Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29924 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29924 Anno 2025
Presidente: TRICOMI IRENE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
Oggetto
RNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/09/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 17081-2021 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
nonché contro
REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 510/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/12/2020 R.G.N. 814/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Rimini ha respinto il ricorso proposto da NOME COGNOME con il quale ha chiesto l’accertamento dell’illegittimità dei termini apposti ai contratti dalla stessa conclusi con la Provincia di Rimini prima e la Regione Emilia Romagna successivamente nonché con soggetti interposti (RAGIONE_SOCIALE), con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con la Regione e reintegra nel rapporto ovvero stabilizzazione nei ruoli e condanna al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del c.d. danno comunitario.
Il Tribunale ha accolto, previo rigetto dell’eccezione di incostituzionalità degli artt. 32 L. 183/2010 e 28 D.Lgs. 81/2015, l’eccezione di decadenza rilevando che la comunicazione del 9/2/2018, priva peraltro del contenuto necessario a render nota alla controparte la volontà del lavoratore di impugnare i contratti a termine, fosse di molto successiva allo scadere dei termini previsti dalle succitate norme, atteso che l’ultimo contratto con la società RAGIONE_SOCIALE era cessato in data 30/4/2016.
La Corte di Appello di Bologna ha respinto il gravame proposto dalla lavoratrice confermando la sentenza di primo grado.
La Corte distrettuale, previo rigetto della reiterata questione di costituzionalità, ha rilevato da un lato che l’ultimo contratto concluso dalla appellante era successivo di oltre otto mesi dalla cessazione del precedente denotando un’effettiva soluzione di continuità tra i diversi rapporti di lavoro aventi peraltro diverso contenuto con conseguente tardività della comunicazione di
impugnazione, dall’altro lato che la predetta comunicazione, come osservato correttamente dal Tribunale, era volta ad ottenere il pagamento di differenze retributive contenendo una mera ‘riserva’ ad impugnare i contratti intercorsi fra le parti. In ordine alla applicabilità dell’art. 80 bis del D.L. 34/2020 la Corte d’Appello ha rilevato che «non se ne coglie l ‘utilità al caso di specie: se si vuole così affermare che il rapporto non si è validamente risolto perché l ‘atto risolutivo non è imputabile al soggetto che ha ricevuto la prestazione, va ugualmente rilevato che la tesi presuppone comunque la previa statuizione di illegittimità dei contratti di somministrazione (a questa ipotesi si riferisce, infatti, l ‘art. 38 cit.), preclusa, come visto, dalla mancata tempestiva impugnazione» (pagina 5 della sentenza).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice con tre motivi cui hanno resistito con analoghi controricorsi la Provincia di Rimini e la Regione Emilia Romagna.
Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 4, lett. d l. 183/2010 in relazione all’individuazione del dies a quo di impugnazione rispetto a un complessivo rapporto di lavoro costituito da più contratti c.d. precari (art. 360, 1° c., n.3 c.p.c.)”.
Ad avviso della ricorrente il dies a quo per l’applicazione dei termini di decadenza introdotti dall’art. 32 comma 4 della L.n. 183/2010 dovrebbe essere individuato nel termine del “complessivo rapporto”; tale interpretazione della norma sarebbe l ‘unica costituzionalmente conforme agli artt. 3, 4 e 24 Cost..
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 80 bis, d l. 34/2020 in relazione all’individuazione del dies a quo di impugnazione rispetto alla fattispecie di intermediazione illecita di manodopera (art. 360, 1° c., n.3 c.p.c.).
Si assume che la Corte di appello non avrebbe tenuto in debito conto il disposto di cui all’art. 80 bis del D.L. 34/2020, segnalato al Collegio in occasione dell’udienza di discussione. Si contesta in particolare la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui ha rilevato quanto segue « non se ne coglie l ‘utilità al caso di specie: se si vuole così affermare che il rapporto non si è validamente risolto perché l ‘atto risolutivo non è imputabile al soggetto che ha ricevuto la prestazione, va ugualmente rilevato che la tesi presuppone comunque la previa statuizione di illegittimità dei contratti di somministrazione (a questa ipotesi si riferisce infatti l ‘art. 38 cit.), preclusa, come visto, dalla mancata tempestiva impugnazione”».
Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata sarebbe incorsa in una evidente contraddizione tautologica in quanto «l’applicazione o meno della norma decadenziale – e del conseguente onere di impugnazione – dipenderebbe dall’esame dell’illegittimità della somministrazione e/o dell’appalto; esame che, tuttavia, sarebbe precluso …. dalla mancata tempestiva impugnazione».
Tale interpretazione si risolverebbe in una implicita abrogazione dell’art. 38 D.Lgs . 81/2015 che ha sancito la giuridica inesistenza del licenziamento comminato dal soggetto interposto.
Con il terzo ed ultimo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione delle clausole 4 e 5 della Direttiva
1999/70/CE e della Direttiva 2008/140/CE in relazione all’applicazione di un termine di decadenza che ne impedisca l’effettiva applicazione (art. 360, c. 1, n.3 c.p.c.).
Si censura la sentenza nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto che l ‘intervenuta decadenza assorbisse la domanda relativa al risarcimento del c.d. danno comunitario «che presuppone comunque l ‘accertata invalidità dello strumento contrattuale».
La Corte di merito avrebbe dovuto disapplicare la norma che sancisce la decadenza nella misura in cui si pone in contrasto con la normativa comunitaria, eludendone in concreto la applicazione a fini di tutela del lavoratore.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi
Il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Ciò posto, le due censure all’esame di questa Corte non si confrontano con il decisum della Corte territoriale laddove la stessa pone a fondamento della decisione di rigetto delle domande non solo la tardività dell’impugnazione dei licenziamenti via via succedutisi, ma altresì inidoneità del contenuto della comunicazione del 9/2/2018 a render nota al
datore di lavoro la volontà del lavoratore di impugnare i contratti a termine, come osservato anche dal Tribunale, essendo la stessa volta ad ottenere il pagamento di differenze retributive, contenendo una mera ‘riserva’ ad impugnare i contratti intercorsi fra le parti.
Tale ratio decidendi , da sola sufficiente a sostenere il decisum, non è stata aggredita dalla ricorrente con conseguente inammissibilità delle censure concentrate esclusivamente sulla parte di sentenza che ha affermato la tardività dell’impugnazione del licenziamento.
6. Anche il secondo motivo è inammissibile nella misura in cui non aggredisce la sentenza che ha affermato la necessità della previa impugnazione dei contratti di somministrazione al fine di poter ritenere applicabile la norma di cui all’art. 80 bis del D.L. 34/2020. La Corte ha ritenuto correttamente non operante tale disposizione al caso di specie nella misura in cui, laddove si voglia affermare che il rapporto non si è validamente risolto perché l ‘atto risolutivo non è imputabile al soggetto che ha ricevuto la prestazione, la operatività della stessa presuppone, comunque, la previa statuizione di illegittimità dei contratti di somministrazione (a questa ipotesi si riferisce infatti l ‘art. 38 cit.), preclusa, come visto, dalla mancata tempestiva impugnazione degli stessi.
Tale motivazione non assume alcun carattere tautologico, ma piuttosto logico e conseguenziale per l’applicabilità della norma in tema di impugnazione dei licenziamenti.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al rimborso di complessivi € 3.500,00 a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfettario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 09/09/2025.
Il Presidente NOME COGNOME