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Decreto di espulsione nullo con ricorso pendente

La Corte di Cassazione ha stabilito che un decreto di espulsione è illegittimo se emesso mentre è ancora pendente un ricorso giurisdizionale contro il diniego del permesso di soggiorno. La non definitività del provvedimento di diniego, in quanto ‘sub iudice’, costituisce una causa di temporanea non espellibilità che il Giudice di Pace ha il dovere di verificare, annullando l’espulsione emessa prematuramente dalla Prefettura.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Decreto di Espulsione: Illegittimo se il Diniego del Permesso è ancora ‘Sub Iudice’

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un principio fondamentale in materia di immigrazione: l’illegittimità di un decreto di espulsione emesso quando il diniego del permesso di soggiorno su cui si fonda non è ancora definitivo. Questo accade quando il cittadino straniero ha impugnato il diniego e il procedimento giudiziario è ancora in corso. La decisione sottolinea il ruolo cruciale del giudice nel verificare le cause di non espellibilità, anche quelle temporanee.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un cittadino straniero a cui era stato negato il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. A seguito di tale diniego, la Prefettura competente aveva emesso un decreto di espulsione, ordinandogli di lasciare il territorio nazionale.

Tuttavia, il cittadino aveva tempestivamente presentato ricorso al Tribunale contro il provvedimento di diniego e, in via cautelare, ne aveva ottenuto la sospensione dell’efficacia esecutiva. Nonostante la questione fosse ancora sub iudice, ovvero pendente davanti a un giudice, la Prefettura aveva proceduto con l’espulsione, considerandola un atto dovuto data la mancanza, in quel momento, di un titolo di soggiorno valido.

Il cittadino ha quindi impugnato il decreto di espulsione davanti al Giudice di Pace, il quale lo ha annullato, ritenendo che sussistessero i presupposti per una valutazione positiva sul suo inserimento sociale e lavorativo e, soprattutto, che la sua posizione non fosse ancora definita.

La Decisione del Giudice di Pace e l’Appello della Prefettura

Il Giudice di Pace ha annullato il provvedimento espulsivo valorizzando il percorso di integrazione del ricorrente, in Italia da diversi anni e senza precedenti penali. Secondo il giudice di primo grado, la sua situazione meritava una riconsiderazione positiva circa la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno.

Contro questa decisione, l’Amministrazione ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un eccesso di potere giurisdizionale. Secondo la Prefettura, il Giudice di Pace si sarebbe illegittimamente sostituito all’autorità amministrativa nel valutare i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno, un compito che non rientra nelle sue competenze.

Il Decreto di Espulsione e la Valutazione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Prefettura, confermando la decisione del Giudice di Pace, sebbene con una motivazione parzialmente differente e più precisa sul piano giuridico. La Suprema Corte ha chiarito che il punto centrale non è se il giudice possa sostituirsi all’amministrazione, ma se il decreto di espulsione sia stato emesso su un presupposto legittimo.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha stabilito che il presupposto per l’espulsione, ovvero il diniego del permesso di soggiorno, non era definitivo. Poiché il cittadino aveva impugnato tale diniego e il Tribunale ne aveva persino sospeso gli effetti, la questione era ancora aperta. L’Amministrazione ha commesso un errore nel fondare il proprio provvedimento espulsivo su un atto la cui legittimità era ancora oggetto di un contenzioso giudiziario.

Il Giudice di Pace, investito dell’opposizione al decreto di espulsione, ha il potere e il dovere di verificare l’esistenza di cause di non espellibilità. La pendenza di un ricorso giurisdizionale contro il diniego del permesso di soggiorno costituisce una di queste cause, sebbene di natura temporanea. Fino a quando un giudice non si pronuncia in via definitiva sul diritto al soggiorno, lo straniero non può essere espulso sulla base di quell’atto amministrativo non ancora consolidato.

Inoltre, la Corte ha ricordato che la legislazione ratione temporis applicabile alla domanda di protezione speciale valorizzava il diritto alla vita privata e familiare e l’integrazione socio-lavorativa, aspetti che il Giudice di Pace aveva correttamente considerato nel valutare la posizione complessiva del ricorrente.

Le Conclusioni: L’Importanza della Pendenza del Ricorso

La sentenza stabilisce un principio di garanzia fondamentale: un’amministrazione non può ‘anticipare’ gli effetti di un proprio provvedimento se questo è oggetto di un’impugnazione giudiziaria. Il decreto di espulsione basato su un presupposto incerto, perché ancora sub iudice, è illegittimo e deve essere annullato. Questa decisione rafforza la tutela giurisdizionale dei diritti degli stranieri, impedendo che vengano prese misure drastiche come l’espulsione prima che sia stata accertata in modo definitivo la legittimità degli atti che ne costituiscono il fondamento.

Un decreto di espulsione può essere emesso se è in corso un ricorso contro il diniego del permesso di soggiorno?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un decreto di espulsione è illegittimo se si fonda su un diniego del permesso di soggiorno che non è ancora definitivo perché è in corso un’impugnazione davanti al giudice. La pendenza del ricorso costituisce una causa di temporanea non espellibilità.

Qual è il ruolo del Giudice di Pace quando valuta un’opposizione a un’espulsione?
Il Giudice di Pace deve verificare la sussistenza dei presupposti di legittimità del decreto di espulsione. Questo include l’accertamento di eventuali cause di non espellibilità, anche se sopravvenute, come la pendenza di un ricorso giurisdizionale contro l’atto che ha negato il soggiorno.

L’integrazione sociale e lavorativa di uno straniero è rilevante in un procedimento di espulsione?
Sì. La sentenza conferma che, ai fini della valutazione sulla non espellibilità (in particolare per la protezione speciale secondo la normativa applicabile al caso), il grado di integrazione socio-lavorativa e il rispetto del diritto alla vita privata e familiare sono elementi rilevanti che il giudice deve considerare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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