Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5722 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5722 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
Ordinanza
sul ricorso n. 31544/2018 proposto da:
NOME , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata in Roma, al INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME NOME NOME NOME , rappresentanti e difesi da ll’ avvocato NOME COGNOME, domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso il sig. NOME COGNOME;
-controricorrenti-
e
Condominio della INDIRIZZO Palermo ;
-intimato- avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 648/2018, depositata il 27/03/2018;
ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le memorie depositate dai difensori di entrambe le parti costituite.
Fatti di causa
Con delibera adottata con la prevista maggioranza di legge in data 29 marzo 2011 l’assemblea del Condominio di INDIRIZZO Palermo autorizzava i due condomini NOME COGNOME e NOME COGNOME a trasformare in portafinestra una delle finestre della quale era dotato ciascuno dei due immobili in loro proprietà, rispettivamente a sinistra e a destra d el pianterreno dell’edificio.
La condomina dissenziente NOME COGNOME impugnava detta delibera dinanzi al Tribunale di Palermo, deducendone la illegittimità sul presupposto che le attività autorizzate avrebbero comportato la lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale .
Il citato Tribunale, con sentenza n. 4640/2013, annullava la predetta delibera e dichiarava inammissibile una domanda riconvenzionale di rimozione di abusi edilizi commessi dall’attrice.
La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 648/2018 (depositata il 27/03/2018), in parziale accoglimento dell’appello proposto dal suddetto Condominio e dagli indicati condomini NOME ed NOME, riformava la pronuncia del primo giudice, rilevando la legittimità della delibera condominiale impugnata, rigettava la domanda riconvenzionale proposta da i citati condomini, nonché l’appello incidentale formulato da lla COGNOME NOME.
Ha proposto ricorso per cassazione quest’ultima condomina con cinque motivi, illustrati da memoria.
Hanno resistito con un congiunto controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME , anch’esso illustrato da memoria.
Il Condominio appellante non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Ragioni della decisione
1.1. -In via preliminare è da disattendere l’eccezione di inammissibilità del controricorso, che è stato notificato tempestivamente, contrariamente
a quanto sostiene la ricorrente (il difetto dell’indicazione della data nel corpo dell’atto è irrilevante) .
1.2. – Il primo motivo (p. 11 ss.) denuncia la violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4, 116 co. 1 e 61 co. 1 c.p.c. poiché la Corte di appello aveva, con la sentenza impugnata, erroneamente rilevato un vizio di motivazione nella decisione di primo grado circa la mancata esplicitazione, in quest’ultima, delle ragioni di dissenso rispetto alle risultanze della c.t.u.
Il secondo motivo (p. 16 ss.) deduce la violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4 c.p.c., 118, co. 1, disp. att. c.p.c., 116, co. 1, e 115, co. 1., c.p.c. poiché la Corte di appello aveva aderito immotivatamente alla c.t.u. di primo grado e aveva mancato di rilevare l’efficacia della sentenza del Tar Sicilia n. 217/2018 sui medesimi lavori oggetto di causa.
In particolare, si denuncia la violazione dell’art. 132 , co. 2, n. 4 c.p.c., si ripropongono le osservazioni del c.t.p. che la Corte di appello non aveva considerato, si sostiene che la sentenza del Tar Sicilia, in quanto atto di natura pubblica, non era suscettibile di valutazione discrezionale da parte della Corte di appello.
Il terzo motivo (p. 33) denuncia la violazione degli artt. 1120, co. 1 e 2, e 1136, co. 5, e, in subordine, degli artt. 1102, co. 1, e 1122 c.c. per avere la Corte di appello ritenuto (rigettando l’appello incidentale subordinato) che la trasformazione -oggetto di contestazione ed autorizzata con la delibera assembleare impugnata – non ledeva il diritto della stessa ricorrente, quale condomina, al pari uso della cosa comune e che l’approvazione di tali lavori non richiedeva, ex art. 1120, co. 2, c.c., il consenso unanime dei condomini, con conseguente mancata applicazione della disciplina sulle innovazioni, oltre che di quella sul decoro architettonico.
1.3. – I primi tre motivi sono da esaminare contestualmente per connessione.
Essi non sono fondati.
1.4. – Quanto alla parte di sentenza censurata dal primo motivo, la Corte di appello ha correttamente motivato, ritenendo le conclusioni del c.t.u. univoche e adeguate. Pertanto, le ha condivise, osservando di converso che il Tribunale aveva omesso di spiegare perché l’immobile rivestisse un carattere storico, mentre il c.t.u. aveva rilevato che mancava un provvedimento amministrativo in tal senso.
Da ciò consegue che il giudice di appello ha legittimamente esercitato il proprio apprezzamento, sovrapponendolo a quello della sentenza di primo grado, il quale si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale nel valutare l’impatto di un’opera modificativa sul decoro architettonico bisogna adottare un criterio di reciproco temperamento tra l’unitarietà originaria di linee e di stile, le menomazioni intervenute successivamente e l’alterazione prodotta dall’opera modificativa sottoposta a giudizio, senza che possa conferirsi rilevanza da sola decisiva, al fine di escludere un’attuale lesione del decoro architettonico, al degrado estetico prodotto da precedenti alterazioni ovvero alla visibilità delle alterazioni (cfr., tra le altre, Cass. n. 4679/2009 e Cass. 16518/2023).
Infatti, nel caso di specie, la Corte palermitana ha considerato tutta la pluralità degli elementi acquisiti per operare una completa valutazione di incidenza dell’impatto degli interventi di trasformazione autorizzati in favore dei condomini NOME.
1.5. -Ne segue anche l’infondatezza del secondo motivo,
In particolare, l a censura di violazione dell’art. 132 , co. 2, n. 4 c.p.c. non coglie nel segno, poiché la motivazione della Corte territoriale (tenuta presente altresì la parte precedente a quella che la ricorrente assume specificamente ad oggetto del secondo motivo) ha indicato sufficientemente le ragioni a fondamento della decisione, mentre non si attaglia al giudizio di legittimità la dettagliata riproposizione delle considerazioni critiche svolte dal c.t.p.
Infatti, il giudice di merito che fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento in una motivazione effettiva, resoluta e coerente (che rispetti, quindi, i canoni dettati da Cass. SU 8053/2014). Di talché lo stesso – in osservanza al canone di proporzionalità di una motivazione necessaria, idonea allo scopo e adeguata – non è tenuto a prendere esplicitamente in esame ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni specifica deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante. E’ superfluo ricordare che l’esito positivo della verifica compiuta dalla Corte di cassazione non implica logicamente che essa faccia proprio tale apprezzamento: esso è e rimane del giudice di merito.
Da indebita sovrapposizione dell’ apprezzamento della parte a quello giudiziale sono, altresì, affette le censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ove si fa valere che il c.t.p. aveva richiamato atti notarili idonei a dimostrare la storia dell’immobile per cui è causa, a contestualizzarne l’edificazione in relazione al momento storico, sociale, urbanistico e culturale e ad evidenziarne la peculiarità. Così come non coglie nel segno la censura di omessa considerazione del valore legale della sentenza del Tar Sicilia. Non assume nemmeno rilievo la circostanza che la sentenza del giudice amministrativo è, nel frattempo, passata in giudicato: stante la diversità dell’oggetto del processo, essa non è idonea a produrre alcun effetto vincolante nella vicenda dedotta nella causa civile in questione.
In conclusione, la seconda censura va rigettata sulla base della stessa considerazione di fondo sottesa al rigetto del primo motivo (ragione enunciata al paragrafo 1.4. a cui si rinvia).
1.6. -Quanto al terzo motivo, argomenta la ricorrente che: «contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, l’innovazione vietata in quanto lesiva del decoro architettonico (ex art. 1120 co. 2 c.c.), per la cui approvazione non è sufficiente la pur robusta maggioranza ex art. 1136 co. 5 c.c., ma occorre l’unanimità dei consensi, si ravvisa anche in relazione ai
‘condom ì ni normali’, laddove ‘possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia’; talché l’eventuale ‘innovazione’ comprometterebbe il decoro architettonico». In via subordinata, si osserva inoltre che alle modificazioni consentite ex artt. 1102, co. 1, e 1122 c.c. si applica il divieto di alterare ii decoro architettonico del fabbricato, come statuito espressamente dall’art. 1120 c.c.
Anche tale motivo è infondato poiché presuppone che, al fine di dischiudere un’ulteriore fase di merito presso il giudice di rinvio, si possa chiedere in sede in Cassazione di sovrapporre il proprio apprezzamento della situazione di fatto rilevante a quello che la Corte di merito ha espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di legittimità.
Il giudice di appello ha, invero, rilevato che -pur potendo gli interventi autorizzati con la delibera impugnata essere potenzialmente lesivi del decoro architettonico, escludendo in ogni caso che potessero configurare un’innovazione limitativa del pari uso della parete dello stabile condominiale -era rimasto tuttavia accertato (con l’esplicazione come già evidenziato – di una valutazione di merito insindacabile nella presente sede di legittimità) che, valorizzandosi le risultanze della ctu, gli interventi stessi erano stati realizzato su un edificio connotantesi per uno stile modesto e che non ledevano in alcun modo il decoro dell’edificio (già inciso da precedenti interventi che ne avevano determinato uno scadimento), né incidevano sulla sua stabilità e sicurezza, tanto è vero che interventi simili erano stati regolarmente autorizzati dalla P.A.
1.6. -I primi tre motivi devono, pertanto, essere rigettati.
– Il quarto motivo (p. 37) denuncia la violazione dell’art. 132 , co. 2, n. 4 e 118, co. 1 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 36 c.p.c. per il carattere apparente della motivazione con la quale la Corte di appello ha considerato ammissibile la domanda riconvenzionale, per poi rigettarla nel merito.
Anche questo motivo è privo di fondamento.
La Corte di appello ha, infatti, esplicitato sufficientemente (facendo leva sulla connessione oggettiva e sulla competenza del giudice) il ragionamento a fondamento del simultaneus processus fra la domanda principale della ricorrente (avente a oggetto il sindacato di legittimità della delibera assembleare impugnata) e la domanda riconvenzionale (tendente ad accertare gli abusi edilizi posti in essere da ll’attrice ).
Il quinto motivo (p. 39) denuncia l’omesso esame d el fatto che i precedenti interventi realizzati sull’edificio condominiale non erano lesivi del decoro architettonico (come accertato con il rigetto della domanda riconvenzionale).
Questo motivo è inammissibile per difetto di decisività del fatto, poiché la Corte di appello sostiene che rilievo determinante ha avuto una sopraelevazione del fabbricato, anteriore alle stesse opere compiute dall’attrice ricorrente (p. 9: «la presenza della sopraelevazione, non pienamente in linea con l’estetica dell’edificio per quanto accertato dal c.t.u. vale a rendere meno invasivi gli ulteriori interventi presenti sullo stesso»).
-In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, in favore dei controricorrenti , che liquida in € 3.500, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma il 15/02/2024, nella camera di consiglio della Sezione