebbe motivato l’affermazione per cui l’allora appellante non aveva assolto l’onere di provare di essere stato possessore e non detentore degli immobili in questione. Il ricorrente riproduce pagine del proprio
atto di appello e richiama atti da cui risulterebbe che la RAGIONE_SOCIALE aveva tentato di ottenere la liberazione degli immobili da lui detenuti.
Il motivo resta assorbito;
4. con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. sostenendosi che la sentenza sarebbe ‘viziata per il fatto di avere statuito senza tenere in considerazione quanto dedotto dal Cassano e le prove da lui offerte e comunque acquisite agli atti del giudizio’ e ‘per non avere tenuto conto delle deduzioni delle parti e giammai contestate, quindi pacificamente acquisite al giudizio’.
Il motivo resta assorbito;
5. con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’ ‘art. 360 n.5. c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti’. Il ricorrente richiama ancora il proprio atto di appello e deduce che dal contenuto di quell’atto ‘risulta evidente che le parti hanno non solo dedotto ma pure documentato’ che il ricorrente aveva il possesso dei beni in questione.
Il motivo resta assorbito;
6. in conclusione il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere accolti e, restando gli altri assorbiti, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rinviata, anche per la liquidazione delle spese dell’intero processo, alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione;
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, l’8 maggio 2025.