Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1250 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1250 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31937-2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 335/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 17/06/2020 R.G.N. 895/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Indennità
disoccupazione agricola
R.G.N. 31937/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 13/11/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, per quanto interessa, aveva ritenuto che NOME COGNOME fosse decaduto ex art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970 dal diritto di esigere in giudizio l’indennità di disoccupazione per gli anni 2005, 2006 e 2007.
1.1. Il giudice di appello ha accertato che il ricorso era stato presentato quando era oramai decorso l’anno dalla scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo -termini da computare a decorrere dalla data di presentazione delle singole domande annuali di prestazione -e ciò sebbene l’In ps avesse poi accolto le domande (il 24.9.2012 per gli anni 2005 e 2006 ed il 2.10.2012 per l’anno 2007).
1.2. La Corte territoriale ha escluso che il termine potesse decorrere dal giudicato formatosi nel giudizio avente ad oggetto la domanda di disoccupazione agricola per l’anno 2004 ( con la sentenza n. 541 del 2010) ed ha sottolineato che la controversia non atteneva tanto al diritto del Cairone all’indennità di disoccupazione quanto piuttosto al fatto che una parte di quella indennità non poteva essere erogata in quanto, a seguito di accertamento ispettivo, era emerso che il ricorrente era proprietario di un fondo il cui fabbisogno annuo di lavoro era di novanta giornate lavorative sicché l’indennità avrebbe potuto essere riconosciuta solo per le giornate in esubero rispetto a quei novanta giorni.
1.3. Sotto altro profilo, poi, il giudice di appello ha accertato che il COGNOME era venuto meno all’onere di provare l’erroneità del calcolo della quota degli assegni familiari sull ‘indennità di disoccupazione ed inoltre, per gli assegni relativi agli anni 2000 e 2001, la statuizione del giudice di primo grado che aveva
accertato per il 2000 l’intervenuta prescrizione non era stata specificatamente impugnata.
Per la Cassazione della sentenza ricorre NOME COGNOME con tre motivi ai quali resiste l’INPS con controricorso. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni .
RITENUTO CHE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata , ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del d.p.r. n. 639 del 1970 come modificato dall’art. 38 comma 1 lett. d) del d.l. n. 98 del 2011 nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte con tale ultima norma in relazione alla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione nn. 12718 e 12720 del 2009.
3.1. Sostiene il ricorrente che trattandosi di riliquidazione di prestazione già riconosciuta alla fattispecie non si applicherebbe l’art. 47 nel testo ratione temporis vigente e che comunque nella specie era impossibile stabilire quale fosse il dies a quo dal quale far decorrere il termine.
3.2. Sottolinea che solo con la nota del 31.3.2012 era stato comunicato il riconoscimento della indennità per l’anno 2004 , con contestuale recupero di indebiti e trattenute IRPEF, e che invece l’8 agosto 2013 veniva comunicato al ricorrente che le domande relative agli anni 2005, 2006 e 2007 erano state accolte. Evidenzia, tuttavia, che nessuna somma gli era corrisposta a causa dell’avvenuto recupero di indebiti accertati e portati in compensazione.
3.3. Deduce perciò che solo da quel momento aveva avuto contezza della situazione ed aveva potuto proporre il ricorso per far valere le sue ragioni. Aggiunge inoltre che soltanto per
effetto della sentenza del Tribunale di Catania – con la quale nel 2010 era stato escluso che fosse stata offerta la prova di un presunto lavoro autonomo e di una fittizia disoccupazione – era risultata dimostrata l’illegittimità della decurtazione operata sulle indennità degli anni successivi al 2004 risultando accertata l’illegittimità della compensazione disposta.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 nel testo modificato dall’art. 38 comma 1 lett. d) del d.l. n. 98 del 2011 in relazione alla sentenza n. 69 del 2014 della Corte costituzionale.
4.1. Il ricorrente sostiene che al l’accertata inapplicabilità del l’innovato regime di decadenza ai giudizi pendenti conseguirebbe l ‘ impossibilità di ritenere applicabile tale riformulata decadenza a tutte le prestazioni che avrebbero potuto essere chieste fino alla data di entrata in vigore dell’art. 38 citato.
Con il terzo motivo di ricorso è denunciata , in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..
5.1. Ad avviso del ricorrente a fronte della produzione documentale (le buste paga e il CUD per gli anni in contestazione e la copia del registro dell’impresa datrice) era onere dell’INPS dare la prova dello svolgimento di un’attività autonoma per un numero di giorni superiori rispetto a quelli dallo stesso ricorrente dichiarati in sede di accertamento e mai specificatamente cont estati dall’Istituto.
I primi due motivi di ricorso sono infondati.
6.1. Oggetto del ricorso è la domanda di liquidazione ( rectius riliquidazione) dell’indennità di disoccupazione agricola per le annualità 2005-2007.
6.2. Ed infatti l’Inps, pur avendo accertato il diritto dell’assicurato alla prestazione, nulla ha in concreto erogato avendo posto in compensazione gli importi a tale titolo dovuti con somme già erogate e ritenute indebite.
6.3. E’ d i questo che si duole col ricorso l’assicurato che contesta il calcolo delle giornate lavorative indennizzabili e la spettanza degli assegni familiari su detti importi.
6.4. Ciò posto, ritiene il Collegio che sia corretta la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto che al momento dell’introduzione del giudizio l’assicurato fosse oramai decaduto dal potere di chiedere la riliquidazione della prestazione.
6.5. Come accertato dalla Corte di merito, infatti, nella specie il COGNOME chiese l’indennità per gli anni dal 2005 al 2007 con una ‘diffida del 2010’ mentre il ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato il 21 ottobre 2013 quando il termine annuale di decadenza dettato dall’art. 47 del d.P.R. n. 638 del 1970 e ss. mm. era oramai decorso.
6.6. Costituisce affermazione ripetuta di questa Corte quella secondo cui il termine di decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, nel testo modificato dall’art. 38 comma 1 lett. d) del d.l. n. 98 del 2011 – in applicazione dei principi enunciati dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n.15352/2015 relativa all’applicazione del termine di decadenza introdotto dal legislatore del 1997 con la legge n. 238 – si applica anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l ‘ adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito e decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte, e ciò anche con riguardo a prestazioni già liquidate ma solo a
decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione (vale a dire dal 6 luglio 2011) (cfr. tra le tante Cass. n. 30853 del 2024, n. 123 del 2022, n. 17430 del 2021, n. 28416 del 2020, n. 3580 del 2019, n. 29754 del 2019, n. 16661 del 2018 e n. 7756 del 2016).
6.7. Correttamente, perciò, la Corte di merito, applicando i suesposti principi, che vanno qui ribaditi, ha ritenuto che il signor COGNOME – che affermava proprio che l’ oggetto del giudizio era il ricalcolo di un trattamento di pensione già riconosciuto (rectius di disoccupazione agricola) -alla data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio il 21.10.2013 era decaduto dal potere di chiedere la riliquidazione della prestazione, decorrendo il termine dal riconoscimento parziale della prestazione o dal pagamento della sorte capitale (cfr. Cass. n. 12400 del 2024) e dunque, come accertato dal giudice di merito, dal provvedimento che per gli anni 2005 e 2006 era del 24 settembre 2012 e, per l’anno 2007, era del 2 ottobre 2012.
Il terzo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile poiché sotto la veste di una violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. si sollecita in realtà un diverso esame delle emergenze istruttorie.
7.1. Premesso che la Corte ha fatto corretta applicazione degli oneri probatori è appena il caso di ricordare che si configura la violazione dell’art. 2697 c.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. Per dedurre invece la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa
fuori dei poteri officiosi riconosciutigli. In sostanza non può porsi una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione ad una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. tra le altre Cass. n. 27000 del 2016, n. 1299 del 2019 e n. 6774 del 2022).
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 3.00,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del c itato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2024