Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 127 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 127 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2025
Oggetto: Pubblico impiego -direttore generale sanità – mancato raggiungimento obiettivi salute e funzionamento servizi recesso anticipato – sopravvenuto stato di quiescenza
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Consigliere rel. –
Consigliere –
Consigliere –
Consigliere –
SENTENZA
sul ricorso 19910-2021 proposto da:
REGIONE ABRUZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende, ope legis ;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, con diritto di ricevere le comunicazioni all ‘ indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 303/2021 della CORTE D ‘ APPELLO di L ‘ AQUILA, depositata il 06/05/2021 R.G.N. 538/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l ‘ avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME era stato nominato direttore generale della ASL di Pescara con d.G.R. n. 119 del 29/2/2016 ed aveva sottoscritto in pari data il relativo contratto di prestazione d ‘ opera con fissazione degli obiettivi di cui all ‘ allegato B alla medesima delibera del d.G.R. e del trattamento economico.
Dopo una positiva valutazione per i primi 18 mesi dell ‘ incarico, all ‘ esito della procedura di valutazione, ai sensi dell ‘ art. 3 bis, comma 7 bis, del d.lgs. n. 502/1992, per il periodo 1/9/2017-28/2/2019, era stato dichiarato decaduto dall ‘ incarico per mancato conseguimento degli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi.
Il COGNOME aveva quindi agito in giudizio innanzi al Tribunale di Pescara per ottenere l ‘ accertamento dell ‘ illegittimità degli atti che avevano disposto la sua decadenza – d.G.R. n. 544/2019 e n. 356/2019 (presupposto della prima) – ed il risarcimento del danno pari agli emolumenti che ordinariamente avrebbe conseguito se il contratto fosse scaduto naturalmente decorsi cinque anni dalla nomina.
Il Tribunale, preliminarmente affermata la giurisdizione del Giudice ordinario, ha accolto le domande del ricorrente e condannato la Regione Abruzzo al pagamento in suo favore della somma di euro 193.155,36 a titolo di emolumenti che avrebbe normalmente percepito se il contratto fosse scaduto naturalmente decorsi cinque anni dalla nomina.
La Corte d ‘ appello di Ancona, ribadita la giurisdizione del G.O., confermava la pronuncia di prime cure.
Riteneva che fosse mancata prova da parte dell ‘ ASL dell ‘ inadempimento contrattuale.
Rilevava che il direttore generale, svolgendo un ‘ attività intellettuale ex art. 2230 cod. civ., era tenuto all ‘ adempimento di una determinata prestazione, non al raggiungimento di un certo risultato, per cui l ‘ inadempimento doveva essere valutato con i criteri di cui all ‘ art. 1176, comma 2, cod. civ., quantunque il risultato non fosse stato conseguito.
Assumeva che il mancato conseguimento degli obiettivi e di funzionamento dei servizi doveva essere valutato come ascrivibile al COGNOME solo nell ‘ ipotesi in cui quest ‘ ultimo, nella prestazione della sua attività, non si fosse colposamente attenuto agi ordinari compiti di diligenza.
Quanto, in particolare, all ‘ obiettivo salute B1, rilevava che il mancato raggiungimento dello stesso era stato motivato dalla Regione con il fatto che la rendicontazione era stata effettuata dall ‘ ASL di Pescara con una periodicità annuale in luogo di quella prevista trimestrale.
Quanto all ‘ obiettivo salute B2, evidenziava che, a fronte di una valutazione che avrebbe dovuto abbracciare l ‘ intero periodo 2017-2019, i dati statistici presi in considerazione nella procedura valutativa erano stati solo quelli relativi al 2017 ed inoltre che la mancata attribuzione del punteggio era stata motivata sulla base di un mero raffronto di dati statistici, senza alcuna analisi sulle ragioni di una imputabilità del dato finale all ‘ operato del Mancini.
La Corte territoriale disattendeva, poi, la doglianza dell ‘ ASL di Pescara volta a sostenere che il direttore generale sia soggetto ad una responsabilità di risultato con la conseguenza che in caso di inadempimento è responsabile indipendentemente dalla colpa: la responsabilità è da intendersi in senso oggettivo ed è esclusa solo nelle ipotesi di impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile.
Secondo i Giudici d ‘ appello non si doveva confondere l ‘ automatismo previso per la valutazione della gravità dell ‘ inadempimento e per l ‘ applicazione ipso iure dell ‘ effetto decadenziale, con l ‘ accertamento (niente affatto automatico) dei presupposti di fatto sottesi e, in particolare, con l ‘ accertamento della sussistenza di una condotta inadempiente del D.G., accertamento da condursi secondo le ordinarie regole civilistiche.
Infine, respingeva il motivo di impugnazione dell ‘ ASL secondo cui il COGNOME, già dirigente medico dell ‘ ASL di Pescara era stato collocato in pensione anticipata a domanda dopo due mesi dal conferimento dell ‘ incarico di direttore generale, rilevando che la previsione di cui all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 fa divieto di attribuire incarichi dirigenziali a chi sia già collocato in quiescenza e il COGNOME non era in pensione al momento del conferimento.
Avverso tale sentenza la Regione Abruzzo ha proposto ricorso affidandolo a quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi in materia di riparto di giurisdizione in relazione all ‘ art. 360, n. 1 comma 4, cod. proc. civ. -giurisdizione del Giudice amministrativo anziché del Giudice ordinario.
Sostiene che la Corte territoriale abbia (erroneamente) ritenuto non sussistente la giurisdizione del G.A., sebbene le contestazioni del direttore generale sull ‘ impugnata decadenza afferissero direttamente (e non in via mediata) ai provvedimenti regolamentari che avevano disciplinato il sistema di valutazione dei direttori generali dell ‘ ASL e l ‘ assegnazione degli obiettivi.
Si deve preliminarmente dare atto che questa sezione semplice è legittimata alla piena decisione ai sensi dell ‘ art. 360, n. 1, cod. proc. civ. sulle questioni di giurisdizione in materia di pubblico impiego, in forza di decreto di assegnazione del Primo Presidente in data 10-14 settembre 2018.
2.1. Tanto precisato il motivo è infondato.
Si discute, nella presente fattispecie, della decadenza dall ‘ incarico ai sensi dell ‘ art. 3 bis , comma 7 bis del d.lgs. n. 502/1992.
Nel caso in esame il petitum è costituito dal risarcimento del danno per la carenza dei presupposti per la decadenza della cui delibera è chiesta la declaratoria di ‘ illegittimità/nullità’ non già in via diretta e principale, ma in funzione della condanna della Regione Abruzzo al suddetto risarcimento del danno.
2.2. In tema di decadenza dall ‘ incarico del direttore generale di un ‘ azienda sanitaria ai sensi del d.lgs. 20 dicembre 1992, n. 502, art. 3 bis , comma 7, modificato dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 poi abrogato dall ‘ art. 9, comma 1, del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 171 questa Corte ha già affermato che si tratta di una situazione equiparabile alla risoluzione per inadempimento che coinvolge posizioni di diritto soggettivo inerenti ad un contratto di diritto privato, rispetto alle quali non è prospettabile l ‘ esercizio di poteri autoritativi della p.a. (v. per tutte Cass., Sez. Un., 5 aprile 2000, n. 107, Cass., Sez. Un., 28 luglio 2004 n. 14177; Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2011, n. 1767; Cass., Sez. Un., 3 febbraio 2016, n. 2055; Cass., Sez. L, 5 luglio 2007, n. 15152 insieme ad altri precedenti, i quali fanno riferimento alla disciplina di identico tenore contenuta nell ‘ art. 3, comma 6, dello stesso d.lgs. n. 502/1992 anteriormente alle modifiche apportatevi dal d.lgs. n. 229/1999 con l ‘ introduzione dell ‘ art. 3bis ).
La giurisprudenza di questa Corte, è, dunque, da tempo attestata nell ‘ affermare che le controversie concernenti la declaratoria di decadenza del direttore generale dell ‘ Azienda sanitaria locale,
pronunciata per gravi motivi o quando la gestione aziendale presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o di principi di buon andamento e di imparzialità dell ‘ amministrazione, ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario. In tali ipotesi è ascrivibile la fattispecie disciplinata dal citato art. 3bis , comma 7, del d.lgs. n. 502/1992 (« Quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione, la regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e provvede alla sua sostituzione; in tali casi la regione provvede previo parere della Conferenza di cui all ‘ art. 2, comma 2-bis , che si esprime nel termine di dieci giorni dalla richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione del contratto può avere comunque corso. Si prescinde dal parere nei casi di particolare gravità e urgenza »).
Anche il Giudice amministrativo ha sancito che è devoluta alla cognizione del Giudice ordinario la controversia relativa al provvedimento di decadenza dall ‘ incarico, adottato a norma dell ‘ art. 3 bis , comma 7, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, il quale si riferisce a specifiche inadempienze contrattuali del rapporto di lavoro e coinvolge posizioni di diritto soggettivo (così Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2006, n. 5736; Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2012, n. 3352).
2.3. Non è diversa la situazione prevista dall ‘ art. 3 bis , comma 7 bis , inserito dall ‘ art. 1, comma 567, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (« 7-bis. L ‘ accertamento da parte della regione del mancato conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali costituisce per il direttore generale grave inadempimento contrattuale e comporta la decadenza automatica dello stesso »), trattandosi anche in questo caso di decadenza prevista in ragione del verificarsi di determinate condizioni (nel caso del comma 7 il grave disavanzo ovvero la violazione di legge o dei principi di buon andamento o di imparzialità; nel caso del comma 7 bis il mancato conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione 3 bis , comma 7 bis , d.lgs. 502/1992, degli artt. 3, comma 6, 3 bis commi 5, 6 e 8 d.lgs. n. 502/1992, del d.lgs. n. 171/2016, degli artt. 1176, 2119, 2222, 2230 cod. civ., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Assume che la Corte d ‘ appello ha errato nel ritenere che il requisito della colpa in capo a controparte sia imprescindibile al fine di ritenere integrata la fattispecie normativa di cui all ‘ art. 3 bis , comma 7 bis , d.lgs. n. 502/1992.
Evidenzia che già dalla lettera della norma si evince che l ‘ obbligazione in capo al direttore generale è di risultato e non di mezzi e che è introdotta un ‘ ipotesi di responsabilità oggettiva.
Il motivo è infondato.
4.1. Come condivisibilmente evidenziato dal Procuratore generale, stante la natura del rapporto, va fatta applicazione, nel caso in esame, degli artt. 1453-1456 cod. civ. ai fini dell ‘ imputabilità soggettiva dell ‘ inadempimento e della conseguente risoluzione.
Ed infatti il rapporto del direttore generale dell ‘ ASL è configurabile come rapporto di lavoro autonomo di diritto privato e in tal senso dispone l ‘ art. 3 bis del d.lgs. n. 502/1992 secondo cui tale rapporto di lavoro « è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato stipulato in osservanza delle norme del titolo III del libro V del codice civile », ossia secondo le disposizioni del lavoro autonomo di cui agli artt. 2222 e ss. cod. civ. così come precisato anche dall ‘ art. 1 del d.P.C.M. n. 502/1995, testo originario (rapporto invero temperato da una serie di disposizioni che ne rafforzano – direttamente o indirettamente – la vocazione irrimediabilmente pubblicistica – si pensi all ‘ art. 3bis , commi 10 e 14, del d.lgs. n. 502/1992 – ma che, tuttavia, mantiene l ‘ iniziale assetto).
In tal senso si è espresso anche questo giudice di legittimità (v. Cass. 21 agosto 2004, n. 16519 secondo cui, ai sensi dell ‘ art. 3 del
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d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dal d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 e come successivamente ribadito dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, il rapporto di lavoro del direttore amministrativo dell ‘ Azienda Unità Sanitaria Locale che, al pari di quello del direttore generale e del direttore sanitario, che deve essere regolato da contratto di diritto privato, non può essere altro che di lavoro autonomo, avendo il legislatore espresso un ‘ opzione per un modello di rapporto diverso da quello di pubblico impiego, rimarcando così l ‘ assenza di inserimento organico del lavoratore nell ‘ organizzazione dell ‘ ente finalizzata alla sburocratizzazione delle strutture apicali delle AUSL, e, non contenendo il predetto decreto legislativo n. 502/1992 alcuna norma che contraddica alla definizione legislativa, deve escludersi la possibilità di costituzione di rapporti di lavoro subordinato che, se stipulati, sarebbero invalidi; si veda anche la più recente Cass. 18 luglio 2024, n. 19823).
4.2. Così ricostruita la tipologia del rapporto ed involgendo la prestazione cui è tenuto il direttore generale una attività di opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), l ‘ inadempimento non può essere desunto ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira l ‘ altro contraente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell ‘ attività e, in particolare, del dovere della diligenza, per il quale trova applicazione il parametro della diligenza professionale fissato dall ‘ art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurarsi alla natura dell ‘ attività esercitata.
Certo il direttore generale dell ‘ Azienda quando sottoscrive il contratto si impegna ad ispirare la propria azione al perseguimento degli obiettivi assegnati, al rispetto dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell ‘ amministrazione, nonché alla corretta ed economica gestione delle risorse attribuite e la sua azione deve essere costantemente volta al miglioramento dell ‘ efficienza, efficacia e funzionalità dei servizi sanitari.
Tuttavia, non per ciò solo dal mancato conseguimento di detti obiettivi consegue automaticamente l ‘ inadempimento fonte di risoluzione ( melius decadenza).
Il mancato raggiungimento del risultato può soltanto costituire danno consequenziale alla non diligente prestazione, alla non sapiente gestione delle risorse, alla colpevole omissione dell ‘ attività connesse ad una efficiente organizzazione dell ‘ apparato amministrativo, rimesse al dirigente.
La stessa ricostruzione della posizione giuridica soggettiva come sopra riportata e la più volte affermata equiparabilità del recesso anticipato alla risoluzione per inadempimento che coinvolge situazioni di diritto soggettivo inerenti ad un contratto di diritto privato rendono evidente che di inadempimento deve trattarsi (ancorché sia il legislatore a definirlo grave) e che lo stesso rileva solo in quanto imputabile, con tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi.
4.3. Va dunque disattesa la tesi della ricorrente secondo cui il mancato raggiungimento degli obiettivi del direttore generale integra una responsabilità indipendentemente dalla colpa, avendo il legislatore configurato una ipotesi di responsabilità oggettiva ‘in considerazione della rilevanza del bene giuridico salute che viene in rilievo in conseguenza dell ‘attività gestionale in questione’ – v. pag. 45 del ricorso -).
Tale responsabilità oggettiva è estranea alla configurazione del rapporto del direttore generale nei termini sopra evidenziati essendo diversi e non confondibili l ‘ automatismo previsto per la valutazione della gravità dell ‘ inadempimento e per l ‘ applicazione ipso iure dell ‘ effetto decadenziale con l ‘ accertamento (per nulla automatico) dei presupposti di fatto sottesi e, in particolare della sussistenza di una condotta inadempiente.
Solo una volta accertato l ‘ inadempimento del direttore generale per il mancato raggiungimento degli obiettivi, alla stregua dei principi
civilistici, può darsi ingresso alla presunzione di gravità che comporta la sanzione della decadenza.
Nello specifico, esclusa la possibilità di individuare una ipotesi di responsabilità oggettiva, correttamente è stata rilevata l ‘ assenza di imputabilità soggettiva dell ‘ inadempimento (si veda, sul punto, quanto evidenziato a pag. 12 della sentenza impugnata: ‘poiché l ‘ inadempimento non può essere desunto esclusivamente dal mancato raggiungimento del risultato utile auspicato, ma soltanto da una specifica responsabilità imputabile al direttore generale, nella fattispecie non è stata fornita prova alcuna che l ‘ asserito mancato raggiungimento degli obiettivi salute auspicati possa essere dipeso, e per quali ragioni, da una attività gestionale del direttore generale non connotata da ordinaria diligenza’).
4.4. Senza dire che, con accertamento in fatto non rivedibile in questa sede di legittimità, la sentenza impugnata, confermando quella del Tribunale, ha rilevato incongruenze circa la valutazione dell ‘ oggettivo mancato conseguimento degli obiettivi di salute (B1 e B2).
Così, in particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che la mancata attribuzione del punteggio in riferimento alla rendicontazione periodica circa l ‘obiettivo di Salute di B1 (‘Controlli in materia di appropriatezza e legittimità delle prestazioni sanitarie’) non aveva tenuto conto che solo per gli anni 2015 e 2016 era stata stabilita, in via derogatoria, una periodicità trimestrale di tale rendicontazione mentre la stessa avrebbe dovuto avere la periodicità annuale prevista in via ordinaria (e del resto il COGNOME aveva ottenuto il punteggio massimo previsto proprio in relazione al periodo in cui, secondo la Regione, la rendicontazione – diversamente da quanto avvenuto – avrebbe dovuto avere una periodicità trimestrale).
Inoltre, con riguardo all ‘obiettivo di salute B2 (‘Mobilità sanitaria’), il raffronto operato dalla Regione Abruzzo non aveva riguardato, come avrebbe dovuto, il periodo oggetto di valutazione
(01.09.2017/28.02.2019) e quello immediatamente precedente 01.03.2016/31.08.2017 ma aveva utilizzato un criterio ‘del tutto oscuro ed indecifrabile’ e posto a confronto periodi disomogenei tra loro ‘pervenendo ad un risultato di dubbia attendibilità’.
A dire della Corte territoriale, dunque, era ingiustificata la mancata attribuzione dei punteggi per i suddetti obiettivi che aveva determinato il giudizio circa il mancato raggiungimento degli stessi (si vedano i punti sub 5. e 6. che seguono).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (attinenti alla diversa posizione della P.A. e del dott. COGNOME quanto al mancato conseguimento degli obiettivi di cui all ‘ art. 3 bis , comma 7 bis , d.lgs. 502/1992) in relazione all ‘ art. 360, n. 1, comma 5, cod. proc. civ.
Premessa la diversità dei motivi posti a base della decisione del Tribunale rispetto a quelli della Corte d ‘ appello (così da non incorrere nel limite di cui all ‘ art. 348 ter u.c. cod. proc. civ.) assume che la Corte d ‘ appello ha omesso di valutare risultanze dedotte dall ‘ ASL nell ‘ atto di appello, le quali dimostrano gli inadempimenti contrattuali addebitati al direttore generale.
Il motivo è inammissibile.
Le precisazioni della ricorrente non sono idonee a superare l ‘ integrata violazione dell ‘ art. 348 ter u.c. cod. proc. civ.
Come si evince dalla stessa sentenza impugnata, le due statuizioni di merito sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo sicché si è in presenza di una doppia conforme che preclude la censura ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (così da ult. Cass. 31 luglio 2024, n. 21592; Cass. 9 marzo 2022, n. 7724).
Né, d ‘ altra parte, a fronte dell ‘ argomento, comune ad entrambe le decisioni, con il quale sono state ritenute insussistenti condotte inadempienti in relazione al mancato conseguimento degli obiettivi salute, risulta dedotto l ‘ elemento decisivo del quale vi sarebbe stato l ‘ omesso esame, rilevante ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (tale non potendo considerarsi quello afferente alla omessa valutazione di ‘risultanze fattuali ed istruttorie’ – pag. 37 del ricorso – ed egualmente non essendo rivedibile, in sede di legittimità, alla luce delle intervenute modifiche dell ‘ art. 360, n. 5, cod. proc. civ., il giudizio espresso quanto alle criticità evidenziate circa il suddetto presupposto del mancato raggiungimento degli obiettivi salute B1 e B2 – pag. 46 del ricorso -).
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione dell ‘ art. 5, comma 9, d.l. n. 95/2012, art. 25 L. 724/1994, art. 1418 cod. civ., art. 1344 cod. civ., art. 1463 cod. civ., art. 345 cod. proc. civ. e art. 437 cod. proc. civ., della circolare n. 6/2014 del Ministero per la semplificazione e la P.A., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Sostiene che la Corte d ‘ appello erroneamente non ha accolto la domanda riconvenzionale formulata dall ‘ ASL in base alla quale quest ‘ ultima aveva chiesto l ‘ accertamento della nullità del contratto di conferimento di incarico di direttore generale: quest ‘ ultimo, ricopriva l ‘ incarico di dirigente medico dell ‘ ASL di Pescara ed è stato collocato in pensione anticipata a domanda due mesi dopo il conferimento dell ‘ incarico di direttore generale, con elusione del divieto di cui all ‘ art. 5, comma 9, d.l. n. 95/2012 – divieto di attribuzione di incarichi dirigenziali e direttivi a soggetti collocati in quiescenza -.
Assume che la previsione normativa è inequivocabilmente diretta ad impedire non solo l ‘ affidamento ma anche il mantenimento di incarico a titolo oneroso in favore di soggetti ormai collocati a riposo.
Il motivo è infondato.
8.1. Esso, invero, non contrappone alcuna plausibile argomentazione all ‘ affermazione della Corte territoriale secondo cui la lettera dell ‘ art. 5, comma 9, d.l. n. 95/2012 è ‘ inequivocamente diretta a vietare l ‘ affidamento di incarichi a soggetti che al momento dell ‘ incarico si trovano già collocati a riposo, mentre è pacifico che nel caso di specie l ‘ interessato dottor COGNOME al momento dell ‘ incarico di direttore generale, e della stipula del relativo contratto era ancora in servizio ‘ .
L ‘ art. 5 del d.l. n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012, rubricato ‘riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni’, ha introdotto, per tutte le PP.AA. incluse nel conto economico consolidato, diverse disposizioni finalizzate a ridurre la spesa corrente. Queste disposizioni «costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell ‘ articolo 117, terzo comma, della Costituzione», così come previsto dal comma 6 del medesimo articolo.
Il suddetto art. 5, prima delle modifiche del 2022, così prevedeva al comma 9: « È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all ‘ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall ‘ Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell ‘ articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonchè alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all ‘ articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le
collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile nè rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall ‘ organo competente dell ‘ amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell ‘ ambito della propria autonomia ».
8.2. Il sopra riportato comma 9 ha, invero, sin qui conosciuto, dalla sua entrata in vigore, ben sette riformulazioni con le quali il legislatore ha sempre più esteso il divieto di conferire incarichi a titolo oneroso a soggetti già collocati in quiescenza, originariamente limitato ai soli incarichi di studio e a quelli di consulenza. Nel tempo, infatti, il divieto è stato esteso agli incarichi ‘dirigenziali’, a quelli ‘direttivi’ e a generiche ‘cariche’ in organi di governo delle medesime amministrazioni conferenti oltre che degli enti dalle stesse controllati. Al divieto di conferire ‘incarichi’, ‘cariche’ e ‘collaborazioni’ a titolo oneroso, si accompagna la possibilità del loro conferimento a titolo gratuito, con limiti di durata per i soli casi di incarico ‘dirigenziale’ e di incarico ‘direttivo’.
Pur tuttavia il legislatore ha contestualmente introdotto una serie, egualmente sempre più estesa, di eccezioni al suddetto divieto, prevedendo così altrettante deroghe ed ampliando la possibilità di conferire incarichi (o cariche) a titolo oneroso a soggetti già collocati in quiescenza.
Alcune delle menzionate eccezioni sono state inserite nella stessa previsione dell ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 che, come visto, consente ai soggetti già pensionati di ricoprire l ‘incarico di ‘componenti delle giunte degli enti territoriali’ (cfr. secondo periodo norma citata).
Ulteriori eccezioni, inoltre, sono state introdotte dalla più recente legislazione. In proposito, può farsi riferimento alle seguenti fattispecie:
art. 2 -bis , comma 5, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 che, in deroga all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012, consente agli enti del servizio sanitario di conferire incarichi di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa, a personale sanitario collocato in quiescenza, per fronteggiare l ‘ emergenza pandemica;
art. 3bis , del d.l. 14 gennaio 2021, n. 2 ‘incarichi retribuiti al personale sanitario collocato in quiescenza’, recante, come nella norma appena richiamata, espressa deroga all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012; – art. 10 del d.l. 30 aprile 2022, n. 36, recante deroga all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 per il conferimento di incarichi retribuiti a soggetti in quiescenza per le esigenze connesse al PNRR;
art. 1, comma 4bis , del d.l. 22 aprile 2023, n. 44, recante ulteriore deroga alla previsione di cui all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012.
8.3. Tanto precisato, il dato letterale del sopra riportato comma 9 è chiaro. Il divieto previsto è di ‘attribuire’. Situazione diversa è quella di precludere il ‘mantenimento’ di un incarico legittimamente attribuito che configura una cessazione ope legis dell ‘ incarico per effetto di una interpretazione estensiva.
Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa ancor prima della proliferazione legislativa delle richiamate deroghe, la norma in questione limita un diritto costituzionalmente garantito ‘quale quello di esplicare attività lavorative sotto qualunque forma giuridica’ (cfr. C.d.S, Sez. I, parere 15 gennaio 2020, n. 309); tanto preclude della stessa una interpretazione estensiva che potrebbe determinare un ‘ irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale.
Anche questa Corte (Cass. 7 febbraio 2023, n. 3643, punto 5.3 della motivazione) ha rilevato, ancorché con riguardo alla possibilità di estendere la disposizione agli incarichi in favore dei medici convenzionati, che, a fronte del chiaro tenore letterale della norma, non
risulta percorribile un ‘ interpretazione estensiva (né, tanto meno, analogica), trattandosi di una disposizione limitativa di una libertà e dovendosi piuttosto adottare un ‘ interpretazione restrittiva .
Alla luce dell ‘ indicato principio, il testo, che espressamente preclude la possibilità di conferire un incarico a chi è stato collocato in quiescenza, non può essere interpretato nel senso che tale incarico cessa ope legis per effetto della sopravvenuta quiescenza.
8.4. Né rileva, in senso contrario, il precedente di legittimità di cui a Cass. 9 giugno 2020, n. 11008, secondo il quale, in tema di dirigenza medica, anche per il contratto per incarico dirigenziale ex art. 15 septies , comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992 rileva, ai fini dell ‘ estinzione del rapporto ed in mancanza di istanza di trattenimento in servizio sino al sessantasettesimo anno di età, il raggiungimento dell ‘ età massima di cui all ‘ art. 15 nonies del medesimo che non può essere derogato dalla volontà delle parti.
In quel caso si trattava di altro tipo di incarico, di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a tutti gli effetti e non un rapporto regolato dall ‘ art. 2222 del cod. civ. come è quello del direttore generale (sul punto si veda la già sopra citata Cass. n. 16519/2004).
8.5. Inoltre, l ‘ art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) legge di stabilità 2014 (richiamata da disposizioni successive come ad esempio dall ‘ art. 14, comma 3, del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in legge 26/2019 e dal comma 3 dell ‘ art. 11 del d.l. 10 agosto 2023, n. 105 convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 ottobre 2023, n. 137) ha espressamente previsto che: « Ai soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell ‘ elenco ISTAT di cui all ‘ articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedano il
limite fissato ai sensi dell ‘ articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nei trattamenti pensionistici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive. Sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi. Gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti ».
Una regolamentazione, in via generale, del cumulo tra trattamento pensionistico e trattamento economico derivante da incarichi pubblici (con la fissazione di un limite) non avrebbe avuto senso se l ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 avesse inteso prevedere, egualmente in via generale, anche il divieto di mantenimento dell ‘ incarico in favore del dipendente collocato in quiescenza dopo l ‘ affidamento dello stesso.
In conclusione, il ricorso va respinto dovendosi affermare i seguenti principi di diritto:
l ‘ inadempimento del direttore generale ai fini della decadenza di cui all ‘ art. 3 bis , comma 7, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 non può essere desunto ipso facto dal mancato conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell ‘ attività e, in particolare, del dovere della diligenza, per il quale trova applicazione il parametro della diligenza professionale fissato dall ‘ art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurarsi alla natura dell ‘ attività esercitata;
l ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012, non può essere interpretato nel senso che l ‘ intervenuta quiescenza del direttore generale in corso di rapporto determina una cessazione ope legis dello stesso.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
11. Va dato atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 7.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio della Sezione Lavoro