Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8075 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 8075 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
SENTENZA
sul ricorso 24035-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME MARCO, in proprio e in qualità di legali rappresentanti pro tempore della RAGIONE_SOCIALE, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOMECOGNOME
Oggetto
Sanzioni amministrative, decadenza
R.G.N. 24035/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 10/12/2024
PU
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 389/2023 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 26/09/2023 R.G.N. 261/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2024 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOMECOGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe , la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto l’opposizione proposta da gli odierni controricorrenti avverso plurime ordinanzeingiunzione con cui l’INPS aveva irrogato sanzioni amministrative per mancato versamento delle ritenute previdenziali in vari periodi tra il dicembre 201 3 e l’agosto 2015.
La Corte di appello, richiamando propri precedenti resi in fattispecie analoghe, ha ritenuto maturata la decadenza dalla potestà sanzionatoria per decorso del termine di cui all’art. 14, comma 2°, della legge nr. 689 del 1981, assumendo la data di entrata in vigore del d.lgs. nr. 8 del 2016, che, all’art. 3, comma 6, aveva parzialmente depenalizzato l’illecito in questione, come dies a quo del termine di novanta giorni per la contestazione dell’illecito; nella fattispecie concreta, infatti, non vi era stato alcun provvedimento di trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria all’ente previdenziale e, pertanto, non trovava applicazione il diverso dies a quo previsto dall’art. 9, d.lgs. nr. 8 del 2016, cit.
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità specificata in epigrafe, hanno resistito con controricorso. Il Pubblico ministero ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 2°, della legge nr. 689 del 1981, degli artt. 8, comma 1, e 9 del d.lgs. nr. 8 del 2016, e dell’art. 2, comma 1 -bis , d.l. nr. 463 del 1983 (conv. con legge nr. 638 del 1983), per avere la Corte di merito ritenuto maturata la decadenza dall’esercizio del potere sanzionatorio di cui all’art. 14 della legge nr. 689 del 1981, cit.: ad avviso dell’Istituto ricorrente, infatti, la vicenda per cui è causa andrebbe disciplinata esclusivamente sulla scorta degli artt. 8, comma 1, e 9 del d.lgs. nr. 8 del 2016, che -nel prevedere la depenalizzazione dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali, già qualificato come illecito penale dall’art. 2, comma 1 -bis , d.l. nr. 463 del 1983, cit.- hanno previsto, per le fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore, la retroattività della sostituzione della sanzione amministrativa a quella penale e la conseguente restituzione degli atti all’autorità amministrativa affinché quest’ultima proceda a notificare al responsabile gli estremi della violazione, ma senza in alcun modo comminare la decadenza per il caso in cui l’amm inistrazione non vi provveda entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti.
Il motivo è infondato.
Va premesso che il d.lgs. nr. 8 del 2016, nel prevedere, all’art. 8, comma 1, che «le disposizioni del presente decreto
che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso», ha disciplinato, all’art. 9, le modalità con cui darvi concreta applicazione, stabilendo anzitutto che « l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi» (comma 1), differenziando in secondo luogo i soggetti a ciò tenuti a seconda che l’azione penale sia già stata o meno esercitata (commi 2 e 3) e disponendo, da ultimo, che « l’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti»(comma 4).
Ciò posto, va rilevato che l’art. 6, d.lgs. n r. 8 del 2016, stabilisce in forma assolutamente generale che «nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689»; e se è indubitabile che la previsione valga anzitutto pro futuro , ossia per le violazioni commesse a far data dalla sua entrata in vigore, non è meno vero che tra le «sanzioni amministrative previste dal presente decreto» debbono intendersi ricomprese anche quelle sanzioni che, a norma del successivo art. 8, «si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso»: prova ne sia, ai fini che qui interessano, che l’art. 9, come s’è già visto, prevede che l’autorità amministrativa debba notificare «gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della
Repubblica entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti», vale a dire entro il medesimo termine previsto dall’art. 14, comma 2°, l egge nr. 689 del 1981, che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato come termine di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria (cfr. ex multis Cass. nr. 9456 del 2004 e, da ult., Cass. nr. 4345 del 2024).
8. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una soluzione costituzionalmente necessitata ove si consideri che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge nr. 689 del 1981, nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio mediante l’emissione dell’ordinanza ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione degli atti, la Corte costituzionale ha nondimeno precisato che, in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità deve necessariamente modellare anche «la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere », in quanto «la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell’esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale», e la sua individuazione in un momento «non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, consentendo all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio, garantisce un esercizio effettivo del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. ed è
coerente con il principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. di cui all’art. 97 Cost. » (Corte cost. nr. 151 del 2021).
9. In altri termini, è il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost., in combinato disposto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 e il principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, ad imporre all’interprete di ritenere che il termin e previsto all’art. 9, comma 4, d.lgs. n r. 8 del 2016, sia un termine di decadenza: diversamente opinando, infatti, l’ «esigenza di contenere nel tempo lo stato di incertezza inevitabilmente connesso alla esplicazione di una speciale prerogativa pubblicistica, quale è quella sanzionatoria, capace di incidere unilateralmente e significativamente sulla situazione giuridica soggettiva dell’incolpato », resterebbe esclusivamente affidata alla previsione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative (art. 28, l. nr. 689 del 1981), che tuttavia, per ampiezza e suscettibilità di interruzione, deve considerarsi «inidoneo a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effetti vità del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione» (così ancora Corte cost. nr. 151 del 2021, cit.).
10. Chiarito, pertanto, che la norma di cui all’art. 9, comma 4, d.lgs. nr. 8 del 2016, deve leggersi alla stregua del precetto di cui all’art. 14, comma 2°, l egge nr. 689 del 1981, e ricordato che, per principio generale, l’onere della prova dell’osservanza dei termini previsti a pena di decadenza per l’esercizio di un diritto incombe su chi intende esercitarlo (cfr., fra le tante, Cass. nn. 3796 del 1989, 10412 del 1997, 7093 del 2003), la peculiarità del caso di specie è data dal fatto che nessuna trasmissione degli atti è stata effet tuata dall’autorità giudiziaria all’INPS, sicché non appare possibile né riferirsi al dies a quo
previsto dall’art. 9, comma 4, d.lgs. n r. 8 del 2016, né a fortiori a quello di cui all’art. 14, comma 2°, legge nr. 689 del 1981, dal momento che all’epoca dell’accertamento il fatto era previsto dalla legge come reato.
11. D’altra parte, deve logicamente escludersi che l’inerzia dell’autorità giudiziaria nella trasmissione degli atti all’INPS possa ridondare a danno dell’incolpato, privandolo del diritto alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione: una simile conclusione si porrebbe infatti diametralmente in contrasto con le esigenze di certezza del diritto e di tutela del diritto di difesa e del buon andamento dell’amministrazione puntualm ente evidenziate da Corte cost. n. 151 del 2021, cit., e sarebbe dunque sospettabile di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 23, 24 e 97 Cost.
12. Reputa il Collegio che alla questione possa darsi risposta negli stessi termini elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all’incidenza di una legge sopravvenuta che introduca ex novo un termine di decadenza riferibile ad una situazione giuridica ancora pendente (Cass. S.U. nr. 15352 del 2015): fermo restando, infatti, che la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore non può avere effetto retroattivo, non potendo logicamente configurarsi un’ipotesi di estinzione del diritto per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato, il necessario bilanciamento tra le esigenze di garantire, da una parte, il conseguimento delle finalità perseguite dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale per l’esercizio della potestà sanzionatoria e di tutelare, dall’altra parte, l’interesse
della parte pubblica a non vedersi addebitare un’inerzia ad essa non imputabile può essere assicurato dalla regola di valore generale dell’art. 252 att. c.c., secondo cui quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge.
13. Alla stregua delle anzidette considerazioni, correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto nel caso di specie che, una volta accertato che l’autorità giudiziaria non aveva trasmesso all’INPS gli atti relativi al procedimento penale, la decorrenza del termine entro cui effettuare la contestazione dell’addebito andasse collocata al momento di entrata in vigore del d. lgs. n. 8/2016 (6.2.2016), ossia quando, intervenuta la depenalizzazione, l’INPS comunque avrebbe potuto motu proprio dar corso al procedimento sanzionatorio mediante notifica della violazione. Sicché, considerato che i giudici territoriali hanno altresì accertato che « è lo stesso Istituto a dare atto che le violazioni sono emerse ‘da una verifica dei nostri archivi’ , ammettendo così che i dati erano già in suo possesso e che l’accertamento delle violazioni non ha richiesto alcuna attività istruttoria» (così la sentenza impugnata, pag. 7), deve concludersi che la sentenza gravata resiste alle censure mossele.
14. Il ricorso, pertanto, va rigettato con l’enunciazione del seguente principio di diritto: «il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti dall’autorità giudiziaria, entro il quale, a norma dell’art. 9, comma 4, d.lgs. n r. 8 del 2016, l’INPS deve notificare al responsabile la violazione amministrativa concernente il mancato versamento delle ritenute previdenziali,
parzialmente depenalizzata ai sensi dell’art. 3, comma 6, del medesimo decreto legislativo, è fissato a pena di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria e, in caso di mancata trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria, decorre dal momento di entrata in vigore del d.lgs. nr. 8 del 2016 (6.2.2016), ove dal vaglio di merito risulti che, in concreto, l’accertamento delle violazioni non ha richiesto da parte dell’INPS alcuna attività istruttoria ».
15. La novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, mentre, tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del