Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 208 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 208 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6980/2018 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5056/17, depositata il 24 luglio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con lodo depositato il 4 marzo 2011, il collegio arbitrale costituito per la risoluzione di una controversia insorta tra l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE in sede di esecuzione di un contratto di appalto stipulato il 20 febbraio 2001 ed avente ad oggetto lavori di costruzione delle varianti di Boretto e Gualtirolo -I stralcio variante di Boretto, condannò l’ANAS al pagamento: a) della somma di Euro 345.823,95, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento dei danni, b) della somma di Euro 283.383,53, oltre interessi legali, moratori e anatocistici, a titolo di saldo del corrispettivo dei lavori, c) della somma di Euro 65.919,90, oltre interessi legali, moratori e anatocistici, a titolo di rimborso delle somme anticipate ai collaudatori, rigettando ogni altra domanda.
L’impugnazione proposta dall’ANAS è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 24 luglio 2017 ha dichiarato assorbita l’impugnazione incidentale condizionata proposta dalla RAGIONE_SOCIALE
Premesso che, ai fini della risoluzione delle controversie insorgenti dall’esecuzione dell’appalto, il contratto e il capitolato richiamavano l’art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, la Corte ha ritenuto infondate le doglianze riguardanti la competenza degli arbitri, ritenendo che la stessa trovasse fondamento in una norma pattizia, reputando quindi ininfluente la sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 1996, riferibile agli arbitrati obbligatori, e rilevando comunque che l’ANAS aveva rinunciato alla declinatoria di competenza, avendo manifestato la volontà di pervenire alla risoluzione della controversia, mediante la nomina del proprio arbitro.
Quanto poi al termine per la redazione della contabilità finale dei lavori, ha ritenuto insindacabile l’affermazione degli arbitri, secondo cui il termine di tre mesi previsto per l’ipotesi di ultimazione dei lavori poteva ritenersi congruo anche per il caso di scioglimento del contratto per mutuo consenso, essendo stata in tal modo fornita un’interpretazione analogica del contratto,
sorretta da logica motivazione e non censurabile in sede d’impugnazione del lodo per nullità, ammessa solo per violazione di regole di diritto.
Ha ritenuto altresì inammissibili, in quanto attinenti al merito, le censure aventi ad oggetto il calcolo dei maggiori oneri e danni effettuato in via presuntiva dal c.t.u.
Avverso la predetta sentenza l’ANAS ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. L’Asfalti Sintex ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 109 del 1994, dell’art. 47 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e degli artt. 1362, 1636, 1367, 1369 e 1371 cod. civ., osservando che, nel ritenere inoperante la declinatoria della competenza arbitrale, in virtù della natura pattizia dell’arbitrato, la sentenza impugnata si è limitata a richiamare una sola delle clausole contrattuali, senza prendere in esame l’intero contenuto del contratto. Premesso che, nel porre in risalto il rinvio all’art. 32 della legge n. 109 del 1994, contenuto nel contratto e nel capitolato speciale, la Corte territoriale non ha considerato che, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 10 della legge 18 novembre 1998, n. 415, tale disposizione prevede un arbitrato volontario, sostiene che l’art. 20 del capitolato speciale richiamava anche il Capo VI del d.P.R. n. 1063 del 1962, il quale, per effetto della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dello art. 47, prevede un arbitrato non più obbligatorio, ma facoltativo. Precisato inoltre che la natura eccezionale della competenza arbitrale, prevista in deroga alla giurisdizione ordinaria, impone, in caso di dubbio, un’interpretazione restrittiva della clausola compromissoria, afferma che, attraverso il predetto rinvio, le parti hanno inteso recepire tutte le disposizioni legislative e regolamentari in materia di opere pubbliche, ivi compreso l’art. 47 cit.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 109 del 1994, dell’art. 47 del d.P.R. n. 1063 del 1962 e dell’art. 817 cod. proc. civ., osservando che, nel ritenere che essa ricorrente avesse rinunciato alla declinatoria della competenza arbitrale,
mediante la nomina del proprio arbitro, la sentenza impugnata non ha considerato che la stessa era stata effettuata successivamente alla notificazione della declinatoria, ed al solo scopo di eccepire l’incompetenza del collegio arbitrale.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 241 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, degli artt. 172 e 173 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e degli artt. 1223, 2043 e 2697 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibili le censure riguardanti l’imputabilità del ritardo nell’emissione dello stato finale dei lavori, senza considerare che, ai sensi dell’art. 241 cit., il lodo era impugnabile anche per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia. Premesso che il termine per la redazione dello stato finale decorre dall’emissione del certificato di ultimazione dei lavori, la quale presuppone la formale comunicazione del completamento dell’opera, sostiene che nella specie tale comunicazione non è mai stata effettuata, con la conseguenza che essa ricorrente non è stata messa in grado di predisporre il predetto certificato.
I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono fondati.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto inapplicabili i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 152 del 1996, individuando la fonte dell’arbitrato non già nella legge, ma nella volontà delle parti, manifestata attraverso il richiamo del contratto d’appalto e del capitolato speciale all’art. 32 della legge n. 109 del 1994, e ritenuta idonea a determinare il recepimento di tale disposizione nella disciplina negoziale, con la conseguente esclusione della natura obbligatoria dello arbitrato, e della correlata facoltà delle parti di declinare unilateralmente la competenza arbitrale.
Nel caso in esame, non può trovare applicazione il principio, più volte ribadito da questa Corte in riferimento agli appalti stipulati da enti pubblici diversi dallo Stato, secondo cui, in mancanza di una specifica disposizione di legge che sottoponga il contratto alla disciplina dettata dal Capitolato generale per le opere pubbliche, la circostanza che le parti l’abbiano espressa-
mente richiamata per regolare il rapporto contrattuale comporta che le relative disposizioni, ivi comprese quelle che prevedono il deferimento delle controversie nascenti dal contratto ad un collegio arbitrale, assumono la stessa natura e portata dell’atto negoziale che le richiama, perdendo qualsiasi collegamento con la fonte normativa di provenienza e conservando la loro efficacia indipendentemente dalle successive modifiche della stessa, con la conseguenza che, avendo l’arbitrato la sua fonte non già nella legge, ma in una convenzione compromissoria intercorsa tra le parti, che trova fondamento nella loro volontà, non assume alcun rilievo neppure la questione riguardante la facoltatività dell’arbitrato, prevista dall’art. 47 del d.P.R. n. 1063 del 1962 e ripristinata a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale, con cui fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (cfr. Cass., Sez. I, 4/02/2011, n. 2749; 24/06/2008, n. 17083; 6/11/2006, n. 23670). Tale principio, com’è noto, ha trovato applicazione anche in riferimento all’ipotesi in cui, come nella specie, il contratto o il capitolato di appalto richiami l’art. 32 della legge n. 109 del 1994, al fine d’individuare il testo di tale disposizione concretamente applicabile al rapporto, tra quelli succedutisi nel tempo, per effetto delle modificazioni introdotte dapprima dall’art. 9bis , comma primo, del d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 2 giugno 1995, n. 216, ed in seguito dall’art. 10 della legge n. 415 del 1998 (cfr. Cass., Sez. I, 6/08/2015, n. 16544). Esso non è tuttavia riferibile agli appalti stipulati dall’ANAS, in ordine ai quali l’applicabilità delle norme in vigore per l’Amministrazione dei lavori pubblici è prevista da una specifica disposizione di legge, ovverosia dall’art. 32, secondo comma, della legge 7 febbraio 1961, n. 59 (rimasto in vigore anche a seguito della trasformazione dell’Azienda in società per azioni, disposta dall’art. 7 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 289), con la duplice conseguenza che rispetto a tali appalti il richiamo delle norme del Capitolato generale o dell’art. 32 della legge n. 109 del 1994, eventualmente contenuto nel contratto o nel capitolato speciale, non vale a conferire a tali disposizioni una valenza negoziale, rivestendo invece una portata meramente ricognitiva della fonte legale della disciplina del rapporto, la quale trova applicazione anche nelle sue successive modificazioni
(cfr. Cass., Sez. I, 10/06/2021, n. 16411; 22/09/2010, n. 20050; 1/07/2004, n. 12031), e che la competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti (cfr. Cass., Sez. III, 29/09/2017, n. 22834; Cass., Sez. Un., 30/04/2008, n. 10873).
4.1. Tale declinatoria, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale, che, attuandosi mediante un negozio unilaterale ad effetti anche processuali, di natura esterna al processo ed antecedente ad esso, postula una manifestazione di volontà chiara ed inequivocabile della Pubblica Amministrazione, volta a ricondurre la controversia nell’ambito della giurisdizione, attraverso l’esclusione della cognizione arbitrale, che rispetto ad essa si pone come eccezione alla regola, senza che eventuali successive scelte difensive, anche finalizzate alla sottoposizione della questione della ritualità della declinatoria di competenza al collegio arbitrale, possano di per sé esprimere una rinuncia univoca agli effetti della stessa (cfr. Cass., Sez. I, 17/09/2014, n. 19531; 19/03/2014, n. 6290; 22/08/2001, n. 11177).
Non merita pertanto consenso la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur dando atto dell’avvenuta declinatoria della competenza da parte dell’ANAS, in epoca anteriore all’instaurazione del procedimento arbitrale, ha ritenuto che la ricorrente vi avesse successivamente rinunciato, per aver manifestato implicitamente la volontà di pervenire alla risoluzione della controversia, dapprima attraverso la nomina del proprio arbitro, e successivamente mediante la nomina del presidente del collegio, effettuata d’accordo con l’RAGIONE_SOCIALE.
5. La sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbito il terzo motivo, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legit-
timità.
Così deciso in Roma il 5/10/2023