Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4844 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4844 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9655/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, pec EMAIL), COGNOME NOME (c. f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL)
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME quale erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonché contro
NOME COGNOME quale coerede di COGNOME NOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2860/2020 depositata il 2/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME, nelle persone di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Rovigo NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo la condanna al pagamento delle quote di spettanza del risarcimento del danno dovuto da NOME COGNOME, del quale le convenute erano eredi. Esposero di avere, con precedente atto di citazione notificato impersonalmente agli eredi, chiesto ai sensi de ll’art. 1669 c.c. la condanna al risarcimento del danno cagionato dal COGNOME quale progettista e direttore dei lavori relativi all’immobile da essi acquistato e che solo alcuni eredi si erano
costituiti in giudizio, condannati dapprima all’integrale risarcimento, e poi per la quota ereditaria di spettanza in appello. Il Tribunale adito rigettò la domanda, reputando non opponibile alle convenute la statuizione di condanna emessa nei confronti degli altri eredi per non essere stato correttamente instaurato il contraddittorio nei confronti delle convenute alla luce della notifica dell’atto impersonalmente agli eredi. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. Con sentenza di dat a 2 novembre 2020 la Corte d’appello di Venezia accolse l’appello, condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, la prima al pagamento della somma di Euro 22.462,29 e la seconda al pagamento della somma di Euro 14.974,86, oltre interessi.
Premise la corte territoriale che l’appello superava il vaglio di cui all’art. 342 c.p.c. poiché esplicitava i contenuti del nuovo giudizio richiesto, mediante la prospettazione delle modifiche da apportare ed il riferimento alla violazione delle norme pertinenti. Osservò quindi, per quanto qui rileva, che la domanda non era stata correttamente interpretata con il circoscriverla al mero recepimento della precedente sentenza, che il contenuto sostanziale della pretesa era quello della condanna, pro quota , delle appellate al pagamento del residuo importo del danno subito a causa della non conforme condotta professionale del loro dante causa, ciò che peraltro consentiva di ritenere parimenti infondata la pretesa patologia invalidante della domanda, la quale, alla stregua del compendio probatorio, ed in particolare l’accertamento tecnico preventivo, meritava accoglimento.
Aggiunse che dovevano essere disattese, in difetto di più specifici rilevi da parte delle eccipienti, le eccezioni di decadenza e prescrizione, avuto riguardo alla comparazione delle date di deposito degli accertamenti tecnici preventivi in contraddittorio con il dante causa e quelle di introduzione dei giudizi, interruttivi dei termini prescrizionali, anche in ragione di un diverso inquadramento giuridico della
fattispecie. Osservò ancora che l’assenza della volontà di avvalersi di termini prescrizionali e decadenziali da parte degli ulteriori eredi, unitamente alla notifica della domanda agli eredi impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto, convergevano, stante la sussistenza dunque di validi atti interruttivi, per l’infondatezza di tali eccezioni, ‘in disparte la circostanza che le stesse appellate, contestando nel merito la domanda attorea, hanno peraltro manifestato una volontà contrastante con le ecce zioni sollevate’.
Hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso la parte intimata tranne NOME, quale coerede di COGNOME NOME . E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. Sia le ricorrenti che i controricorrenti hanno presentato memorie.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 1669 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, rispetto alla eccezione di decadenza dalla garanzia sollevata sia nella comparsa di primo grado che in quella di appello, oltre che nelle udienze di precisazione delle conclusioni in entrambi i gradi, nulla è stato dedotto dalla controparte, cui incombeva l’onere della prova della tempestiva denuncia. Aggiunge che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del merito, non vi è stata rinuncia alla eccezione di decadenza del termine e che la notifica dell’atto di citazione impersonalmente agli eredi non è idonea ad impedire la decadenza.
Il motivo è inammissibile. Esso contiene tre censure. La prima riguarda la violazione della regola di riparto dell’onere probatorio quanto all’invio di tempestiva denuncia del vizio di costruzione. Al riguardo va rammentato che le regole sull’onere della prova sono disposizioni di giudizio residuali rispetto al principio di acquisizione
probatoria – secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono alla formazione del libero convincimento del giudice (non condizionato dalla loro provenienza) – e trovano, dunque, applicazione solo in presenza di un fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle emergenze probatorie (da ultimo Cass. n. 9863 del 2023). Il giudice del merito ha positivamente accertato l’intervento di tempestiva denuncia, valorizzando la data di deposito degli accertamenti tecnici preventivi e quelle di introduzione dei giudizi, per cui la regola sull’onere della prova non viene in rilievo.
Con la seconda censura si afferma che non vi sarebbe stata rinuncia alla eccezione di decadenza. Trattasi di censura che non intercetta la ratio decidendi , avendo al riguardo la corte territoriale fatto sul punto la seguente precisazione: ‘in disparte la circostanza che le stesse appellate, contestando nel merito la domanda attorea, hanno peraltro manifestato una volontà contrastante con le eccezioni sollev ate’. Tale ‘volontà’ è stata richiamata ‘in disparte’, e dunque non in funzione di motivo portante della decisione, ed anche se lo fosse, la ritenuta tempestività della denuncia dei vizi costituisce autonoma ratio decidendi in grado di sostenere la sentenza, da cui comunque la non decisività della censura.
Infine, quanto al rilievo che la notifica dell’atto di citazione impersonalmente agli eredi non sarebbe idonea ad impedire la decadenza, deve premettersi che, secondo la giurisprudenza, ai fini della interruzione della prescrizione l’esigenza di una rigorosa individuazione del destinatario dell’atto interruttivo, essendo tale rigore formale estraneo allo spirito dell’art. 2943, ultimo comma, cod. civ., deve escludersi con riguardo agli eredi del debitore defunto, la cui individuazione discende dalla relativa delazione ereditaria. Ne consegue che anche alla semplice lettera, indirizzata collettivamente ed impersonalmente agli eredi del debitore esattamente individuato, con cui il creditore manifesti la volontà di conseguire il soddisfacimento
del suo credito, può riconoscersi l’effetto interruttivo della prescrizione, sempreché risulti in concreto che siffatta manifestazione di volontà sia giunta a conoscenza dei detti destinatari (Cass. n. 6243 del 1987; si veda anche Cass. n. 17868 del 2007).
Nel caso di specie l’accertamento del giudice del merito deve ritenersi sia stato nel senso che l’atto notificato impersonalmente agli eredi è giunto a loro conoscenza, avendo rilevato la validità degli atti interruttivi, in rapporto alle date di deposito degli accertamenti tecnici preventivi, né risulta proposta dalle ricorrenti una denuncia di vizio motivazionale tale da contrastare il suddetto accertamento di fatto.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1669 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che al momento in cui fu promossa l’odierna azione il diritto era prescritto in applicazione del secondo ed ultimo comma dell’art. 1669, senza che dalla controparte siano state opposte prove di segno contrario.
Il motivo è inammissibile. La censura non intercetta la ratio decidendi , ed è pertanto priva di decisività, perché non coglie che la corte territoriale ha disatteso l’eccezione di decadenza dalla garanzia e di prescrizione sulla base, reputata determinante, delle date degli accertamenti tecnici preventivi, rispetto ai quali è stata ritenuta tempestiva, ai fini che qui rilevano, la notifica degli atti introduttivi dei giudizi. Quanto alla questione dell’onere probatorio, si richiama quanto osservato a proposito del precedente motivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 164, comma 4, cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che nel ricorso introduttivo si denunciano quali vizi ai sensi dell’art. 1669 c.c. le numerose crepe e distacco di cornicione dall’immobile in questione, richiamando gli atti del primo processo confluito nella condanna dei coeredi, atti non conosciuti dalle
ricorrenti, e che pertanto, essendo i diritti di credito diritti eterodeterminati, la domanda originaria era priva dell’esposizione dei fatti costitutivi della domanda, senza che a tale vizio potessero supplire le produzioni documentali.
Il motivo è infondato. L’assenza del requisito delle ragioni di fatto della domanda avrebbe rilievo, secondo le ricorrenti, in relazione al parametro del diritto eterodeterminato che caratterizza il diritto di credito, per cui, in carenza del fatto costitutivo, tale diritto non sarebbe identificabile. Proprio quanto risulta indicato nel motivo contraddice questa conclusione. Nel motivo si afferma che nel ricorso introduttivo si denunciano quali vizi ai sensi dell’art. 1669 c.c. le numerose crepe e distacco di cornicione dall’immobile in questione. In relazione al diritto di credito dedotto in giudizio il fatto allegato è sufficiente, alla luce del criterio dell’eterodeterminazione, per la identificazione e differenziazione del diritto da altri diritti di credito che, per ipotesi, la parte attrice possa in astratto far valere.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 342 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che i due motivi di appello, il primo denunciante che la sentenza di condanna dei coeredi era soltanto un documento valutabile liberamente dal giudice, il secondo che il Tribunale non aveva valutato le risultanze istruttorie dell’altro processo, sono privi di valenza assertiva, non essendo indicati i fatti concretanti la responsabilità del geometra COGNOME.
Il motivo è infondato. L’appello deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo
grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (da ultimo Cass. n. 36481 del 2022).
La denuncia che la sentenza di condanna dei coeredi era soltanto un documento valutabile liberamente dal giudice, e non un atto giurisdizionale opponibile alle appellate, e la mancata valutazione delle risultanze istruttorie del primo processo, costituiscono chiara individuazione delle ragioni di critica della decisione ed anche un sufficiente contrasto della ragione decisoria di primo grado, per la quale il rigetto della domanda trovava giustificazione nella circostanza che la prima sentenza non sarebbe stata opponibile alle convenute.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 19 dicembre 2023