Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9401 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9401 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23507/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo stud io dell’avvocato NOME COGNOME
(CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
MILLOZZA NOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 596/2019 depositata il 10/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Potenza accolse la domanda di NOME COGNOME proposta nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME condannando questi ultimi al pagamento dell’importo di € 76.537,24 a titolo di riduzione del prezzo di un immobile, conseguente ai vizi della res venduta all’attrice.
La Corte di Appello di Potenza, con sentenza n. 596 del 10 settembre 2019, su gravame dei soccombenti, riformava la sentenza del Tribunale, rigettando le originarie domande attrici.
Il giudice di secondo grado rilevava che la COGNOME parte promissaria acquirente, onerata della prova della tempestività della denuncia, non ne aveva fornito la dimostrazione. Infatti, pur avendo avuto la consegna anticipata delle chiavi del manufatto e pur avendo ottenuto finanche il certificato attestante la scarsa qualità di alcuni campioni di cemento armato il 16 luglio 2001, avrebbe denunciato i vizi solo il 30 luglio 2001.
Contro la predetta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di cinque motivi.
Ha proposto tempestivo controricorso NOME COGNOME mentre è rimasta intimata NOME COGNOME
RAGIONI DI DIRITTO
Attraverso la prima censura, la ricorrente deduce la v iolazione dell’art 360 c.1 n 4, c.p.c., in relazione agli artt. 330 comma 1°, 170 e 156 c.p.c.
L’atto di citazione in appello era stato notificato all’avv . NOME COGNOME senza ulteriori specificazioni, laddove il gravame avrebbe dovuto essere notificato alla parte o al procuratore costituito. Tale omissione, seguita dalla mancata costituzione in giudizio della COGNOME avrebbe comportato la nullità della notificazione e quindi la nullità del procedimento e della conseguente sentenza.
Il motivo è destituito di fondamento.
L’avv. NOME COGNOME era il difensore domiciliatario della Gerardi nel giudizio di primo grado.
Invero, per giurisprudenza consolidata, la notificazione dell’atto di impugnazione effettuata al procuratore costituito in tale sua qualità equivale pienamente a quella effettuata alla parte “presso il procuratore costituito” nei casi in cui essa è prescritta dall’art. 330, comma 1°, c.p.c. – ovvero i casi in cui la parte non abbia dichiarato la residenza o eletto il domicilio in sede di notificazione della sentenza – soddisfacendo l’una e l’altra forma di notificazione l’esigenza che l’atto di gravame sia portato a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale; sicché la notificazione eseguita a mani proprie del difensore resta valida, sia perché il predetto art. 330, comma 1°, c.p.c. non contiene una mera indicazione del luogo della notificazione, ma identifica nel procuratore il destinatario di essa in forza di una proroga ex lege dei poteri conferitigli con la procura alle liti per il giudizio a quo , sia perché detta notificazione risulta eseguita nel rispetto dell’art. 138 del codice di rito – secondo il quale l’ufficiale giudiziario può sempre compiere la notificazione mediante consegna della copia dell’atto nelle mani proprie del destinatario, ovunque lo trovi nell’ambito della circoscrizione alla quale è addetto – da ritenersi applicabile non solo alle parti, ma anche ai difensori delle stesse (Sez. L, n. 27012 del 24 ottobre 2018; Sez. 1, n. 17299 del 25 agosto 2005; nello stesso senso Sez. U., n. 7454 del 19 marzo 2020).
Con il secondo mezzo, la COGNOME assume la nullità della sentenza, dolendosi della violazione degli artt. 125 e 82 e 83 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
La Corte territoriale non si sarebbe avveduta che l’atto di appello avrebbe dovuto essere dichiarato inesistente a causa della mancata sottoscrizione dell’atto ad opera di entrambi i due codifensori, ma solo da parte di uno di essi. Da ciò il vizio da cui era affetto l’intero procedimento di secondo grado.
Il motivo è destituito di fondamento.
Nell’ipotesi di mandato alle liti conferito a più procuratori, taluno dei quali non abbia firmato l’atto di costituzione , non può ritenersi affetto da nullità l’atto medesimo che sia stato però sottoscritto da almeno uno dei codifensori, titolari in via disgiunta del potere di rappresentanza dell’assistito .
Il terzo rilievo denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 2719 c.c. e 1 comma 1° lett. b) della legge n. 183 del 1993, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
L’atto notificato non sarebbe stato conforme all’originale dell’atto di appello , che, per essere valido, avrebbe dovuto essere sottoscritto da entrambi i difensori, mentre la firma del codifensore avv. NOME COGNOME non risulterebbe essere stata apposta neppure in chiusura del gravame. In altri termini, l’atto di appello sarebbe sta to fotoriprodotto e trasmesso, in copia conforme, dall’avv. COGNOME all’avv. COGNOME, da questi dichiarato conforme e successivamente notificato all’avv. COGNOME. Pertanto, la copia ricevuta dall’avv. NOME COGNOME non sarebbe conforme a quella inviata dall’avv. COGNOME
Il motivo è inammissibile.
La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di
difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Sez. 3, n. 26419 del 20 novembre 2020).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha minimamente spiegato in quale modo la mancata sottoscrizione del codifensore abbia potuto pregiudicare un suo diritto.
D’altronde, è inammissibile per difetto d’interesse, il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, essendo diretto in definitiva all’emanazione di una pronuncia senza alcun rilievo pratico (Sez. 1, n. 12678 del 25 giugno 2020; Sez. 1, n. 20689 del 13 ottobre 2016).
4. La quarta doglianza s’impernia sulla v iolazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. La Corte d’Appello avrebbe deciso ultrapetita , giacché -diversamente dall’assunto della sentenza impugnata gli appellanti non avrebbero mai riferito o sostenuto la tardività della denuncia dei vizi da parte della COGNOME nel termine di otto giorni dalla scoperta, facendo invece riferimento al solo termine di prescrizione annuale.
Il motivo è inammissibile, perché aspecifico.
A fronte dell’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui ‘ gli appellanti hanno sostenuto la tardività della denuncia dei vizi da parte della COGNOME (eccepita sin dalla loro costituzione in primo grado -pag. 6 comparsa depositata il 6.5.02) ‘, la ricorrente si è limitata a negare la circostanza. In ogni caso, all’esito di un esame della comparsa di risposta -che la Corte ha potuto effettuare, giacché, essendo stato dedotto un vizio processuale, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa (Sez. U., n. 20181 del 25 luglio 2019) -è stato possibile riscontrare la veridicità della predetta affermazione.
L’inammissibilità del motivo riposa sul la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i
fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Sez. 1, n. 28184 del 10 dicembre 2020; Sez. 5, n. 29093 del 13 novembre 2018; Sez. 1, n. 5478 del 7 marzo 2018).
L’ultimo mezzo d’impugnazione si riferisce alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’intervenuta decadenza dall’eccezione di cui all’art. 1495 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
Ribadito che le controparti mai avrebbero sollevato l’eccezione di decadenza in primo grado, assume la ricorrente che, anche a voler reputare l’eccezione come proposta, sarebbe stata tardiva, perché non sollevata almeno venti giorni prima della prima udienza.
Anche tale motivo risulta destituito di fondamento.
Infatti, la costituzione degli originari convenuti era intervenuta all’udienza del 6 maggio 2002, quando l’art. 167 comma 2° c.p.c. in allora vigente non conteneva l’inciso ‘ e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio ‘.
L’inserimento è avvenuto mediante l’art. 2 comma 3° lett. b ter l. 14 maggio 2005 n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006.
In altri termini, in base al principio tempus regit actum , all’epoca l’eccezione di decadenza avrebbe potuto essere sollevata anche con la comparsa di costituzione in giudizio.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000 (cinquemila) oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dello stesso art. 13, se dovuto.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2025.