SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1152 2025 – N. R.G. 00001187 2024 DEPOSITO MINUTA 01 12 2025 PUBBLICAZIONE 01 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano LA CORTE DI APPELLO DI BARI
SEZIONE LAVORO
composta dai magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente relatore
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia RAGIONE_SOCIALE iscritta sul ruolo generale al n. NUMERO_DOCUMENTO
TRA
rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
APPELLANTE
E
rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
APPELLATO e appellante incidentale
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con sentenza n. 3056/2024 del 13.11.2024, il Tribunale del lavoro di Foggia: a) accoglieva parzialmente l’opposizione proposta dall’ avverso il decreto ingiuntivo n. 113/2023 emesso in favore di -avente ad oggetto il pagamento, nei confronti di quest’ultimo, della somma di € 515,58 a titolo di rateo di assegno ordinario di invalidità, comprensivo dell’integrazione al minimo, per il mese di maggio 2021 e, per
l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto; b) condannava l’ al pagamento , in favore dell’opposto , della quota parte del rateo dell’assegno ordinario di invalidità per il periodo decorrente dal 20 al 31 maggio 2021, comprensivo delle somme per l’integrazione al minimo; c) compensava le spese di lite tra le parti.
Avverso tale sentenza, ha proposto appello il , con ricorso depositato in data 27.12.2024.
L’ resisteva al gravame con apposita memoria depositata in data 03.11.2025, con la quale spiegava altresì appello incidentale.
Si acquisivano i documenti prodotti dalle parti ed il fascicolo del giudizio di primo grado. In data odierna, all’esito della discussione orale, si svolgeva la camera di consiglio fra i Magistrati del Collegio composto in base alla tabella della Corte, dopodiché si procedeva come da infrascritto dispositivo.
Giova riepilogare brevemente i fatti di causa.
3.1. Con sentenza n. 3808/2022 dell’11.11.2022 il Tribunale di Foggia dichiarava il diritto di al riconoscimento dei requisiti sanitari concernenti l’assegno ordinario di invalidità con decorrenza dal 20.05.2021.
Con provvedimento del 05.01.2023 , l’ liquidava al COGNOME l’assegno cat. IOART, comprensivo dell’integrazione al minimo, con decorrenza dall’01.06.2021.
Avverso il citato provvedimento, il formulava ricorso amministrativo, chiedendo l’erogazione della prestazione RAGIONE_SOCIALE con decorrenza dal mese di maggio 2021, conclusosi con esito a lui sfavorevole.
Pertanto, con ricorso ex art. 633 c.p.c. chiedeva al Tribunale di Foggia di ingiungere all’ il pagamento del la complessiva somma di € 515,58 a titolo di rateo di assegno ordinario di invalidità relativo alla mensilità di maggio 2021.
Con decreto n. 113/2023 emesso il 13.03.2023 il Tribunale di Foggia ingiungeva all’ di pagare, nel termine di 40 giorni in favore di , la somma di € 515,58 a titolo di assegno ordinario di invalidità per la suddetta mensilità, oltre interessi e spese della procedura monitoria.
3.2. Con ricorso depositato il 28.04.2023, l’ proponeva opposizione avverso tale decreto ingiuntivo, eccependo in via preliminare la nullità della notifica del ricorso e del decreto nonché l’illiquidità della somma ingiunta e la carenza di prova scritta;
nel merito, contestava la decorrenza dell’assegno di invalidità, la sussistenza dei requisiti reddituali per la spettanza della prestazione nonché il quantum della somma ingiunta.
3.3. Si costituiva il , sostenendo l’infondatezza dell’opposizione proposta.
3.4. Il Tribunale decideva come innanzi rilevato, sulla scorta dei seguenti punti motivazionali:
-l’indirizzo interpretativo dettato dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 12270/2004, successivamente confermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (in particolare, Cass. n. 11259/2010), aveva sancito che, ove il requisito sanitario non sussista al momento della domanda amministrativa, i benefici decorrono dalla data di insorgenza dello stato invalidante;
-contrariamente alla tesi dell’ , tale principio era stato affermato dalla Suprema Corte anche con riferimento alle prestazioni previdenziali, esattamente come quella in esame; difatti, la già citata sentenza Cass. n. 11259/2010 aveva ad oggetto il riconoscimento del diritto ad una prestazione di natura RAGIONE_SOCIALE, e, specificatamente, proprio all’assegno ordinario di invalidità di cui alla L. n. 222/1984;
per cui, in assenza di argomentazioni idonee a giustificare la circoscrizione dei richiamati principi giurisprudenziali al solo ambito delle prestazioni assistenziali, non poteva riconoscersi alcun seguito all’isolato precedente evocato dall’ ;
-era invece fondata l’ulteriore doglianza sollevata dall’ in ordine all’importo riconosciuto all’opposto , al quale -accertata la decorrenza del rateo dell’assegno ordinario di invalidità dal 20 maggio 2021 -spettava non già l’intero importo mensile della prestazione, bensì la sola quota parte riferita al periodo dal 20 al 31 maggio 2021;
-pertanto, il decreto ingiuntivo doveva essere revocato e, conseguentemente, l’ doveva essere condannato a corrispondere all’opposto la quota parte del rateo spettante per il citato periodo, comprensiva dell’integrazione al minimo;
-nonostante le censure dell’ , l’integrazione al trattamento minimo era senz’altro dovuta al , atteso che quest’ultimo aveva espressamente richiesto nel ricorso ex art. 633 c.p.c. -la condanna dell’ al pagamento dell’intero importo mensile della prestazione (pari a d € 515,58), comprensivo dell’integrazione al minimo;
-la parziale reciproca soccombenza, unitamente alla sussistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, giustificava la compensazione integrale delle spese.
L’appello proposto dal è articolato in due motivi di doglianza.
4.1. Con il primo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha condannato l’ al pagamento del rateo pensionistico esclusivamente dal 20.05.2021 e non già per l’intero mese di maggio.
Sostiene difatti che l’art . 1 della L. n. 222/1984, richiamando espressamente il diritto ad un ‘ assegno ‘, ne sancisce inequivocabilmente l’unicità, escludendo la possibilità di una frazionata ripartizione, anche in considerazione della ratio sottesa alla prestazione, ‘ volta a tutelare soggetti la cui capacità lavorativa non può ritenersi ridotta con matematica certezza nella misura superiore di due terzi in un momento determinato del mese di competenza ‘ (pag. 3 dell’atto di gravame) .
4.2. Il secondo motivo di doglianza attiene al capo della decisione relativo al governo delle spese, censurato poiché -a dire dell’appellante non sussistono contrasti giurisprudenziali idonei a giustificare la disposta compensazione.
L’ propone appello incidentale affidato a tre motivi.
5.1. Con il primo motivo, l’ si duole dell’ erroneità della pronuncia laddove ha ritenuto che al spettasse la quota parte del rateo dell’assegno per il periodo dal 20 al 31 maggio 2021, in violazione dell’art. 12, comma 2, della L. n. 222/1984 nonché dell’art. 18 del d.P.R. n. 488/1968.
Invero, ribadisce che, nel caso di riconoscimento del requisito sanitario in data successiva a quella della domanda amministrativa -a seguito di CTU e sentenza -l’assegno ordinario di invalidità decorre dal primo giorno del mese successivo all’insorgenza della condizione sanitaria.
Sostiene al riguardo che le pronunce di legittimità poste a fondamento della decisione impugnata si riferiscono alla diversa materia dell’invalidità civile avente natura assistenziale e che, in ogni caso, le stesse sono state superate da successiva giurisprudenza (in particolare, Cass. n. 13975/2015), secondo cui ‘ Il trattamento d’invalidità, nel caso in cui la soglia invalidante risulti superata nel corso del giudizio, nell’ambito dell’accertamento consentito ai sensi dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., decorre, secondo la regola stabilita dall’art. 18 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, dal primo giorno del mese successivo a quello dell ‘insorgenza dell’invalidità ‘.
5.2. Con il secondo motivo di gravame, l’appellante incidentale censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha condannato l’ al pagamento delle somme per l’integrazione al minimo.
Osserva che il aveva richiesto il pagamento di € 515,58 ‘ a titolo di rateo di assegno ordinario di invalidità (maggio 2021) ‘, sennonché detto importo era composto da € 334,42 a titolo di assegno e dalla residua parte a titolo di integrazione al minimo; pertanto, a suo dire, tenuto conto della diversità dei titoli e della domanda monitoria relativa al riconoscimento del solo titolo di rateo dell’assegno per maggio 2021, non p oteva essere riconosciuto il pagamento della somma per l’eventuale integrazione al minimo.
Deduce, in ogni caso, che la sussistenza dei requisiti reddituali per il godimento della prestazione non è stata allegata né provata dal .
5.3. Con l’ultimo motivo, l’ denuncia la pronuncia di compensazione delle spese disposta dal primo Giudice, attesa la totale soccombenza del .
Gli appelli sono entrambi infondati e vanno pertanto rigettati per i motivi di seguito esposti.
6.1. È opportuno ricordare che, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, che si svolge in contraddittorio, pur se differito, e che riguarda la domanda ‘monitoria’ e all’interno del quale le parti, pur se formalmente invertite, conservano la loro posizione sostanziale ( ex multis Cass. n. 3649/12).
In detto giudizio ordinario il giudice non deve stabilire se il decreto ingiuntivo fu legittimamente emesso ma deve accertare il fondamento della pretesa azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo e, laddove la domanda risulti fondata, deve accoglierla, indipendentemente dalla regolarità, sufficienza e validità degli elementi sulla cui base fu emesso il decreto, i quali possono, semmai, influire solo sul regolamento delle spese processuali. La conferma o meno del decreto ingiuntivo è quindi collegata, nel giudizio di opposizione, non tanto a un giudizio di legalità e controllo riferito esclusivamente al momento della sua emanazione, quanto piuttosto a un giudizio di piena cognizione in ordine all’esistenza e alla validità del credito posto a base della domanda di ingiunzione (così Cass. n. 10503/2013).
Con specifico riguardo al rito del lavoro, poi, si è rilevato che l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall’opponente, che ha la veste sostanziale di convenuto, deve avere il contenuto della memoria difensiva ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e, quindi, l’opponente deve compiere tutte le attività previste a pena di decadenza, quali le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d’ufficio, e le domande riconvenzionali, oltre ad indicare i mezzi di
prova e produrre i documenti, non diversamente da quanto è previsto per ogni convenuto nel rito del lavoro; parimenti, l’atto di costituzione dell’opposto è riconducibile, piuttosto che allo schema della memoria difensiva, a quella di un atto integrativo della domanda azionata con la richiesta di decreto ingiuntivo, sicché l’opposto ha l’onere di proporre con essa tutte le deduzioni e le eccezioni intese a paralizzare i fatti estintivi e modificativi dedotti dall’opponente o le pretese avanzate dall’opponente in via riconvenzionale e ad indicare i mezzi di prova a loro sostegno. Di conseguenza, gravando sull’opponente l’onere di articolare la propria difesa secondo quanto previsto dall’art. 416, terzo comma, c.p.c., così prendendo specifica posizione in ordine ai fatti allegati dall’attore, la mancanza di una tempestiva e specifica contestazione consente al giudice di ritenere tali fatti come ammessi, mentre l’allegabilità di fatti nuovi oltre tale termine significherebbe compromettere il sistema delle preclusioni sul quale il rito del lavoro si fonda e la funzione di affidare agli atti introduttivi del giudizio la cristallizzazione dei temi controversi e delle relative istanze istruttorie. (Cass. n. 13467/2003; in senso conforme Cass. nn. 20118/2004, 1458/2005 e 17494/2009; altresì più recenti Cass. n. 19186/2016 e n. 10927/2016).
6.2. Tanto premesso, occorre partire dalla disamina delle doglianze di entrambe le parti che investono il capo della decisione con cui il Tribunale ha determinato la decorrenza della prestazione in oggetto dal 20.05.2021 e condannato l’ al pagamento della quota parte del rateo dell’assegno per il periodo dal 20 al 31 maggio 2021.
Ebbene, osserva il Collegio che la decisione gravata non merita le censure mosse, avendo il primo Giudice fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali atti a governare la materia.
Con la sentenza n. 12270/2004 le Sezioni Unite -nel dirimere il contrasto interpretativo insorto circa la decorrenza delle prestazioni assistenziali nel caso in cui il requisito sanitario non sia perfezionato al momento della domanda amministrativa bensì solo nel corso del procedimento giudiziario -hanno ritenuto che: ‘ In materia di prestazioni assistenziali, i benefici spettanti agli invalidi civili, decorrenti – ove tutti i requisiti per la loro attribuzione siano già presenti all’atto della domanda amministrativa – dal primo giorno del mese successivo alla domanda stessa, decorrono invece, ove il requisito sanitario si concretizzi nel corso del procedimento giurisdizionale, dalla data di insorgenza dello stato invalidante e non anche dal primo giorno del mese successivo a tale accertamento, atteso che, secondo il principio della perpetuatio actionis, rinvenibile nell ‘ art. 24 Cost., la durata del processo
non può pregiudicare i diritti della parte che ha ragione, principio che con riguardo al procedimento amministrativo non ha valore generale né gode di analoga garanzia costituzionale ‘.
La giurisprudenza successiva della Suprema Corte ha esteso l’applicabilità di tale principio anche all’ambito delle prestazioni previdenziali.
Invero, nella sentenza Cass. n. 11259/2010 -già richiamata dal primo Giudice -si legge quanto segue: ‘ Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 12270/2004, hanno affermato che l’art 18 del DPR. n. 488 del 1968 si riferisce al procedimento amministrativo, nel quale non è operante il principio della ‘ perpetuatio actionis ‘ , non già al procedimento giudiziario, in cui opera il suddetto principio, per cui la durata del processo non deve danneggiare chi ha ragione. Di conseguenza ove il requisito sanitario non sussista al momento della domanda amministrativa, ma sopravvenga nel corso del giudizio, i benefici decorrono dalla data di insorgenza dello stato invalidante.
La successiva giurisprudenza della Corte (vedi Cass. n. 14516/2007, n. 24883/2006, modificando il precedente orientamento, richiamato dall’ RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto applicabile, oltre che in materia di benedici assistenziali, anche ai procedimenti giudiziari per il conseguimento di prestazioni previdenziali ‘.
Collocandosi in questo solco interpretativo, la successiva Cass. n. 22541 del 02.10.2013 (relativa ad una domanda di riconoscimento della pensione di inabilità) ha valorizzato proprio la pronuncia della Corte di Cassazione n. 11259 del 2010, affermando: ‘ …va ribadito quanto già ritenuto da questa Corte (Cass., sez. lav., 10 maggio 2010, n. 11259, rv. 613626) che ha affermato che in materia di prestazioni per l’invalidità, va esteso anche alla materia RAGIONE_SOCIALE il principio, già affermato in materia assistenziale, secondo cui, in caso di sopravvenienza dell’invalidità pensionabile nel corso del procedimento giurisdizionale, le prestazioni previdenziali decorrono dalla data di insorgenza dello stato invalidante e non dal primo giorno del mese successivo a detto accertamento.
Questa pronuncia è in linea di continuità con le Sezioni Unite di questa Corte, che, con sentenza n. 12270 del 5 luglio 2004, rv. 574120, hanno affermato che il D.P.R. n. 488 del 1968, art. 18, che prevede che il diritto alla prestazione inizia a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della accertata insorgenza dello stato invalidante, si riferisce al procedimento amministrativo, nel quale non è operante il principio della “perpetuatici
actionis”, non già al procedimento giudiziario, in cui opera il suddetto principio, per cui la durata del processo non deve danneggiare chi ha ragione.
Di conseguenza ove il requisito sanitario non sussista al momento della domanda amministrativa, ma sopravvenga nel corso del giudizio, i benefici decorrono dalla data di insorgenza dello stato invalidante ‘ .
Non si discosta da tale indirizzo interpretativo neppure la più recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17728 del 07.09.2016, la quale -sebbene pronunciata in materia di benefici assistenziali -afferma la decorrenza del diritto alla prestazione dalla data di insorgenza dello stato invalidante, facendo leva sulle argomentazioni affermate dalla Suprema Corte nella sentenza n. 11259 del 2010: ‘ Secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, dalla quale non vi sono ragioni di discostarsi, infatti, in materia di benefici assistenziali, del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 18, che stabilisce la decorrenza della prestazione dal primo giorno del mese successivo all’accertamento dell’invalidità, si riferisce al solo procedimento amministrativo e non anche al procedimento giudiziario; ne consegue che, ove – in presenza degli altri requisiti di legge – il requisito sanitario sopravvenga nel corso del procedimento giurisdizionale, le prestazioni assistenziali decorrono dalla data di insorgenza dello stato invalidante e non dal primo giorno del mese successivo a detto accertamento (cfr. s.u. n. 12270 del 2004 e successivamente tra le tante Cass. n. 1778 del 2014, n. 11259 del 2010, 19157 del 2007) ‘.
È alla luce dei principi sin qui detti che non può condividersi la prospettazione difensiva dell’ nella parte in cui assume la decorrenza della prestazione dal primo giorno del mese successivo alla data in cui è stato accertato lo stato invalidante che ha giustificato il riconoscimento della prestazione (giugno 2021) e non, come dovuto, dalla data di insorgenza del requisito sanitario (20.05.2021).
Né tantomeno può attribuirsi alcun valore dirimente all’unico precedente (Cass. n. 13975/2015) invocato dall’I stituto a sostegno della propria tesi sin dal primo grado di giudizio, trattandosi di un caso isolato, peraltro superato dalla pronuncia Cass. n. 17728/2016 da ultimo citata.
Del resto, lo stesso Tribunale già aveva evidenziato che trattavasi di una pronuncia isolata (cfr. pag. 5 della sentenza gravata) e rispetto a tale affermazione l non ha svolto alcuna contestazione né ha fornito ulteriori elementi idonei a confutarla nel suo atto di gravame.
Parimenti infondate si rilevano anche le deduzioni svolte dal in ordine alla liquidazione della prestazione, in quanto dirette, nella sostanza, ad ottenere un ingiustificato slittamento a ritroso della decorrenza del beneficio, in contrasto con la consolidata linea ermeneutica della giurisprudenza di legittimità (sopra meglio richiamata).
Pertanto, merita senz’altro conferma la sentenza in questa sede impugnata nella parte in cui, accertata la sussistenza del requisito sanitario necessario per il riconoscimento della prestazione a decorrere dal 20 maggio 2021, ha correttamente affermato che il rateo dell’ assegno ordinario di invalidità per la mensilità di maggio 2021 doveva essere liquidato unicamente per il periodo dal 20 al 31 maggio, con conseguente condanna dell’ a corrispondere unicamente la quota relativa a tale arco temporale.
6.3. Analogamente meritano rigetto le censure sollevate dall’ nel secondo motivo dell’appello incidentale ( v. pag. 7) concernenti il quantum della pretesa nella parte in cui comprende anche la liquidazione delle somme per l’integrazione al minimo , rispetto a cui l’ si è limitato a ribadire quanto già sostenuto nel ricorso in opposizione.
Ed invero, il Tribunale ha correttamente rilevato (cfr. pag. 6 dell ‘ impugnata sentenza) che, nel ricorso ex art. 633 c.p.c., il aveva richiesto la condanna dell’ al pagamento della complessiva somma di € 515,58 a titolo di rateo di assegno ordinario di invalidità (maggio 2021) , deducendo che l’importo del rateo mensile era stato così determinato dall’Istituto con il NUMERO_DOCUMENTO del 05.01.2023 (pag. 2 del ricorso monitorio). In particolare, in tale provvedimento l’ aveva dettagliatamente precisato che l’importo riconosciuto ricomprendeva anche la quota relativa all’integrazione al trattamento minimo :
‘ L’importo mensile dell’assegno alla decorrenza è di euro 515,58. Tale importo è comprensivo dell’integrazione al minimo spettante in base ai redditi posseduti. L’importo della pensione senza integrazione è di euro 334,42 ‘ (pag. 1 del Mod. NUMERO_DOCUMENTO).
Peraltro, è lo stesso a dare atto della sussistenza dei requisiti reddituali per l’integrazione al trattamento al minimo nel provvedimento del 05.01.2023 (NUMERO_DOCUMENTO), sconfessando in tal modo le ulteriori doglianze articolate nel motivo di gravame.
6.4. Infine, non possono condividersi entrambi gli appelli laddove si dolgono della disposta compensazione delle spese da parte del primo Giudice.
Va innanzitutto ricordato che, ai sensi dell’art. 92 , secondo comma, c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 132/2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso
della soccombenza reciproca), solamente nei casi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’articolo medesimo (cfr. Cass. n. 3977 del 2020, alla cui motivazione si rimanda) .
Nella specie, la questione dirimente affrontata dal Tribunale riguarda l’applicabilità del principio sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12270/2004 anche alla materia delle prestazioni previdenziali.
Come esposto in precedenza, si tratta di una questione risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso dell’applicabilità all’ambito anche delle prestazioni previdenziali del principio secondo cui, ove -in presenza degli altri requisiti di legge -il requisito sanitario sopravvenga nel corso del procedimento giurisdizionale, la prestazione decorre dalla data di insorgenza dello stato invalidante e non dal primo giorno del mese successivo a detto accertamento.
Tuttavia, la sentenza della Cass. n. 13975/2015 evocata dall’ RAGIONE_SOCIALE sin dal primo grado -sebbene risulti essere un caso isolato -aveva aderito effettivamente ad un orientamento di senso opposto.
Può dunque affermarsi che la questione sottesa alla decisione del Tribunale presentava margini di incertezza, rimarcati dall’ con il richiamo alla sentenza del la Suprema Corte del 2015, sì da consentire la compensazione delle spese di lite.
Ed infatti, anche l’oggettiva opinabilità delle questioni affrontate o l’oscillante soluzione ad esse data in giurisprudenza integra la nozione, se ed in quanto sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata introdotta o è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese, sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la soccombenza, ossia di questioni decise (così Cass. n. 2883 del 2014, cui si richiama Cass. n. 27588 del 2023).
Ne consegue che le spese relative al primo grado di giudizio ben potevano essere per intero compensate, sicchè anche in punto spese va confermata l ‘ impugnata sentenza.
Alla luce delle esposte considerazioni, in definitiva, gli appelli proposti in via principale vanno rigettati e, per l’effetto, la
da ed in via incidentale dall’ sentenza impugnata va integralmente confermata.
Le spese processuali del presente grado di giudizio vanno integralmente compensate in considerazione della reciproca soccombenza delle parti.
Va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante principale e da parte di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis , se dovuto, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sugli appelli proposti in via principale da con ricorso depositato il 27.12.2024 e in via incidentale dall’ con memoria depositata il 03.11.2025 avverso la sentenza n. 3056/2024 resa dal Tribunale di Foggia in data 13.11.2024 così provvede:
rigetta entrambi gli appelli;
conferma la sentenza impugnata;
compensa le spese del presente grado di giudizio;
-dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante principale e da parte di quello incidentale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso di gravame, se dovuto.
Così deciso in Bari, il 13/11/2025
Il Presidente relatore
AVV_NOTAIO NOME COGNOME