Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1432 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 1432 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 17281-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
Oggetto
Contributi previdenziali, conguaglio, decadenza ex art. 7, d.lgs. n. 148/2015
R.G.N. 17281/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 12/11/2024
PU
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 79/2023 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/02/2023 R.G.N. 196/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 21.2.2023, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’insussistenza della pretesa creditoria fatta valere dall’INPS nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE con nota di rettifica del 30.9.2019, riguardante somme tardivamente conguagliate a titolo di anticipazioni su integrazioni salariali. La Corte, in particolare, ha ritenuto che, al fine di impedire la decadenza semestrale prevista per il diritto al conguaglio o al rimborso, giovasse al datore di lavoro anche la richiesta di autorizzazione ad operare il conguaglio delle anticipazioni con i contributi, che doveva comunque sottintendere la richiesta di rimborso delle medesime somme oggetto di anticipazione, per modo che il ritardo con cui l’INPS aveva esitato la richiesta, autorizzando il conguaglio, non poteva ridondare in un danno per il datore di lavoro.
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. RAGIONE_SOCIALE (nelle more divenuta RAGIONE_SOCIALE) ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 148/2015, per avere la Corte di merito ritenuto che la decadenza semestrale di cui alla norma cit. potesse essere impedita anche dalla domanda di conguaglio: ad avviso dell’Istituto ricorrente, infatti, il legislatore non avrebbe in alcun modo previsto che l’operazione di conguaglio debba essere preceduta da una domanda dell’impresa, per modo che, in difetto del compimento in terminis dell’atto previsto dalla legge, la decadenza non avrebbe potuto che compiersi.
Deve preliminarmente escludersi che, come eccepito nel controricorso e ribadito nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c., la censura possa dirsi preclusa per avvenuta formazione del giudicato interno sulla statuizione del giudice di primo grado secondo cui ‘per accedere al conguaglio non è possibile per il datore procedere in modo autonomo, essendo pacifico tra le parti ed emergendo anche dalla memoria di costituzione dell’istituto che è comunque necessario chiedere ed ottenere l’autorizzazione dell’INPS’: posto che, come emerge dallo storico di lite della sentenza qui impugnata, l’odierno ricorrente ebbe a dolersi in appello precisamente del ‘carattere arbitrario della decisione del Tribunale di ritenere che la mera domanda di autorizzazione al conguaglio fosse sufficiente ad impedire la decadenza’, giova ribadire che, ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno se non censurate e quindi devolute in appello, occorre aver riguardo all’unità minima suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato siccome individuata dalla sequenza logica fattonorma-eff etto giuridico, di talché l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo degli aspetti di tale sequenza (nella
specie, in ordine all’attitudine della domanda di conguaglio a impedire la decadenza) riapre la cognizione sull’intera statuizione che abbia affermato l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. in tal senso tra le più recenti Cass. nn. 28565 e 32683 del 2022, 16853 del 2018 e 2217 del 2016, tutte sulla scorta di Cass. n. 6769 del 1998).
Nemmeno può sostenersi, come del pari argomentato nel controricorso, che la censura dell’INPS darebbe luogo ad una eccezione nuova per avere l’Istituto sostenuto nelle precorse fasi di merito la necessità di una preventiva domanda e di una successiva autorizzazione al conguaglio: è infatti consolidato il principio di diritto secondo cui, nel giudizio di legittimità, la preclusione alla proponibilità di questioni nuove opera esclusivamente nel caso di prospettazione di nuovi temi di contestazione non profilati nelle precedenti fasi del giudizio, ossia con riferimento alla proposizione di nuove questioni di diritto che implichino una modificazione, anche in ordine agli elementi di fatto, dei termini della controversia o che diano luogo alla formulazione di domande ed eccezioni nuove non rilevabili di ufficio, essendo invece consentito, fermi i fatti accertati dal giudice del merito, dedurre per la prima volta nuovi profili di difesa ed una tesi giuridica non prospettata nelle precedenti fasi del giudizio, purché non si fondino su elementi di fatto nuovi di cui sia necessario l’accertamento (cfr. in tal senso Cass. nn. 3594 del 1990, 12020 del 1995, 5845 del 2000, 19350 del 2005, 15196 del 2018).
Ciò premesso, il motivo è fondato nei termini che seguono. Dispone l’art. 7, comma 2, d.lgs. n.148/2015, che l’importo dell’integrazione salariale sia ordinaria che straordinaria -viene anticipato dal datore di lavoro e, in seguito, ‘è rimborsato
dall’INPS all’impresa o conguagliato da questa secondo le norme per il conguaglio fra contributi dovuti e prestazioni corrisposte’. Incontroverso essendo che, nel caso di specie, l’odierna controricorrente intese avvalersi del meccanismo del conguaglio (che, contabilmente, si realizza pagando un ammontare di contributi pari alla differenza tra quanto dovuto e quanto anticipato a titolo di integrazione salariale), l’art. 7, comma 3, d.lgs. n. 148/2015, stabilisce espressamente, per quanto qui rileva, che il conguaglio deve essere effettuato, ‘a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione se successivo’, e dunque attribuisce efficacia impeditiva alla (sola) operazione di conguaglio, che a sua volta determina in modo automatico l’azzeramento delle reciproche post e di debito e credito: questa Corte, infatti, ha da tempo ricondotto al regime della c.d. compensazione impropria il conguaglio previsto da tutte quelle fattispecie legali in base alle quali il datore di lavoro, obbligato quale adiectus solutionis causa ad effettuare anticipazioni ai lavoratori nell’interesse di un ente previdenziale, detrae tali somme dai contributi dovuti all’ente medesimo (cfr. Cass. n. 14711 del 2007).
Trattandosi di compensazione impropria, che opera per effetto e alla data del pagamento all’INPS della differenza tra quanto dovuto per obblighi contributivi e quanto anticipato a titolo di integrazioni salariali, viene in rilievo l’art. 18, comma 1, d.lgs . n. 241/1997, in base al quale i versamenti contributivi vanno effettuati entro il giorno 16 del mese successivo al periodo di paga cui si riferiscono i contributi: si tratta, infatti, di termine che non è stato in alcun modo inciso dall’art. 7, comma 3, d.lgs. n.148/2015, cit.-
Pertanto, coordinando tale ultima disposizione con la norma di cui all’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 241/1997, deve ritenersi che la decadenza sia impedita quando il conguaglio viene effettuato (con pagamento delle differenze contributive) entro il giorno 16 del mese successivo alla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del semestre decorrente dal termine di durata della concessione dell’integrazione salariale o, se successivo, dalla data del provvedimento di concessione della medesima.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, affatto erroneamente i giudici territoriali hanno ritenuto che all’uopo potesse giovare la richiesta di conguaglio delle somme in questione: diversamente da quanto opinato nella sentenza impugnata, il conguaglio non necessita di alcuna preventiva autorizzazione da parte dell’ente previdenziale, dal momento che tanto l’importo della contribuzione dovuta quanto quello delle anticipazioni effettuate scaturiscono da un mero calcolo matematico i cui presupposti derivano direttamente dalla legge o dal contratto collettivo o, tutt’al più, dal decreto di concessione del beneficio dell’integrazione salariale; né in contrario potrebbe rilevare il diverso avviso espresso dalle circolari e dai messaggi dell’INPS menzionati dall’odierna controricorrente, trattandosi di atti interni che, anche quando emanati nell’esplicazione del potere gerarchico, esauriscono la loro portata nell’ambito dei rapporti interni tra i vari uffici ed i loro funzionari e, così come non vincolano i terzi, non sono fonte di diritto a loro favore né di obblighi a carico dell’amministrazione (così già Cass. n. 2568 del 1963; nello stesso senso, da ult., Cass. n. 10728 del 2024). Si deve semmai aggiungere che non si potrebbe ritenere che ‘la richiesta di autorizzazione al conguaglio contiene in sé, o meglio assorbe, la richiesta di rimborso della CIGS anticipata ai lavoratori’ (così invece la sentenza impugnata, pag. 3): fermo
restando che, come emerge dall’impiego della disgiuntiva ‘o’, l’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 148/2015, dianzi cit., considera rimborso e conguaglio come modalità differenti di restituzione all’impresa di quanto anticipato per conto dell’ente previdenziale, deve ribadirsi che non esiste alcun indizio testuale che possa abilitare l’interprete a ritenere che il conguaglio possa essere operato in esito ad una qualche forma di procedimentalizzazione che contempli una domanda e una successiva autorizzazione dell’en te; ed è evidente, per contro, che sostenere che una ‘richiesta di autorizzazione al conguaglio’ debba produrre i medesimi effetti impeditivi della decadenza che il successivo comma 3 dell’art. 7 attribuisce invece esclusivamente al ‘conguaglio’ o alla ‘richiesta di rimborso’, metterebbe capo non già ad una ‘interpretazione costituzionalmente orientata’ della norma in questione (come invece si legge a pag. 3 della sentenza impugnata), bensì ad una disapplicazione del principio generale dell’art. 2966 c.c., secondo il quale la decadenza è impedita esclusivamente dal compimento dell’atto previsto dalla legge.
Il ricorso, pertanto, va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: ‘la decadenza semestrale prevista dall’art. 7, comma 3, d.lgs. n. 148/2015, per il conguaglio tra contributi dovuti e anticipazioni effettuate dal datore di lavoro a titolo di integrazione salariale non è impedita se non dall’effettuazione del conguaglio mediante pagamento del saldo contabile entro il giorno 16 del mese successivo alla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del semestre decorrente dal termine di durata della concessione dell’integrazione salariale o, se successivo, dalla data del provvedimento di concessione della
medesima , irrilevante all’uopo restando qualsiasi preventiva domanda di conguaglio, siccome non prevista dalla legge’. Il giudice designato provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.11.2024.