Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1623 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1623 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17349/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studi o dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti –
e
Oggetto: Proprietà –
Distanze vedute
–
Luci
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ad. 28/11/2023 CC
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BARI n. 2200/2019 depositata il 23/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23 ottobre 2019, la Corte d’appello di Bari, nella regolare costituzione dell’appellata NOME COGNOME, ha accolto l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME e, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia -Articolazione territoriale di Lucera, n. 486/2014, depositata in data 11 giugno 2014, ha accertato che un manufatto realizzato dalla medesima NOME COGNOME NOME veniva a violare le distanze di legge nonché le distanze per luci e vedute, condannando l ‘appellata al ripristino delle distanze di legge ed al risarcimento dei danni e gravandola delle spese dei due gradi di giudizio.
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano convenuto NOME COGNOME premettendo di essere proprietari di un immobile in INDIRIZZO, inserito in un complesso di villette a schiera, e lamentando che la convenuta aveva realizzato nel proprio giardino una struttura stabile che veniva a violare le distanze tra costruzioni nonché le distanze per luci e vedute.
Avevano ulteriormente dedotto gli attori che il manufatto determinava anche un pericolo per l’igiene e la sicurezza, oltre a ledere il decoro architettonico.
Se era costituita NOME COGNOME NOME contestando la fondatezza della domanda e deducendo in particolare che la struttura in questione costituiva ampliamento di un box oggetto di un permesso
in sanatoria ai sensi della L. 122/1989, che prevedeva la possibilità di derogare agli strumenti edilizi ed ai regolamenti edilizi.
All’esito dell’espletamento di una CTU il Tribunale aveva respinto la domanda, escludendo la sussistenza di tutti i profili dedotti dagli attori.
Proposto appello da NOME COGNOME e NOME COGNOME, e costituitasi NOME COGNOME COGNOME, la Corte d’appello di Bari, dopo avere disposto un supplemento di CTU, ha accolto il gravame e ha pronunciato condanna.
La Corte d’appello, in primo luogo, ha disatteso l’eccezione di inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c. sollevata da NOME COGNOME, e, nel merito, ha richiamato gli esiti del supplemento di CTU precedentemente disposto, da cui emergeva: a) che l’opera era stata intrapresa senza titolo edilizio, successivamente ottenendo una concessione per la realizzazione di una mera tettoria aperta che era stata completamente disattesa; b) che in concreto erano stati realizzati un vano utile adibito a camera da letto, un vano bagno e un vano ripostiglio solo successivamente oggetto di sanatoria con classificazione come lavori di ampliamento e completamento di un box auto al piano terra; c) che risultava impossibile far accedere un autoveicolo all’interno de l manufatto in questione e che il manufatto medesimo aveva natura abitativa; d) che, infine, il manufatto non era stato realizzato completamente interrato, come previsto dall’art. 9, L. 122/1989.
La Corte d’appello, alla luce di tali premesse, ha escluso l’operatività della deroga, prevista dall’art. 9, L. 122/1989, alla disciplina in tema di distanze tra edifici, concludendo nel senso della sussistenza della violazione non solo delle distanze tra edifici ma anche delle previsioni in tema di luci e vedute.
Ritenuta la sussistenza anche del pregiudizio al decoro architettonico ex art. 1120 c.c., la Corte d’appello ha condannato l’appellata sia al ripristino delle distanze di legge sia al risarcimento dei danni, ritenuti sussistenti in re ipsa , e liquidati equitativamente in € 5.000,00.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorre ora NOME COGNOME.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle censure che la stessa ricorrente aveva mosso alla CTU espletata nel giudizio di appello.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe acriticamente recepito le conclusioni della CTU disposta in sede di gravame, senza valutare gli specifici rilievi critici che alle conclusioni del consulente erano stati mossi in sede di comparsa conclusionale.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Si deve, infatti, rammentare che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo
del vizio di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019).
Si deve, a questo punto, osservare che la decisione impugnata è venuta a basarsi sull’affermazione della sussistenza di una pluralità di violazioni, tra le quali quella costituita dalla lesione del decoro architettonico ad opera del manufatto dell’odierna ricorrente , che si inserisce in un complesso di ‘ villette a schiera (cd. condomini orizzontali)’.
Il motivo di ricorso omette radicalmente di confrontarsi con tale ratio decidendi la quale, invece, appare di per sé sufficiente a sorreggere il giudizio di illegittimità dell’opera , risultando quindi inammissibili le critiche mosse alle altre rationes pur contenute nella sentenza della Corte d’appello.
3.1 . Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ‘costituito dalle risultanze della C.T.U. espletata in primo grado e dalle censure dell’appellata alla relazione tecnica disposta in appello’ .
Il motivo si indirizza in particolare nei confronti delle conclusioni raggiunte dalla decisione d’appello circa la sussistenza di un pericolo di incendio derivante dall’utilizzo di materiali lignei per la realizzazione del manufatto ed argomenta, in particolare, che dette conclusioni, formulate dalla Corte territoriale sulla scorta delle conclusioni del Consulente nominato in sede di gravame, risultano diametralmente opposte a quelle rassegnate dalla CTU disposta nel giudizio di prime cure, la quale aveva invece escluso tale pericolo, senza che la Corte territoriale abbia esaminato tale contrasto, motivando in ordine alle proprie conclusioni.
3.2. Il motivo è da ritenersi assorbito dalla declaratoria di inammissibilità del primo motivo di ricorso.
4.1 . Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sull’eccezione sollevata dalla ricorrente in relazione alla novità di due domande che i controricorrenti avrebbero formulato solo in sede di gravame con il secondo e quarto motivo di appello, e cioè la domanda concernente la violazione della disciplina in tema di luci e vedute di cui agli artt. 900 segg. e la domanda di risarcimento dei danni.
4.2. Il motivo deve ritenersi in parte assorbito ed in parte infondato.
Assorbito, per ciò che concerne le deduzioni circa la tardività della domanda che investiva il mancato rispetto delle norme sulle luci e vedute, dal momento che il mancato accoglimento del primo motivo ed il conseguente passaggio in giudicato della statuizione sulla violazione del decoro architettonico portano a superare ed assorbire lo specifico profilo in questione.
Infondato, per ciò che concerne le deduzioni circa la tardività della domanda risarcitoria che, alla luce dell’esame degli atti, risulta essere stata formulata dai controricorrenti sin dal giudizio di primo grado come -a ben vedere -ammesso dalla stessa ricorrente, nel momento in cui, all’ultima pagina del proprio ricorso, richiama la propria conclusionale in appello che, appunto, dava atto della formulazione della domanda risarcitoria sin dall’originaria citazione in primo grado.
Non si può ritenere -come sembra fare la ricorrente – che il riferimento ai danni da rischio di incendio venisse a costituire una vera e propria nuova domanda rispetto a quella di danni originariamente proposta, trattandosi semmai dell’allegazione di una voce ulteriore di
un danno che comunque risultava già tempestivamente richiesto (v. pag. 8 atto di citazione).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 28 novembre 2023.
Il Presidente
NOME COGNOME