Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14388 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14388 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30644/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonché
CONDOMINIO INDIRIZZO, elettivamente
domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4220/2018, depositata il 24/09/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME citava in giudizio NOME COGNOME, deducendo che la convenuta, proprietaria di una porzione del piano sottotetto sovrastante la sua abitazione, approfittando della presenza di ponteggi per l’esecuzione di lavori di manutenzione condominiali, nel maggio 2011 aveva realizzato un terrazzino a filo di falda, creando una veduta in danno della sua proprietà e compromettendo il decoro dell’edificio e mutando la destinazione d’uso di beni condominiali (la falda del sottotetto e le intercapedini).
Interveniva volontariamente nel giudizio il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, in Milano, sostenendo le domande dell’attrice e formulando una propria domanda nei confronti della convenuta di accertamento dell’illegittimità dell’accorpamento di due terrazzi, con soppressione parziale della falda.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1863/2017, accoglieva le domande dell’attrice e del RAGIONE_SOCIALE e ordinava la rimessione in pristino della copertura del tetto dello stabile esistente al maggio 2011, secondo quanto precisato nella consulenza tecnica d’ufficio.
2. La sentenza veniva impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE.
Con la sentenza 24 settembre 2018, n. 4220, la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione.
Hanno resistito con distinti atti di controricorso NOME COGNOME e il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO e 19, in Milano.
La ricorrente e il controricorrente RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., 61, 62 e 116 c.p.c. e 7 del reg. cond., nonché violazione dell’obbligo di motivazione ai sensi degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione alla ritenuta lesione del decoro architettonico dell’edificio, conseguente alla realizzazione del terrazzino a filo della falda, lato INDIRIZZO.
Il motivo è infondato.
La ricorrente osserva come il consulente tecnico d’ufficio abbia ravvisato la lesione del decoro dell’edificio nella demolizione della porzione di falda, sul presupposto che si tratta di proprietà condominiale, visto che la sua funzione precipua è quella di coprire il fabbricato in maniera da proteggere il medesimo dagli agenti esterni, così che il consulente non avrebbe ritenuto che la realizzazione del terrazzino comportasse alcuna significativa variazione della tipologia architettonica, con la conseguenza che l’affermazione della Corte d’appello della assoluta incongruenza architettonica dell’inserimento del terrazzino non può basarsi sui rilievi del consulente d’ufficio, ma consisterebbe in realtà nella mera trascrizione di considerazioni ‘prese a prestito’ dalla parte attrice.
Con tale censura la ricorrente contesta, in effetti, il motivato accertamento in fatto (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) operato dal giudice di merito tale da indurlo a concludere per l’incongruenza architettonica dell’inserimento del terrazzino,
accertamento in fatto che spettava al giudice di merito compiere e che non è censurabile nella presente sede di legittimità.
Occorre poi rilevare come la Corte d’appello abbia posto alla base della sua decisione non solo la considerazione dell’incongruenza architettonica del terrazzino, ma pure la valutazione relativa all’esistenza nel regolamento condominiale di natura contrattuale di una clausola (v. infra ) che ‘vieta le innovazioni che alterino l’aspetto architettonico dell’edificio’, norma, osserva la Corte territoriale, per la quale ogni alterazione dell’aspetto architettonico dell’edificio è da ritenersi vietata, prescindendosi da una valutazione del pregiudizio arrecato in concreto dalla singola innovazione, da ritenersi comunque vietata.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120, 1136 e 1138, nonché 1362 e 1363 c.c. in relazione all’interpretazione del regolamento condominiale, difetto di motivazione ex artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’accorpamento dei due preesistenti terrazzini lato sud; l’interpretazione data dalla Corte d’appello dell’art. 7 del regolamento condominiale violerebbe i canoni di ermeneutica contrattuale, per avere la stessa confuso la nozione di aspetto architettonico con quello di decoro architettonico e non avendo, comunque, considerato che esulano dall’ambito del divieto regolamentare le modifiche anche radicali della struttura di una parte dell’edificio, le quali non comportano, come nel caso in esame, la menomazione dell’aspetto architettonico ovvero del decoro architettonico dell’edificio.
Anche questo motivo è privo di fondamento.
La ricorrente contesta, questa volta in relazione all’accorpamento dei due terrazzi e non alla creazione ex novo del terrazzo, l’interpretazione data dalla Corte d’appello del regolamento condominiale, proponendo una diversa interpretazione della clausola del regolamento che, come si è già detto, vieta le
innovazioni che alterino l’aspetto architettonico dell’edificio, disposizione che la ricorrente interpreta in senso restrittivo. L’interpretazione del contratto costituisce prerogativa che spetta al giudice di merito, che non può essere censurata la parte della Corte di cassazione quando, come nel caso in esame, si propone una lettura alternativa rispetto a quella plausibile offerta dal giudice (v. al riguardo, ex multis , Cass. n. 28319/2017).
3. Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 817, 1117, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché 115, 116, 191, 61 e 62 c.p.c., difetto di motivazione ex artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione alla ritenuta proprietà condominiale del sottotetto. Si adduce che sin dalla costituzione in giudizio la ricorrente aveva contestato che le due modeste porzioni sottostanti la falda spiovente fossero condominiali, eccependo che le due porzioni erano di sua esclusiva proprietà in quanto ubicate a livello del suo appartamento, allo stesso collegate e annesse, oltre che accessibili unicamente dalla sua abitazione, così che fin dall’epoca dell’acquisto dell’appartamento nel 1989 ne aveva goduto in via esclusiva come ripostiglio.
Pure questo motivo non è meritevole di accoglimento.
Con esso, previa rilevazione -ad opera di questa Corte -della insussistenza del vizio di carenza di motivazione, la ricorrente contesta la violazione di norme di diritto, ma in realtà contrasta l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, per il quale le intercapedini poste tra il tetto e la proprietà della convenuta svolgono la funzione di coibentazione e aerazione dell’edificio (ad avviso della ricorrente, infatti, il sottotetto non svolgerebbe ancora funzione di aerazione, essendo privo di finestre e/o di aperture lucifere e presentando un modestissimo volume), accertamento in fatto dal quale il giudice d’appello ha ricavato l’operatività della presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c. (secondo la giurisprudenza di questa Corte, non essendo il sottotetto compreso
nel novero delle parti comuni dell’edificio, la presunzione di comunione di cui al n. 1 dell’art. 1117 c.c. ‘è applicabile quando il vano risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato all’uso comune’, così ex multis Cass. 6143/2016).
4. Il quarto motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1158 c.c., 115, 116, 118, 112 c.p.c., difetto di motivazione ex artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4 c.p.c.: in appello la ricorrente aveva censurato l’omessa pronuncia da parte del Tribunale sull’eccezione di intervenuto acquisto della proprietà per usucapione del sottotetto, avendo la medesima allegato di aver esercitato un possesso esclusivo per oltre 24 anni.
Si precisa che, se è vero che non era stata formulata al riguardo domanda riconvenzionale, ciò non avrebbe giustificato l’omessa pronuncia sull’eccezione riconvenzionale di usucapione reiterata in sede di appello; invece, la Corte d’appello, avendo illegittimamente ritenuto assorbita l’eccezione di usucapione, ha poi omesso di pronunciarsi sulla mancata ammissione delle relative prove testimoniali e ha implicitamente respinto l’istanza di ispezione dei luoghi.
Anche questo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La Corte d’appello non è incorsa nel denunciato vizio di omessa pronuncia: ha, anzitutto, rilevato come la ricorrente non avesse formulato nel giudizio di primo grado una domanda di accertamento di acquisto di proprietà del sottotetto per usucapione, in relazione alla quale avrebbe d’altro canto dovuto chiamare in causa tutti gli altri condomini, trattandosi di una domanda riconvenzionale di riconoscimento della proprietà esclusiva del bene comune (cfr. al riguardo Cass. n. 14765/2012), ma al più un’eccezione riconvenzionale, come tale non in grado di paralizzare le domande della RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, in quanto gli interventi edilizi non hanno avuto ad oggetto le sole
intercapedini, ma hanno coinvolto parti pacificamente comuni, come la falda e la facciata dell’edificio.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo in base alle attività distintamente espletate dalle parti controricorrenti, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, in Milano, che liquida in euro 4.700,00 di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, e in favore di NOME COGNOME, che liquida in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda