Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20290 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20290 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 31758 del ruolo generale dell’anno 2020 , proposto da
COGNOME COGNOME NOME COGNOME nato a Roma l’8 luglio 1960 CF CRC CODICE_FISCALE, residente in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME CF PND CODICE_FISCALE, p.e.c.: EMAIL, fax NUMERO_TELEFONO, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo, in Roma, INDIRIZZO, per procura in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
Ministero dell’interno , CF NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, INDIRIZZO p.e.c.: EMAIL CF 80224030587, fax NUMERO_TELEFONO.
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n° 2984 depositata il 19 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME -vittima dell’attentato terroristico alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982 -dopo un peggioramento delle sue condizioni psico-fisiche, a seguito dell’entrata in vigore della legge n° 206/2004, l’11 ottobre 2005 presentava domanda di riconoscimento dei benefici spettanti in base ad essa.
Con decreto del 24 gennaio 2007 il Ministero dell’interno riconosceva all’istante la speciale elargizione di euro 31.742,62, ma, dato che l’invalidità accertata dalla Commissione medica era pari solo al 15%, rigettava la richiesta dal NOME COGNOME diretta ad ottenere l’ulteriore beneficio consistente negli assegni vitalizi, per i quali occorreva un’invalidità almeno pari al 25%.
Il provvedimento del Ministero del 24 gennaio 2007 venne impugnato, per la parte sfavorevole al ricorrente, davanti al Tar di Roma, che però si dichiarò privo di giurisdizione, dovendo l’azione essere proposta davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria.
A seguito della riassunzione, il Tribunale ordinario della medesima città con sentenza n° 19641 depositata il 3 ottobre 2013 -sulla scorta della c.t.u. medico legale -riconosceva all’attore l’invalidità del 36% e condannava il Ministero dell’interno a corrispondere una elargizione di euro 42 mila.
Il Ministero, preso atto dell’esito della lite, con provvedimenti n° 451/SAV e n° 451/AV del 24 febbraio 2014, riconosceva al richiedente due provvidenze: la prima consistente nello speciale assegno vitalizio di euro 1.033,00 mensili, previsto dalla legge n° 206/2004 (art. 5, terzo comma), e la seconda nell’assegno vitalizio di euro 258,23, elevato ad euro 500,00 dal 1° gennaio 2004, ai sensi della legge n° 407/1998 (art. 2, primo comma).
Ad entrambe le predette provvidenze il Ministero attribuiva decorrenza dal 30 settembre 2013, ossia dalla data di deliberazione della
sentenza n° 19641/2013 del Tribunale di Roma, passata in giudicato.
2 .- Il COGNOME con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. ha contestato i predetti provvedimenti, facendo osservare che la data di decorrenza delle provvidenze doveva essere identificata con la presentazione dell’istanza amministrativa.
All’esito della lite, il primo giudice con ordinanza del 17 dicembre 2005 fissava la decorrenza dei due benefici al momento della presentazione della domanda amministrativa (11 febbraio 2005).
Nondimeno, la Corte d’appello di Roma, adita dal Ministero soccombente, in riforma della decisione di primo grado, ancorava la decorrenza degli assegni alla data di proposizione della domanda giudiziale (1° aprile 2010).
3 .- Riteneva in particolare la Corte territoriale, con la sentenza qui impugnata e menzionata in intestazione, che la maggior percentuale di invalidità del COGNOME COGNOME era stata accertata nel corso del giudizio davanti al Tribunale, all’esito della c.t.u.
Pertanto, dato che al momento della presentazione dell’istanza amministrativa dell’ 11 febbraio 2005 ‘ il COGNOME aveva una invalidità accertata inferiore al 25% ‘, la richiesta di quest ‘ultimo di fissare il dies a quo a partire da tale data non era fondata.
Tuttavia, non era nemmeno fondata la diversa prospettazione del Ministero, secondo la quale la decorrenza delle provvidenze vitalizie andava identificata col giorno di deposito della sentenza del Tribunale (3 ottobre 2013), in quanto -secondo l’indirizzo di Cass., Sez. Un., 5 luglio 2004, n° 12270 -andava applicato il principio della perpetuatio actionis , con la conseguenza che la durata del processo non poteva andare a danno della parte vittoriosa.
Ne derivava, dunque, che ‘ se il ricorrente (…) non ha raggiunto il requisito sanitario al momento della proposizione della domanda amministrativa, bensì nel corso del procedimento giudiziario, la provvidenza decorre dal momento del sopraggiungere del requisito
fisico (…), che nel caso di specie con la consulenza tecnica d’ufficio e, in mancanza di allegazione, dalla data della domanda giudiziale che introduce lo stesso ‘.
In conclusione, la Corte stabiliva che le provvidenze decorressero dalla proposizione della domanda giudiziale, ossia dal 1° aprile 2010.
4 .- Il COGNOME chiede la cassazione di tale sentenza, affidando l’impugnazione a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 380bis .1. cod. proc. civ.
Resiste il Ministero, che conclude per l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, per la sua reiezione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo -intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 3 L. 206/2004, art 2 comma 1 L. 407/1998, nonché degli artt. 2 e 4 DPR 181/2009, degli artt. 112 e 115 c.p.c., degli artt. 1 e 2 L. 241/1990 e dell’art. 149 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ‘ -il ricorrente lamenta che la sentenza d’appello avrebbe erroneamente individuato come giorno di decorrenza delle provvidenze riconosciutegli la data dell’atto introduttivo del giudizio (1° aprile 2010), anziché l’anteriore data di presentazione della domanda amministrativa (11 ottobre 2005).
Assume che il Ministero nel provvedimento del 24 gennaio 2007 non gli aveva riconosciuto il danno morale pari al 10%, danno poi accertato dal Tribunale ordinario.
Tale percentuale, sommata a quella dell’invalidità biologica immediatamente riconosciuta in sede amministrativa (15%), avrebbe portato la lesione totale al 25% e, dunque, alla misura occorrente per beneficiare degli assegni vitalizi già in sede amministrativa: donde la loro decorrenza dall’11 ottobre 2005, data dell’istanza presentata in quella sede.
Col secondo motivo -‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (riferito alla omessa valutazione dell’impatto del anno morale nella corretta fissazione della decorrenza delle provvidenze) -art. 360 n. 5 c.p.c. ‘ -il ricorrente lamenta che la Corte romana non abbia tenuto conto del fatto che il riconoscimento del danno morale era stato fatto nella sentenza del Tribunale di Roma n° 19641/1013 e che tale pregiudizio era coevo all’attentato e non certo sopraggiunto, come ritenuto dalla Corte.
Pertanto, aggiungendo il danno morale (10%) a quello biologico (15%), ancora una volta risulterebbe raggiunta già in sede amministrativa la percentuale (25%) di invalidità occorrente per i due assegni vitalizi: donde la decorrenza di questi dalla data di presentazione della domanda in quella sede.
6 .- I due motivi sopra riassunti -esaminabili congiuntamente in ragione delle medesime questioni poste -sono infondati.
Da quanto esposto negli atti di lite (ricorso e controricorso) l’accertamento della invalidità biologica del ricorrente nella misura del 36% e del danno morale nella misura del 10% è stato fatto dal Tribunale di Roma con la sentenza n° 19641/13 sulla scorta della c.t.u.
Ora, se è vero che il danno morale certamente non può sopraggiungere, ma doveva essere coevo al fatto illecito dal quale è derivato (attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982), è anche vero che l’assegno vitalizio ex art. 2, primo comma, della legge n° 407/1998 e lo speciale assegno vitalizio ex art. 5, terzo comma, della legge n° 206/2004 sono riconosciuti solo nel caso in cui derivi alla vittima una ‘ invalidità permanente non inferiore ad un quarto della capacità lavorativa ‘.
Dal chiaro testo normativo si può agevolmente desumere che non rileva l’entità del danno non patrimoniale ( olim distinto in danno
biologico e danno morale), ma solo quel danno che sia idoneo a ridurre di almeno un quarto la capacità predetta.
Pertanto, è evidente che al momento della presentazione dell’istanza in sede amministrativa il COGNOME COGNOME non poteva reclamare una lesione almeno pari ad un quarto di tale capacità, dato che il decreto del Ministero interno del 24 gennaio 2007 si era basato sul verbale della Commissione medica e che quest’ultima aveva accertato una ‘ invalidità permanente sotto il profilo del danno biologico pari al 15% (…) come riduzione della capacità lavorativa ‘.
Il superamento di tale limite è stato, invece, accertato nel corso del giudizio civile conclusosi con la più volte menzionata sentenza n° 19641/13, sulla scorta della c.t.u., anch’essa più volte rammentata.
Appare dunque corretta la statuizione della Corte territoriale qui impugnata secondo la quale il COGNOME COGNOME avrebbe ottenuto tale riconoscimento -ossia della lesione della capacità lavorativa nella misura del 36% – con la sentenza del Tribunale di Roma sopra citata, con la conseguenza che gli effetti delle provvidenze dovevano retroagire alla domanda giudiziale e non a quella amministrativa (su quale sia questa domanda giudiziale si rimanda ai successivi paragrafi).
D’altra parte, il ricorrente -pur dolendosi dell’erroneità dell’accertamento in sede amministrativa (in cui si stabilì una lesione del solo 15%) -lo fa senza segnalare alcun travisamento istruttorio delle risultanze di quel procedimento: sicché in conclusione deve ritenersi che il maggior grado di invalidità accertato davanti al Giudice ordinario dal c.t.u. non sia derivato dall’emenda di errori di valutazione della Commissione medica, ma da un aggravamento delle condizioni fisiche della vittima accertato nel corso del giudizio di merito, del quale, infatti, si dà anche atto nella sentenza del Tribunale di Roma n° 19641/13 trascritta nel ricorso a pagina 6 alla nota 5.
In conclusione, i motivi sono infondati, in quanto (a) il danno morale non era utile ex se ad aumentare il grado di incapacità lavorativa e (b) l’accertamento dell’incapacità pari al 36% non è frutto di errori o sviste della Commissione medica, ma di un peggioramento dello stato fisico del richiedente.
Quanto sopra esposto consente di ritenere superata la questione dell’inammissibilità del secondo motivo in base al principio della ragione più liquida: il secondo mezzo, infatti, non descrive alcun fatto storico risultante dalla sentenza il cui esame sarebbe stato omesso dal Giudice di merito, ma consiste in una critica alla decisione nel punto in cui ha implicitamente escluso che il danno morale fosse rilevante ai fini del raggiungimento del grado di invalidità prevista dalle due leggi sopra citate.
Ne deriva, pertanto, che il principio enunciato dalla Corte -ossia che le provvidenze debbano decorrere dalla domanda -appare corretto.
7 .- Sorte diversa deve avere il terzo motivo, col quale si assume che la ‘ domanda ‘ dalla quale far decorrere gli assegni andrebbe identificata col ricorso al Tar Roma.
Infatti, col terzo motivo (‘ violazione art. 112 c.p.c. e art. 50 c.p.c. per violazione del principio della translatio iudicii in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ‘), proposto in subordine al rigetto dei primi due, il ricorrente assume che, anche volendo mantenere come dies a quo delle provvidenze la data della domanda giudiziale, quest’ultima andrebbe identificata non nella citazione davanti al Tribunale di Roma (1° aprile 2010), ma nel precedente ricorso davanti al Tar della stessa città, datato 26 giugno 2007.
8 .- Questo mezzo è fondato.
Infatti -dopo che la Corte costituzionale (sent. n° 77/2007) ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n° 1034 nella parte in cui non prevedeva che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta al giudice privo di
giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di essa -il legislatore del 2009 (art. 59 della legge n° 69/2009) è intervenuto prevedendo, nella ricorrenza di tale ipotesi, la conservazione degli ‘ effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto ‘ se il giudice ad quem ‘ fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio ‘.
Ed analoga disposizione è dettata nell’art. 11 del cod. proc. amm. approvato con d.lgs. n° 104/2010 (‘ Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato ‘).
Nessuna contestazione è stata avanzata dal controricorrente in ordine alla tempestività della traslazione del giudizio dall’Autorità giudiziaria amministrativa a quella ordinaria (che deve, dunque, intendersi intervenuta entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del Tar Roma), con la conseguenza che nel nuovo processo (non solo resta ferma la l’indicazione del giudice ad quem , ma) vi è altresì salvezza degli effetti che la domanda avrebbe prodotto se il giudice munito di giurisdizione fosse stato adito sin dall’inizio ( ex multis : Cass. SU, 26 ottobre 2018, n° 27163).
Ne deriva che su questo punto la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello romana per nuovo esame della questione.
Alla Corte predetta viene inoltre delegata la liquidazione delle spese del presente giudizio, tenendo conto dell’art. 10 della legge n° 206/2004.
p.q.m.
la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in di-