Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18435 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18435 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 625-2022 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3755/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/10/2021 R.G.N. 323/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Accertamento rapporto di lavoro
R.G.N. 625/2022 Cron. Rep. Ud. 15/05/2024 CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, in accoglimento del reclamo principale della RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE), ed in riforma della sentenza reclamata, ha rigettato le domande e l’appello incidentale proposti da NOME e lo ha condannato a restituire alla RAGIONE_SOCIALE euro 32.0002,50 oltre accessori, compensando le spese dell’intero gi udizio.
A fondamento della decisione la Corte ha ritenuto che fosse fondata l’eccezione di decadenza processuale sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE in relazione alla tardiva costituzione del NOME nel giudizio di opposizione, con conseguente decadenza dalla possibilità di articolare mezzi istruttori, ivi compresa la prova testimoniale che doveva, pertanto, ritenersi irritualmente espletata e della quale non poteva tenersi conto.
Non c’era invece decadenza sulle domande proposte perché nella costituzione in opposizione NOME aveva chiesto soltanto la conferma dell’ordinanza emessa in sede sommaria.
Nel merito la Corte ha sostenuto che le prove in atti, partitamente richiamate e valutate (contratto, compenso, prove testimoniali) erano affatto indicative della subordinazione ed invece compatibili con il rapporto di agenzia; il COGNOME non aveva invece fornito alcuna convincente prova rispetto alla configurazione del suddetto assetto del rapporto fra le parti, essendo decaduto dalla prova testimoniale, mentre le dichiarazioni dei testimoni ex art. 421 c.p.c. offrivano pure spunti di valutazione incompatibili con la simulazione del contratto di subagenzia stipulato.
Il reclamo incidentale del NOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE circa la ritorsività del licenziamento era
infondato presupponendo pur sempre l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ritenuto invece insussistente dalla Corte.
Per lo stesso motivo era infondato il reclamo incidentale originariamente proposto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Mentre era fondata invece la domanda della RAGIONE_SOCIALE di restituzione degli importi corrisposti al NOME in esecuzione della sentenza di merito.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con sei motivi ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si impugna il capo D) della sentenza laddove è stata dedotta dalla Corte d’appello la tardività della costituzione del ricorrente in sede di reclamo, anche con riferimento alla asserita carenza di errore scusabile da parte del difensore. Violazione artt. 15 preleggi, 153 c.p.c., 416 c.p.c., 1 co. 53 L. 92/12, 155 c.p.c., legge n. 240/1949 e s.m.i. Impugnazione ex articolo 360 n.3 e n. 4 c.p.c.
2.Con il secondo motivo si deduce l’illogicità e/o contraddittorietà della motivazione; impugnazione per violazione dell’articolo 132 c.p.c. e 111 Costituzione ex articolo 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.
3.- Con il terzo motivo si impugna il capo E) della sentenza laddove è stato analizzato il merito delle prove, con asserzione da parte della Corte circa il fatto che non si tratterebbe di rapporto lavoro dipendente, bensì di agenzia. Impugnazione ex
articolo 360 n.3 e 4 cpc; violazione artt. 115 e 116 cpc e 2094 c.c.
4.- Con il quarto motivo si censura il capo della sentenza in cui la Corte ha indicato che fosse previsto un compenso a parte, in ordine alla consegna di altri prodotti e sul fatto che il ricorrente fosse pagato a provvigioni ex art. 360 n.3 c.p.c. in violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e 1742 e 1748 c.c. nonché ai sensi dell’articolo 360, n. 4 c.p.c. per nullità della sentenza sempre per travisamento e violazione dei predetti articoli.
5.- Con il quinto motivo si impugna il capo della sentenza in cui la Corte d’appello ha statuito che in base agli elementi di causa non vi sarebbe subordinazione ma compatibilità col rapporto di agenzia. Impugnazione finanche del capo F) della sentenza, in cui la Corte ha dato atto che il reclamo incidentale del NOME risulterebbe infondato, stante l’inesistenza del rapporto di lavoro subordinato, così anche quanto richiesto verso RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento dell’unico centro di imputazione. Impugnazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 per violazione dell’art. 2094 c.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1742 1748 c.c.; 1345 c.c. e art. 18 l. 300/70 , art 69 n.13 CCNL, art. 2016 c.c. ex articolo 360 numero 4 c.p.c. e per violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.
6.- Con il sesto motivo si impugna il capo H) della sentenza che ha ammesso la domanda di parte avversaria circa la restituzione degli importi corrisposti al COGNOME in esecuzione della sentenza di merito (per € 32.002,50 come risarcimento danni a seguito d ella reintegra e dell’indennità sostitutiva oltre interessi dal marzo 2019); impugnazione per gli stessi motivi di cui al capo precedente, essendo diretta conseguenza.
7.- Il primo motivo presenta profili di infondatezza e profili di inammissibilità.
7.1. La Corte di appello, riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha sostenuto che erroneamente il tribunale aveva rigettato le eccezioni di decadenza processuale sollevate dalla società in relazione alla tardiva costituzione del NOME nel giudizio di opposizione e concesso al NOME un nuovo termine per la costituzione, avendo ritenuto la presenza della causa non imputabile ex articolo 184 bis c.p.c. in quanto il NOME aveva depositato la memoria di costituzione nel giudizio di opposizione tardivamente rispetto al decreto di fissazione dell’udienza perché, come affermato dal difensore, questi era incorso in errore ‘per mera confusione nella lettura del menu a tendina del PTC e conseguente errore nella selezione con il mouse del pc del tribunale di T ivoli invece di quello di Velletri’ (verbale di udienza del 5.7.18 nella fase di opposizione).
Così facendo il tribunale aveva erroneamente autorizzato la rimessione in termini, concedendo un nuovo termine ma in violazione della disciplina di legge ex art 184 bis c.p.c. che richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà ed avendo quindi confuso il concetto di non imputabilità dell’errore con l’aspetto soggettivo e con la buona fede. Mentre, secondo la Corte di appello, l’errore del difensore nel compiere un’attività processuale è sempre imputabile e non può sostenersi che sia scusabile. Andava pure considerato che dopo aver effettuato il deposito erroneo presso il tribunale di Tivoli il difensore del NOME aveva avuto tutto il tempo per verificare la correttezza dell’invio telematico e se del caso rimediare all’errore costituendosi nei termini; cosa che non risultava avesse fatto se non a termini di costituzione scaduti.
Alla luce di tali corrette affermazioni, del tutto conformi alla giurisprudenza di questa Corte, si rivelano perciò infondate le censure sollevate con il primo motivo di ricorso, con le quali si rappresenta invece la sussistenza di un mero errore materiale scusabile ex articolo 184 bis c.p.c. con successiva rimessione in termini, dal momento che era chiaro che il processo pendesse presso il tribunale di Velletri non di Tivoli. Si adduce in proposito che si sia trattato di un errore materiale palese e che ritornando alla realtà di qualche anno fa sarebbe stato impossibile errare in merito al tribunale dove depositare gli atti di costituzione in forma cartacea.
Il ricorrente sostiene inoltre che la Corte d’appello avrebbe fatto riferimento all’articolo 184 bis abrogato ex articolo 46, comma 3 legge n. 69/2009 a decorrere dal 4 luglio 2009; con esclusione della ridetta norma per i giudizi instaurati come nel caso in esame dopo l’entrata in vigore della stessa. Mentre era stata violata anche la norma di cui all’articolo 153 c.p.c. completamente obliato dalla Corte d’appello.
Il ricorrente afferma altresì che la sentenza dalla Corte d’appello sia stata resa in violazione dell’articolo 416 c.p.c. e dell’articolo 1, comma 53 legge n. 92/2012 in base al quale viene richiamato l’articolo 416 c.p.c. in relazione alla costituzione della parte resistente che deve avvenire 10 giorni prima dell’udienza fissata per la discussione. Ebbene, come affermato dalla Corte d’appello, all’udienza relativa alla prima comparizione veniva indicata la data del 15/05/2018, mentre la costituzione del NOME era avvenuta presso quello di Velletri in data 05/05/2018, dunque nel pieno rispetto dei 10 giorni previsti dalle summenzionate norme di diritto.
7.2. Le censure del ricorrente sono del tutto prive di fondamento.
Anzitutto, nel caso in esame, al di là dell’evidente refuso, non ha concreta rilevanza il richiamo all’uno o all’altra disciplina prevista dall’articolo 184 bis c.p.c. piuttosto che dall’articolo 153 c.p.c. dato che, come affermato più volte da questa Corte, (con sentenza n. 4135/2019 e n.17729/18 richiamate anche a pag. 6 della stessa sentenza impugnata) la disciplina è la medesima, nella parte in cui si richiede in entrambe la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà.
7.3. Nel merito va ribadito che, come affermato da questa Corte, da ultimo anche con ordinanza n. 31483/2023, l’evento addotto per integrare una causa non imputabile ai fini della rimessione in termine regolata dall’art. art. 153, comma 2, c.p.c. deve avere carattere di impedimento assoluto, come richiesto dalla norma. La giurisprudenza di questa Corte è invero rigorosa sul tema (Cass. n. 17729/18) ed in base ad essa la causa non imputabile “non può risolversi in una mancanza di diligenza” e “non può quindi consistere in un difetto di organizzazione della propria attività professionale da parte del difensore” (Cass. n. 363/2017). Un deficit di diligenza e di organizzazione del lavoro imputabile al difensore esclude pertanto la possibilità della rimessione in termini; ed è sempre irrilevante il requisito di buona fede di chi ponga in essere l’atto processuale, e pertanto l’inesistenza della necessità di una sua intenzione dolosa o di un errore materiale per mancanza di diligenza.
7.4. La censura sulla tempestività della costituzione comunque effettuata ex art. 416 c.p.c, è invece inammissibile perché solleva una questione nuova, non essendo mai stata sostenuta davanti ai giudici di merito; posto che dalla sentenza gravata
risulta esclusivamente affermato che lo stesso difensore sosteneva di essere incorso in errore ‘per mera confusione nella lettura del menu a tendina del PTC e conseguente errore nella selezione con il mouse del pc del tribunale di Tivoli invece di quello di Velletri’ (verbale di udienza del 5.7.18 nella fase di opposizione).
Del resto, nulla viene dedotto e comprovato in questa sede per non incorrere nell’inammissibilità del motivo per novità della censura (sul dove e quando sarebbe stata tempestivamente sollevata la medesima questione nei precedenti gradi di giudizio).
8.Con il secondo motivo si sostiene l’illogicità e/o contraddittorietà della motivazione per avere la Corte d’appello da una parte rilevato la tardività della costituzione in giudizio del COGNOME e la decadenza dalle prove e dall’altra contraddicendo se stessa essere poi passata all’esame del merito delle medesime testimonianze indicate in atti travisandole in pieno.
8.1. Il motivo è inammissibile laddove deduce la illogicità e/o contraddittorietà della motivazione trattandosi di un vizio che non può essere più dedotto come motivo di ricorso per Cassazione.
Il vizio di motivazione può essere censurato in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 cpc solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico della impugnata pronuncia.
In ogni caso non sussiste nullità per inconciliabile contrasto e contraddittorietà, data la coerenza del percorso motivo (da 3°
cpv. p. 10 a 3° cpv. p. 13 sentenza), in funzione della rilevanza attribuita alla prova documentale ai fini della qualificazione del rapporto tra le parti, criticamente combinato con le risultanze della prova orale (non tutta nulla, in relazione ai testi della società), con esercizio (a rinforzo probatorio sfavorevole al ricorrente) dell’art. 421 c.p.c., non viziato .
9. I motivi 3, 4 e 5, da esaminare congiuntamente per la connessione delle censure sollevate, sono tutti inammissibili perché vertono, dichiaratamente, sulla valutazione nel ‘ merito delle prove, con asserzione da parte della Corte circa il fatto che non si tratterebbe di rapporto lavoro dipendente, bensì di agenzia ‘. Essi in effetti mirano soprattutto a sindacare la valutazione probatoria in ordine all’esistenza del rapporto di agenzia piuttosto che di lavoro subordinato; la valutazione di inesistenza dell’unico centro di imputazione; l’esistenza del presupposto del licenziamento costituito sempre dalla configurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Non esiste inoltre alcuna violazione ex artt. 115 e 116 cpc e 2094 c.c., come da ordinanza n. 1229 del 17/01/2019 : ‘ In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione; ed inoltre, sentenza n. 27033 del 24/10/2018: In materia di ricorso per cassazione, l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice
di merito che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare non è mai sindacabile in sede di legittimità,
10.- Il sesto motivo con il quale si impugna il capo H) della sentenza per erroneo accoglimento della domanda avversaria di restituzione degli importi corrisposti al COGNOME in esecuzione della sentenza di merito (per euro 32.002,50 come risarcimento danni a seguito della reintegra e indennità sostitutiva, oltre interessi dal marzo 2019), sul presupposto dell’erroneo rigetto delle domande del predetto, deve essere considerato assorbito alla luce del rigetto dei motivi che precedono.
11.- Sulla scorta di quanto esposto i motivi 1, 2, 3, 4 e 5 devono essere rigettati; mentre va dichiarato assorbito il sesto. Seguono le spese processuali a carico del soccombente secondo l’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 15.5.2024
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME