Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14755 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14755 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21907/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2241/2018, depositata il 7/05/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/02/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
AVV_NOTAIO ha agito nei confronti di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che i convenuti fossero condannati in solido al pagamento di euro 4.297.962, quale compenso per l’attività di assistenza giudiziale e stragiudiziale, svolta in relazione a due processi civili instaurati davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, e che il solo COGNOME fosse condannato al risarcimento dei danni derivati dalla revoca degli incarichi e dell’ulteriore danno causato da diffamazione o illecito civile. Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 3873/2016, ha condannato COGNOME a pagare euro 679.086, oltre accessori e interessi legali dalla pronuncia, a titolo di compenso per le prestazioni professionali, nonché euro 800 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, respingendo tutte le altre domande.
La sentenza è stata impugnata da COGNOME. La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 2241/2018, ha respinto il gravame.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME.
Resistono con distinti atti di controricorso NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE è succeduto
alla RAGIONE_SOCIALE ed è divenuto RAGIONE_SOCIALE BPM a seguito di fusione con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE).
Memoria è stata depositata da RAGIONE_SOCIALE, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
I primi due motivi sono tra loro strettamente connessi:
il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 68 del r.d.l. 1578/1933 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente escluso la solidarietà del RAGIONE_SOCIALE BPM con COGNOME; secondo la Corte d’appello la solidarietà prevista dall’art. 68 opera solo quando esiste un accordo diretto a sottrarre al giudice la decisione, mentre quando nella causa transatta è emersa una pronuncia giudiziale la norma diventa inapplicabile e ciò varrebbe anche quando la decisione adottata è una declaratoria di cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese, a meno che quest’ultima non sia ripetitiva della volontà delle parti, il che non sarebbe stato provato in questo processo; in tal modo la Corte ha attribuito alla pronuncia di cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese un contenuto preclusivo che essa non poteva avere, essendo un’ipotesi ben diversa da quella dell’eventuale decisione di merito sopravvenuta alla transazione; la Corte ha poi completamente omesso di considerare che detta pronuncia riguardava solo una delle due cause, essendo ignoto quanto deciso dell’altra.
b) il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., 210 e 92 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente gravato il ricorrente dell’onere di provare se la compensazione delle spese decisa in via transattiva fosse frutto dell’autonoma valutazione
dell’organo giudicante; ai fini della dimostrazione della solidarietà ex lege era sufficiente per il ricorrente dedurre e dimostrare che una transazione era stata raggiunta tra le parti, d’altro canto il ricorrente non era più da anni difensore costituito nel giudizio transatto e quindi anche per il principio di c.d. vicinanza della prova non poteva disporre del documento transattivo e non poteva quindi ritenersi gravato del relativo onere; il ricorrente aveva comunque formulato istanza di ordine di esibizione al riguardo, istanza riproposta in appello e oggetto in relazione alla sua mancata ammissione di un apposito motivo di gravame, che è stato rigettato dal giudice d’appello in quanto avrebbe avuto un evidente intento esplorativo.
I motivi non possono essere accolti. L’art. 68 del r.d.l. n. 1578/1933 prevede che ‘
Il terzo e il quarto motivo sono tra loro strettamente connessi:
il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del capitolo 3 del d.m. n. 127/2004 e della tabella d) allegata alla
tariffa; in primo grado il ricorrente aveva enunciato tutte le effettive prestazioni stragiudiziali rese, indicando i relativi corrispettivi alla luce delle tariffe forensi, includendo le relative parcelle e le schede riepilogative specifiche delle attività svolte, atti presenti nel fascicolo di parte di primo grado; il Tribunale ‘ha preteso di ridurre le spettanze a soli euro 35.000, senza esporre le ragioni dello scostamento da quanto prevedevano le tariffe forensi applicabili’; la Corte d’appello a sua volta ha calcolato il quantum come se il ricorrente avesse redatto una singola bozza di transazione, compiuto un singolo studio delle questioni o eseguita una singola trasferta mentre si trattava di attività poste in essere più volte; in ogni caso, anche considerando la redazione di una sola bozza di transazione non potrebbe negarsi il riconoscimento di un corrispettivo pari ad almeno euro 271.788.
b) Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2909 c.c., 324, 112 e 115 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento; la sentenza impugnata nel confermare la quantificazione del giudice di primo grado ha rigettato il motivo di gravame, aggiungendo un riferimento alla mancata produzione dei documenti comprovanti l’effettività e la natura delle prestazioni svolte dell’appellante; l’espressione non può che ritenersi ad colorandum , in quanto tutte le prestazioni stragiudiziali erano state considerate pacifiche e accertate in primo grado.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello osserva come il Tribunale abbia riconosciuto quanto all’attività stragiudiziale, allegata e provata, le attività di ‘studio della pratica ed espressione di parere orale su questioni di particolare difficoltà, sessioni di studio e fuori studio con il cliente, esame documenti’, attività rispetto alle quali la Corte osserva come il dominus effettivo della difesa COGNOME sia stato dal Tribunale identificato non nel ricorrente, ma nel collega AVV_NOTAIO Sozzi, così che corretta risulta l’applicazione degli importi medi previsti dalla tariffa applicabile
ratione temporis . Al riguardo il ricorrente contesta l’applicazione degli importi medi: in proposito va ricordato che rientra nel potere del giudice l’applicazione degli importi massimi e come richiesto del relativo raddoppio (v. Cass. n. 89/2021, secondo cui ‘non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe’). Viene poi contestato il mancato riconoscimento di alcune prestazioni (prestazioni che sono riportate alle pagg. 61 -74 del ricorso) e in particolare si lamenta il mancato riconoscimento dell’attività di redazione del contratto di transazione e della relativa assistenza, che avrebbe comportato il riconoscimento dell’importo di euro 250.000. Al riguardo la Corte d’appello ha sottolineato come la mancata produzione in appello da parte dell’appellante dei documenti depositati in primo grado comprovanti l’effettività e la natura delle prestazioni svolte ha ad essa impedito, in ogni caso, di effettuare un apprezzamento diverso rispetto a quella effettuato dal primo giudice, precisazione che non ha il mero valore ad colorandum sostenuto dal ricorrente e nemmeno costituisce violazione del giudicato interno, ma attesta il limite incontrato dal giudice d’appello di formulare un diverso apprezzamento di attività che non ha potuto direttamente verificare.
3. Il quinto motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2697 c.c. e 115 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento, per avere la Corte d’appello ritenuto priva di prova parte delle prestazioni giudiziali, senza considerare la presunzione di veridicità che assiste le parcelle redatte dall’AVV_NOTAIO; il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda, ritenendo mancante la prova dell’effettivo svolgimento di tutte le attività dedotte e in appello il ricorrente aveva dedotto l’erroneità della decisione per avere ritenuto contestati i documenti prodotti e per avere poi erroneamente valutato i medesimi; la sentenza di
secondo grado ha ritenuto infondata tale censura per la mancanza nel fascicolo d’appello del ricorrente della documentazione precedentemente prodotta nel giudizio di primo grado; il ricorrente aveva però incorporato nell’atto di citazione e nella prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c. le parcelle e le schede cui esse erano riferite, così che tutte le attività erano state non solo analiticamente elencate e dettagliate, ma erano state accompagnate dalla presentazione delle parcelle professionali, con la conseguenza che le attività dovevano ritenersi interamente provate già in primo grado, in quanto le parcelle professionali sono sorrette da una presunzione di esecuzione effettiva di tutte le attività professionali ivi indicate.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha osservato come in relazione all’attività giudiziale cui fa riferimento il ricorrente il Tribunale abbia escluso che essa sia stata provata, in quanto i documenti non erano stati prodotti in originale o in copie conformi ed erano privi di sottoscrizione o delega da parte del cliente. A fronte della contestazione relativa alla conformità dei documenti e alla riferibilità dei medesimi all’attività svolta dal ricorrente, il giudice d’appello ha osservato come, in mancanza di produzione dei medesimi, non fosse in grado né di accertare l’effettiva riconducibilità al ricorrente dell’attività giudiziale in contestazione, che sarebbe dovuta emergere dal contenuto dei documenti stessi, né di operare alcuna verifica di conformità ai sensi dell’art. 2712 c.c. Rispetto a tali affermazioni il ricorrente sostiene che, in realtà, tale attività giudiziale non aveva bisogno di essere provata in quanto assistita dalla presunzione di veridicità delle parcelle. Il ricorrente non considera che tale attività è stata ritenuta dal Tribunale ‘oggetto di specifica contestazione da parte del convenuto COGNOME (vedere pag. 6 della sentenza di primo grado), contestazione specifica che il ricorrente in effetti pone in dubbio alle pagg. 83 e 84 del ricorso, senza dire di avere già fatto
valere tale difetto di specificità e non considerando, in ogni caso, che la specificità della contestazione è valutazione che spetta ai giudici di merito (cfr. Cass. 27490/2019).
4. Il sesto motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 1221, 1224, 1277, 1282, 2943 c.c.: il ricorrente aveva richiesto in primo grado che su tutte le somme fossero liquidati anche gli interessi legali nonché la rivalutazione monetaria o il maggior danno e il tutto a decorrere dalla data della revoca degli incarichi o almeno dalla data di notifica della domanda giudiziale; il Tribunale ha accordato soltanto gli interessi legali facendoli decorrere dalla data della sentenza di primo grado; il ricorrente ha proposto al riguardo motivo d’appello chiedendo la liquidazione degli interessi legali col decorso richiesto, nonché la rivalutazione monetaria e/o il maggior danno, ma la censura è stata respinta dalla Corte d’appello.
Il motivo è in parte fondato. La Corte ha osservato che, trattandosi di controversia sul quantum tra cliente e AVV_NOTAIO, gli interessi e il preteso maggior danno da svalutazione monetaria restano soggetti alla regola di cui all’art. 1224 c.c., postulando il verificarsi della mora debendi che il credito sia divenuto liquido ed esigibile per effetto del provvedimento giurisdizionale, né risulta che il ricorrente abbia posto in essere una costituzione in mora del debitore COGNOME in un altro momento. L’affermazione della Corte non è corretta in relazione al dies a quo del decorso degli interessi, in quanto tale momento va identificato nella proposizione della domanda giudiziale e non nella decisione da parte del giudice (vedere Cass. n. 24973/2022, secondo la quale ‘nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 c.c. competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di
adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice’). Quanto invece al riconoscimento del maggior danno, è mancata la prova da parte del ricorrente, mancanza di prova che è già stata sottolineata in primo grado e riguardo alla quale il ricorrente si limita a dire che non era necessaria una specifica prova, ben potendo il maggior danno essere riconosciuto ‘in via presuntiva in dipendenza della professione esercitata’. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘dalla mora conseguente all’inadempimento del cliente discende, quindi, la corresponsione degli interessi nella misura legale, salvo che l’AVV_NOTAIO creditore dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c., il quale, può, peraltro, ritenersi esistente in via presuntiva, sempre che il creditore alleghi che, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali’ (cfr . Cass. n. 20547/2019), allegazione che il ricorrente non deduce di avere effettuato (v. le pagg. 91 e 92 del ricorso).
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione alla parte di motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, disponendo la decorrenza degli interessi legali dalla data di notificazione dell’atto di citazione di primo grado. Le spese sono liquidate in dispositivo, sulla base della soccombenza, alla luce dell’esito complessivo del processo: vanno quindi confermate le liquidazioni poste in essere in primo e in secondo grado; quanto al presente giudizio, considerato l’accoglimento del solo motivo concernente la decorrenza degli interessi, le spese vanno compensate per 1/5 e il resto va posto a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo nei limiti di cui in motivazione, rigettati gli altri motivi di ricorso, e conseguentemente cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; decide la causa nel merito e dispone la decorrenza degli interessi dalla data di notificazione dell’atto di citazione di primo grado, ferme restando le altre statuizioni; mantiene ferme le liquidazioni delle spese operate in primo grado e in appello e, quanto alle spese del giudizio di legittimità, compensa le medesime per 1/5, ponendo il resto a carico del ricorrente, che viene pertanto condannato al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti di euro 9.800, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda