Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34887 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34887 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16985-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 190/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/04/2022 R.G.N. 1291/2021;
Oggetto
COGNOME
Decadenza
Art 47, co. 3, d.P.R.
639/1970
R.G.N. 16985/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 31/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/10/2024 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto la domanda dell’odierno controricorrente volta alla corresponsione della prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (c.d. NASpI), rifiutatagli dall’INPS in sede amministrativa per non avere egli comunicato nei trenta giorni dalla data della domanda la carica di amministratore unico di società nonché il reddito da essa presuntivamente derivante.
Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. Ha resistito con controricorso la parte privata. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, sul rilievo che l’Istituto, successivamente al deposito della sentenza d’appello, avrebbe «accolto la domanda» con provvedimento dell’11 maggio 2022, così dimostrando acquiescenza al provvedimento, invece, successivamente impugnato.
L’eccezione è infondata.
La condotta dell’Istituto ha un valore assolutamente neutro, in presenza di una sentenza di appello, immediatamente esecutiva, che ha condannato l’Istituto a corrispondere la prestazione qui in discussione.
Si rammenta che « la spontanea esecuzione della sentenza immediatamente esecutiva, pur se non accompagnata da specifica riserva, non può considerarsi atto assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione» (cfr., tra le altre, Cass. 6258 del 2019 ).
7.Passando, pertanto, all’esame delle censure, con il primo motivo l’INPS deduce la decadenza annuale dell’azione ex art. 47, comma 3, d.P.R. nr. 639 del 1970.
Il motivo è fondato.
È indubbio che la decadenza di cui all’art. 47, comma 3, del d.P.R. cit. trovi applicazione anche alla prestazione NASpI, come ad ogni altra prestazione «a carattere temporaneo, diversa dalle pensioni» della gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti di cui alla legge nr. 88 del 1989, art. 24 (con riferimento alla operatività della decadenza in relazione all’indennità di disoccupazione, tra le altre, Cass. nr. 20369 del 2023).
Si tratta di una decadenza di ordine pubblico, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, con il solo limite del giudicato interno e, in sede di legittimità, della non necessità di accertamenti di fatto (in argomento, per tutte, Cass. nr. 24750 del 2022).
Nel caso di specie, non vi sono ostacoli al rilievo di ufficio: la questione non è affrontata nei precedenti gradi di giudizio e gli elementi di fatto necessari alla sua delibazione risultano dalla sentenza impugnata. Risulta, in particolare, che la domanda amministrativa è stata presentata il 31 marzo 2016 mentre il ricorso giudiziario è stato depositato il 5 febbraio 2018.
Nella fattispecie concreta, il dies a quo del termine annuale decorre «dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati
a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione» , ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 47, comma 2, ultima parte, del d.P.R. nr. 639 del 1970.
Pertanto, al momento della domanda giudiziale (il 5 febbraio 2018) il termine complessivo di un anno e 300 giorni, calcolato dalla richiesta di prestazione (il 31 marzo 2016), era decorso.
È il caso di precisare, in ragione delle osservazioni del controricorrente, che il termine di trecento giorni non è suscettibile di essere in alcun modo prolungato, quale che sia la condotta delle parti. Sul suo decorso non può incidere né il privato, con un ricorso amministrativo tardivo, né l’Inps con una decisione anche essa tardiva (in argomento, in motivazione, Cass. nr. 28671 del 2024). Finanche l’indicazione dell’Istituto di termini erronei di impugnazione, cui la parte privata si sia conformata, non esclude l’obiettiva circostanza dell’avvenuta decadenza, che opera de jure (Cass. nr. 40780 del 2021), potendo, al più, nella ricorrenza dei relativi presupposti, assumere rilievo ai fini risarcitori in conseguenza dell’affidamento erroneamente ingenerato nell’assicurato.
In conclusione, accolto il primo motivo, assorbito il secondo (relativo al merito della pretesa) la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari, per quanto già sopra osservato, ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso.
Le spese dell’intero processo vanno compensate, in ragione del rilievo officioso, solo in sede di legittimità, della questione di decadenza.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del