Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15046 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 9053/2023 r.g. proposto da:
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, per mandato ex lege, dall’Avvocatura generale dello Stato e presso la stessa per legge domiciliato a Roma in INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME Andrea COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale, dall’Avv. NOME COGNOME che dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo pec indicato.
-controricorrente –
avverso la ordinanza del Tribunale di Locri n. 1614/2023, depositata in data 28 marzo 2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente Ministero della Giustizia, l ‘Avv . NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso udito per il controricorrente, l’Avv. NOME COGNOME su delega scritta dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
1. FATTI DI CAUSA:
NOME COGNOME quale depositario di autovetture in custodia giudiziaria, proponeva opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 avverso vari provvedimenti del gip del tribunale di Locri, con cui si era disposto il non luogo a provvedere sulle istanze di liquidazione dell’indennità relativa all’attività di custode di autovetture sottoposte a sequestro penale da parte della procura della Repubblica.
In particolare, il ricorrente deduceva l’erronea interpretazione degli articoli 71 e 72 del d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto il termine di decadenza previsto nella prima norma non si rinveniva nella seconda, dedicata esclusivamente al custode giudiziario.
Il tribunale di Locri, con ordinanza n. 1114/2023, pubblicata il 28/3/2023, accoglieva parzialmente il ricorso; richiamava la sentenza di questa Corte, in sede penale, n. 113 del 28/10/2005, ove si differenziava la figura del custode giudiziario da quella degli
altri ausiliari del giudice, come emergeva dall’art. 3 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove si distingueva «il perito, il consulente tecnico, l’interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente in una determinata arte o professione» da altro soggetto «comunque idoneo al compimento di atti».
Reputava il tribunale che le due categorie di soggetti venivano trattate separatamente nell’ambito del testo unico sulle spese di giustizia, sia in ordine agli effetti dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sia per le spese relative alla procedura di vendita dei beni sequestrati e confiscati.
Inoltre, il tribunale rilevava che le norme sulla decadenza, per il loro carattere eccezionale, non erano applicabili oltre i casi espressamente previsti dalla legge.
Tra l’altro, l’art. 3, comma 1, lettera n) del d.P.R. n. 115 del 2002, pur distinguendo le figure del perito e quella dei soggetti comunque idonei al compimento di atti, aveva come incipit la locuzione «se non diversamente ed espressamente indicato».
Veniva richiamata la giurisprudenza di questa Corte per cui l’amministratore di beni sequestrati, ai sensi dell’art. 2sexies e dell’art. 2septies della legge n. 575 del 1965, svolgeva un’attività sicuramente di tipo ausiliaria, dinamica verso la conservazione del compendio patrimoniale, al fine dell’accrescimento dello stesso, non potendo essere ritenuta come una mera custodia di beni sequestrati, non essendo applicabile il termine di decadenza di cui all’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 11577 del 2017).
Tra l’altro, l’art. 259, primo comma, c.p.p., lungi dall’assimilare il custode ad un ausiliario del giudice o del pubblico ministero, quale il perito od il consulente tecnico, considerava invece fungibile tale figura con quella dei rispettivi uffici di cancelleria e segreteria.
Il ricorrente, allora, non era incorso in alcuna preclusione decadenziale, anche se per talune pretese era maturata la prescrizione decennale decorrente da ogni singolo giorno.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della giustizia.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME depositando anche memoria.
2. IL MOTIVO DI IMPUGNAZIONE
Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 3,71,72 e 178 d.P.R. 115 DEL 2002 e 14 disposizioni sulla legge in generale, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., laddove il tribunale di Locri ha ritenuto inapplicabile il termine di decadenza di 100 giorni alla liquidazione del compenso del custode nominato dal giudice penale».
Per il ricorrente, infatti, l’ordinanza dovrebbe essere cassata in quanto ha erroneamente ritenuto inapplicabile il termine di decadenza di cui all’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002 alla figura del custode giudiziario, invocando un orientamento della giurisprudenza di legittimità, formatosi in sede penale, che non si ritiene condivisibile.
Ad avviso del ricorrente, il termine di decadenza di 100 giorni dal compimento delle operazioni troverebbe pacificamente applicazione anche al custode nominato dal giudice penale, e quindi anche per l’ipotesi di cui all’art. 72 del d.P .R. n. 115 del 2002, dovendo il custode rientrare «nell’ambito della figura degli ausiliari del giudice», non potendosi operare alcun distinguo tra le funzioni svolte in sede penale e quelle espletate nell’ambito di un procedimento civile.
Numerose pronunce di questa Corte, poi, deporrebbero per la qualificazione del custode giudiziario tra gli ausiliari del giudice (ci citano, fra le tante, Cass. n. 11577/2017; Cass. n. 8483/2013).
Peraltro, l’art. 3 del d.P.R. n. 115 del 2002, inserisce all’interno della medesima disposizione, oltre al perito, al consulente tecnico, all’interprete e al traduttore, anche i soggetti idonei «al compimento di atti», che il magistrato può nominare per lo svolgimento degli incarichi pubblici.
Non vi potrebbe essere, allora, alcuna differenziazione del regime dei compensi.
L’art. 72 del d.P.R. n. 115 del 2002 non può essere isolato dall’intero contesto del testo unico che non fornirebbe «elementi per ravvisare una reale diversità di disciplina».
Peraltro, l’interpretazione accolta dal tribunale, in sede di opposizione, sarebbe contraria ai principi direttivi della legge delega n. 55 del 1999.
L’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002 avrebbe riprodotto il disposto dell’art. 24 del regio decreto n. 1043 del 1923 che, nella sua formulazione originaria, sottoponeva il diritto al compenso e le indennità ivi contemplate alla prescrizione breve di 100 giorni dalla data di compimento dell’operazione. Tale previsione, ai sensi del successivo art. 27, trovava applicazione anche ai compensi e alle indennità in materia civile.
Dalla relazione illustrativa al d.P.R. n. 115 del 2002 emergeva che l’intervento di riordino della materia si era tradotto nella rielaborazione degli articoli originali, eliminando le ambiguità terminologiche e adeguandole alle novità normative in tema di modalità di pagamento.
L’equiparazione del custode agli altri ausiliari del giudice realizzerebbe pienamente gli obiettivi di armonizzazione sanciti dalla
legge n. 50 del 1999 e sottolineate della Corte costituzionale (sentenze n. 53 del 2005 e n. 174 DEL 2005).
3. LA TESI CONTRARIA ALLA APPLICAZIONE DELLA DECADENZA AL CUSTODE, CUI ADERISCE LA CASSAZIONE PENALE
1. La tesi contraria alla estensione della decadenza alle indennità del custode si fonda soprattutto sulla evoluzione storica delle disposizioni in materia.
Essa muove dalla considerazione che nel regime previgente, prima della legge delega 8/3/1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi), era prevista la prescrizione del diritto agli onorari esclusivamente nei confronti dei periti e dei consulenti tecnici.
Originariamente, l’unica norma dedicata ai compensi era quella di cui all’art. 17 del regio decreto 23/12/1865, n. 2701, a mente del quale «non è accordata l’indennità se non ai testimoni che ne fanno la domanda, la quale dovrà essere accennata nel mandato a rilasciarsi».
2. L’art. 24 del regio decreto 3/5/1923, n. 1043 (Che stabilisce le competenze dovute a testimoni, periti, giurati e ufficiali giudiziari e l’indennità spettante ai magistrati e cancellieri per le trasferte) non si riferisce ai custodi giudiziari, ma prevede in modo chiaro che «il diritto agli onorari e alle indennità stabiliti negli articoli precedenti si prescrive quando siano trascorsi cento giorni dalla data degli atti o dal compimento delle operazioni per cui sono dovuti».
Tale norma è stata abrogata dal d.P.R. n. 115 del 2002.
L’art. 27 del regio decreto 3/5/1923 n. 1043, estendeva poi la disciplina anche in materia civile, precisando che «ai magistrati e ai funzionari di cancelleria per le trasferte in materia civile, ai periti, agli interpreti, ai traduttori, per le operazioni ordinate dall’autorità giudiziaria in detta materia, nonché ai depositari di documenti che dovranno nei giudizi nella stessa materia trasferirsi avanti l’autorità giudiziaria, saranno rispettivamente applicate, quanto agli onorari e alle indennità le disposizioni stabilite dal presente decreto per la materia penale».
Ovviamente, i soggetti cui si estendono tali disposizioni sono indicati negli articoli precedenti, e segnatamente nell’art. 7, dedicato agli «onorari o le vacazioni dei periti per le operazioni che occorressero a richiesta dell’autorità giudiziaria nei casi previsti dal codice di procedura penale», nell’art. 8 (che si riferisce a «ciascun medico e chirurgo»), all’art. 9 dedicato alle «vacazioni» (con il limite giornaliero di non più di 4 vacazioni), all’art. 10, per il quale «i periti dovranno presentare una nota specificata delle somministrazioni che avranno fatto», all’art. 12, in ordine alla «liquidazione degli onorari spettanti ai professionisti laureati, professori di chimica e di altre scienze, architetti, ingegneri o notai», all’art. 13 che si occupa di «professionisti, diplomati, ragionieri, geometri, agronomi, saggiatori di oro e di argento, farmacisti non laureati, calligrafi», oltre che all’art. 14, applicabile a «periti, operai, coltivatori ed altre persone non laureate, né diplomate».
Come si vede, non vi sarebbe alcun riferimento al custode giudiziario.
3. La legge di delegificazione 8/3/1999, n. 50, all’art. 7, indica i principi e i criteri direttivi, ed al comma 2, dispone che tra essi vada ricompreso anche il «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le
modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo».
L’obiettivo – per la tesi restrittiva (che confina la decadenza agli ausiliari del giudice con esclusione del custode) – sarebbe evidenziato anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale il d.P.R. n. 115 del 2002 «rientra tra quelli diretti al riordino e all’armonizzazione delle norme legislative e regolamentari nelle materie elencate dalle leggi annuali di semplificazione», evidenziando che l’obiettivo era «quello di ricondurre a sistema una disciplina stratificata negli anni, con la conseguenza che i principi sono quelli già apposti dal legislatore», non essendo necessario che sia espressamente enunciato nella delega il principio già presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino della materia delimitata (Corte cost., sentenza n. 174 del 2005; sentenza n. 53 del 2005).
In tale sentenza si sarebbe anche chiarito che «la relazione governativa al d.P.R. n. 115 del 2002 ha giustificato la necessità di interventi innovativi, ponendo in luce i problemi originati dalle vecchie norme: i tempi di custodia erano molto lunghi, facendo aumentare le relative spese anticipate dall’erario; la vendita avveniva a notevole distanza di tempo dal sequestro del bene; per non pagare le spese di custodia non veniva chiesta la restituzione del bene, il cui valore era scemato nel tempo, con la conseguenza di dover ricorrere alla vendita a notevole distanza di tempo dal sequestro, il cui ricavato non copriva le stesse spese, o alla distruzione, con conseguente carico all’erario delle spese di custodia, salvo eventuale recupero del condannato».
4. La stesura degli articoli 71 e 72 del d.P.R. n. 115 del 2002, confermerebbe l’interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, in
sede penale (Cass. pen., sez. 4, 5/1/2006, n. 113; Cass. pen., sez. 4, 22/2/2005, n. 6715), che ha differenziato la disciplina dei compensi dei periti, da quella dei custodi giudiziari, non estendendo a questi ultimi il termine di decadenza di cento giorni.
Per la tesi contraria all’applicazione della decadenza ai compensi del custode, il d.P.R. n. 115 del 2022 aveva l’esclusivo mandato di coordinare ed armonizzare la legislazione previgente, sicché «in alcun modo, le norme del testo unico possono introdurre nuovi istituti o essere interpretate nel senso di apportare apprezzabili modifiche in tema di soggetti, quali la previsione di una decadenza non stabilite dalla normativa» (Cass. pen., n. 6715 del 2005).
Tale tesi è stata condivisa dalla Procura generale per cui: «Fra le innovazioni consentite al legislatore delegato, ai fini sopra citati, di certo non poteva essere compresa una nuova ipotesi di decadenza dei diritti soggettivi del custode giudiziario, in precedenza non prevista in alcun modo dalle norme che il testo unico doveva, unicamente, coordinare ed armonizzare».
L’art. 3 del d.P.R. n. 115 del 2002 detta una disciplina apparentemente unitaria per le due categorie, ma nel suo incipit esplicita una sorta di riserva, laddove prevede «se non diversamente ed espressamente indicato».
Pertanto, è vero che l’art. 3, comma 1, lettera n), del d.P.R. n. 115 del 2002 disegna l’ausiliario del magistrato, che è «il perito, il consulente tecnico, l’interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all’ufficio può nominare a norma di legge».
Tuttavia, da un lato, si nota la differenziazione delle due tipologie di incarico, attraverso la locuzione «o comunque», che manifesta una sorta di cesura tra le stesse.
Dall’altro, non può non considerarsi la formula iniziale «se non diversamente ed espressamente indicato».
E dunque, l’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002 risulterebbe, in sostanza, una sorta di ripetizione di quanto già previsto dall’art. 24 del regio decreto 3/5/1923, n. 1043 dedicato, come già detto, esclusivamente a soggetti diversi dai custodi giudiziari.
Il comma 1 dell’art. 71 (Domanda di liquidazione e decadenza del diritto per testimoni, ausiliari del magistrato e aventi titolo alle trasferte) si concentra sulle «spettanze agli ausiliari del magistrato» che vengono corrisposte a domanda degli interessati, presentata all’autorità competente ai sensi degli articoli 165 e 168.
L’art. 165 riguarda l’ordine di pagamento emesso dal funzionario, per cui «la liquidazione delle spese disciplinate nel presente testo unico è sempre effettuata con ordine di pagamento del funzionario addetto all’ufficio se non espressamente attribuita al magistrato».
L’art. 168, invece, si occupa del decreto di pagamento delle spettanze agli ausiliari del magistrato e dell’indennità di custodia.
Si chiarisce che «la liquidazione delle spettanze agli ausiliari del magistrato e dell’indennità di custodia è effettuata con decreto di pagamento, motivato, del magistrato che procede».
Al comma 2 dell’art. 71 si indica il termine decadenza, con la previsione per cui «la domanda è presentata, a pena di decadenza: trascorsi cento giorni dalla data della testimonianza, o dal compimento delle operazioni per gli onorari e le spese per l’espletamento dell’incarico degli ausiliari del magistrato; trascorsi duecento giorni dalla trasferta, per le trasferte relative al compimento di atti fuori dalla sede in cui si svolge il processo e per le spese e indennità di viaggio e soggiorno degli ausiliari del magistrato».
Il comma 3 stabilisce che «in caso di pagamento in contanti l’importo deve essere incassato, a pena di decadenza, entro duecento giorni dalla ricezione dell’avviso di pagamento di cui all’art. 177».
Sarebbe evidente, dunque, in base a tale ricostruzione normativa, che tale disciplina sia specifica per testimoni e ausiliari del magistrato.
6. La disciplina, invece, prevista per i custodi giudiziari si rinviene nell’art. successivo, ossia nell’art. 72 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Domanda di liquidazione di acconti dell’indennità di custodia), ove al comma 1 si legge che «l’indennità di custodia è liquidata su domanda del custode, successiva alla cessazione della custodia, presentata all’autorità competente ai sensi dell’art. 168; a richiesta, sono liquidati acconti sulle somme dovute».
Non si tratterebbe, allora, di una disposizione che si occupa esclusivamente della parte marginale relativa alla liquidazione degli acconti, ma di una previsione specifica che concerne il pagamento dell’indennità di custodia.
Si chiarisce che tale indennità può essere liquidata solo successivamente alla «cessazione della custodia», che la stessa debba essere richiesta all’autorità competente ai sensi dell’art. 168 e che possono essere chiesti anche acconti sulle somme dovute.
Si Tratterebbe, allora, di una disciplina specifica e differente, per le proprie peculiarità, rispetto a quella di cui all’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002, dedicata a testimoni ed ausiliari del magistrato.
Del resto, come osservato dalla Procura generale, diversamente opinando, ove le disposizioni di cui agli articoli 71 e 72 del d.P.R. n. 115 del 2002 si occupassero del medesimo soggetto, costituito dall’ausiliario giudiziale, ricomprendendo anche il custode, non avrebbe ragione d’essere l’art. 72.
L’art. 72, infatti, «ha ragione di esistere solo se gli si attribuisce un contenuto precettivo autonomo rispetto al precedente art. 71». Ed infatti, per la Procura generale, «ove così non fosse, non si comprenderebbe perché dettare, per il custode giudiziario, una disciplina specifica della richiesta di liquidazione, rispetto a quella dettata, in linea generale per i testimoni e gli ausiliari del magistrato. Per allineare la disciplina dell’istanza di liquidazione dell’indennità spettante al custode giudiziario a quella dei testimoni e degli altri ausiliari sarebbe stato sufficiente, semplicemente, non scrivere l’art. 72 t.u. spese giust., il cui contenuto precettivo è eguale a quello del precedente articolo 71. Ciò, ad eccezione di due elementi: uno è proprio la mancanza di un termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di liquidazione. L’altro è la possibilità di richiedere acconti, prevista per il solo custode giudiziario. Possibilità che si giustifica in ragione della normale maggior durata dell’incarico del custode giudiziario, che, a differenza degli incarichi degli altri ausiliari del magistrato, è destinata ad estendersi nel tempo, anche per torni di tempo assai estesi».
Ciò troverebbe conferma anche nelle singole disposizioni del testo unico sulle spese di giustizia.
Sarebbe sufficiente osservare che nel titolo VII del testo unico si rinvengono le norme relative alle spettanze in favore degli ausiliari del giudice.
L’art. 49, comma 1, prevede espressamente che «agli ausiliari del magistrato spettano loro onorario, l’indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio il rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico», con la precisazione che gli onorari sono fissi, variabili e a tempo.
Le successive norme si soffermano sempre sulla figura dell’ausiliario, così l’art. 50, in ordine alla misura degli onorari, l’art.
51, sulla determinazione degli onorari variabili e aumento di quelli fisse e variabili, l’art. 52 con riferimento all’aumento e alla riduzione degli onorari, l’art. 53, che si occupa degli incarichi collegiali, l’art. 54 sull’adeguamento periodico degli onorari, l’art. 55 sulle indennità di viaggio e di soggiorno, l’art. 56 sulle spese sostenute dall’ausiliario del magistrato per l’adempimento dell’incarico, l’art. 57 in ordine all’equiparazione del commissario ad acta agli ausiliari del magistrato.
8. La disciplina del custode giudiziario e dei suoi compensi si rinviene, invece, nel titolo VIII del testo unico, e segnatamente nell’art. 58, a mente del quale «al custode, diverso dal proprietario o avente diritto, di beni sottoposti a sequestro penale probatorio e preventivo, e, nei soli casi previsti dal codice di procedura civile, al custode di beni sottoposti a sequestro penale conservativo e a sequestro giudiziario e conservativo, spetta un’indennità per la custodia e la conservazione».
L’art. 59, poi, del testo unico, si soffermerebbe sulle tabelle delle «tariffe vigenti» per la determinazione dell’indennità di custodia.
Risulterebbe chiara, allora, la differenza tra gli onorari, spettanti agli ausiliari del magistrato, sulla base delle tariffe professionali, e l’indennità spettante al custode giudiziario sulla base delle tariffe vigenti.
9. La differenziazione netta tra le due figure si rinverrebbe anche nell’ambito degli effetti dell’ammissione al gratuito patrocinio, ove l’art. 107, nell’individuare le spese anticipate dall’erario, distingue tra «le indennità e le spese di viaggio spettanti ai testimoni» (lettera d), «l’indennità e le spese di viaggio per trasferte, nonché le spese sostenute per l’adempimento dell’incarico, e l’onorario ad ausiliari del magistrato, a consulenti tecnici di parte e a investigatori privati autorizzati» (lettera d) e «l’indennità di custodia» (lettera e).
Analoga differenziazione si scorgerebbe anche con riferimento alle spese nella procedura di vendita di beni sequestrati ed alle spese nella procedura di vendita di beni confiscati.
Nel primo caso, l’art. 155 del testo unico prevede che sono anticipate dall’erario «le spese ed onorari agli ausiliari del magistrato» (comma 3 lettera b), e «l’indennità di custodia» (comma 3, lettera c).
Allo stesso modo, nel secondo caso l’art. 156 del testo unico individua tra le spese anticipate dall’erario «le spese ed onorari agli ausiliari del magistrato» (comma 3, lettera b) e «l’indennità di custodia» (comma 3, lettera c).
Vi sarebbe poi una disciplina speciale in relazione alla restituzione dei beni sequestrati, di cui all’art. 150 del d.P.R. n. 115 del 2002, soprattutto a seguito delle modifiche in vigore a partire dal 23/8/2005, laddove si chiarisce che «la restituzione è concessa a condizione che prima siano pagate le spese per la custodia e la conservazione delle cose sequestrate, salvo che siano stati pronunciati provvedimenti di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento ovvero che le cose sequestrate appartengano a persona diversa dall’imputato o che il decreto di sequestro sia stato revocato a norma dell’art. 324 del codice di procedura penale».
Persino nella parte dedicata alle disposizioni transitorie, PARTE IX, titolo IV, si distinguerebbero le due diverse ipotesi degli onorari degli ausiliari del magistrato, di cui all’art. 275, e della determinazione dell’indennità di custodia.
Nel primo caso «sino all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 50, la misura degli onorari è disciplinata dalle tabelle allegate al decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1988, n. 352 e dall’art. 4, della legge 8 luglio 1980, n. 319, come modificato, per gli
importi, dal decreto del Ministro di grazia e giustizia 5 dicembre 1997, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 1998, n. 37».
Nel secondo caso «sino all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 59, l’indennità è determinata sulla base delle tariffe esistenti presso la Prefettura, ridotte, secondo equità, e, in via residuale, secondo gli usi locali».
La peculiarità della funzione della custodia giudiziale, peraltro, risulterebbe anche dalle innovazioni legislative succedutesi nel tempo, con conseguenti pronunce della Corte costituzionale.
Si fa riferimento, per esempio, alla dichiarazione di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 2,4,6 e 10 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, con sentenza n. 92 del 2013.
L’art. 38, infatti, ha previsto l’alienazione coatta dei veicoli al custode giudiziario, con il pagamento di un importo inferiore alle tariffe esistenti.
Si stabiliva, infatti, al comma 2, dell’art. 38, che i veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate a seguito di sequestri e sanzioni accessorie previste dal codice della strada, o quelli non alienati per mancanza di acquirenti, «purché immatricolati per la prima volta da oltre 5 anni e privi di interesse storico e collezionistico, comunque custoditi da oltre due anni alla data del 30 settembre 2003, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito».
I custodi sono divenuti ex lege acquirenti dei beni, ma si derogava al previgente sistema tariffario; di qui la pronuncia di illegittimità costituzionale, in quanto la disposizione retroattiva non era assistita da una causa normativa adeguata.
Allo stesso modo, l’art. 1, comma 312, della legge n. 311 del 2004, ha previsto che «i veicoli giacenti presso i custodi a seguito
dell’applicazione di provvedimenti di sequestro dell’autorità giudiziaria, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito ove ricorrano le seguenti condizioni:a) siano ritenute cessate, con ordinanza dell’autorità giudiziaria da comunicare all’avente diritto alla restituzione, le esigenze che avevano motivato l’adozione del provvedimento di sequestro ».
Anche in questo caso, ai sensi dell’art. 1, comma 318, della legge n. 311 del 2004, «al custode è riconosciuto, in deroga alle tariffe previste dagli articoli 59 e 276 del testo unico di cui al d.P .R. 30 maggio 2002, n. 115, un importo complessivo forfettario, comprensivo del trasporto, determinato, per ciascuna decade di custodia ».
Anche in questo caso è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 267 del 2017.
Da ciò dovrebbe evidenziarsi che la disciplina normativa del custode giudiziario risulterebbe profondamente diversa da quella degli ausiliari del giudice.
Del resto, il custode giudiziario appartiene all’ampio genus degli ausiliari del magistrato, come emerge dalle disposizioni di cui all’art. 61 e ss. c.p.c. (CAPO III).
Si distingue, infatti, l’attività del consulente tecnico, di cui agli articoli 61,62,63 e 64 c.p.c., da quella del custode, di cui agli articoli 65,66 e 67 c.p.c., mentre l’art. 68 c.p.c. riguarda gli «altri ausiliari».
L’incarico del custode, dunque, – sempre per la tesi restrittiva differisce dalle altre figure espressamente previste nel c.p.c., in quanto, come osservato dalla Procura generale, non contribuisce in alcun modo ad arricchire la conoscenza del giudice, come nell’ipotesi di consulente e di perito, in materie che normalmente il giudice non conosce. Il custode è, invece, incaricato di conservare un bene dal
pericolo di deterioramento o di dispersione o di distrazione cui potrebbe andare incontro nel periodo di tempo, spesso assai lungo, di durata del processo, penale o civile che esso sia.
La custodia giudiziale ha allora la finalità di far sì che il processo, civile, penale o esecutivo, mantenga un’utilità concreta.
Di qui la specificità della normativa di settore, relativa al custode giudiziario, soprattutto nell’ambito del testo unico delle spese di giustizia.
Peraltro, l’art. 259, comma 1, CPP (Custodia delle cose sequestrate), stabilisce che «le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, l’autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode, idoneo a norma dell’art. 120».
Dal tenore testuale di tale disposizione si comprenderebbe, allora, che le cose sequestrate possono essere affidate alla cancelleria o alla segreteria e, solo in determinate ipotesi, affidate ad un custode, con ciò evidenziandosi che l’attività del custode può essere svolta anche dal cancelliere o dal segretario, mentre l’attività del consulente tecnico o del perito necessita di competenze specifiche nella materia.
16. Un argomento a favore del rigetto del ricorso si rinverrebbe nell’art. 168 del d.P.R. n. 115 del 2002, che, nella rubrica e nel primo comma, distingue spettanze agli ausiliari del magistrato e indennità di custodia. Siccome la disposizione decadenziale è eccezionale, potrebbe essere valorizzata questa differenziazione semantica, per cui l’indennità di custodia di cui all’art. 72, in quanto differente dalla spettanza all’ausiliare di cui all’art. 71, sarebbe integralmente disciplinata dalla norma che la prevede, e cioè l’art. 72.
4. LA TESI (ESTENSIVA) FAVOREVOLE ALL’APPLICAZIONE DELLA DECADENZA ANCHE AL CUSTODE GIUDIZIARIO
Altrettanto persuasiva è la tesi favorevole alla applicazione del termine di decadenza anche ai compensi spettanti al custode giudiziario.
Questo orientamento si fonda su due ordinanze di questa Corte, in sede civile (Cass., n. 21482 del 2019; Cass., 16/8/2023, n. 24652) – in contrasto con le sentenze penali sopra citate – favorevoli all’applicazione della decadenza anche per il custode, per cui «il compenso del custode è quindi oggetto di una previsione ad hoc (art. 72) che, pur non prevedendo termini di decadenza, non va isolata dall’intero contesto del testo unico e che, comunque, non offre elementi per ravvisare una reale diversità di disciplina».
Si fa riferimento a tutto il filone giurisprudenziale che inquadra costantemente i custodi tra gli ausiliari del giudice (Cass., n. 11577/2017; Cass. n. 8483/2013; Cass. n. 5084/2010; Cass. n. 22860/2007; Cass., n. 10252/2002; Cass. n. 6115/1984; Cass. n. 3544/1983; Cass. n. 4348/1979; Cass., n. 1406/1971).
Viene poi sottolineata la chiarezza del dato normativo. Il capo II del libro primo del codice di rito, nel contemplare la disciplina della nomina, delle responsabilità e dei compensi degli ausiliari del giudice, menziona esplicitamente, agli articoli 65 e ss. c.p.c. anche il custode giudiziario, affiancandolo agli ausiliari del giudice, di cui all’art. 68 c.p.c., quali soggetti idonei al compimento di determinati atti.
Viene richiamato anche l’art. 3 del d.P.R. n. 115 del 2002, che impartisce una disciplina unica per gli ausiliari del giudice, ricomprendendo tra gli stessi, oltre al perito, al consulente tecnico, all’interprete, al traduttore, anche qualunque altro soggetto
competente in una determinata arte o professione «o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all’ufficio può nominare a norma di legge».
Non sarebbe possibile escludere il custode dal novero dei soggetti contemplati nell’art. 3 citato, per due ragioni: a) nel soggetto idoneo al compimento di atti potrebbe rientrare il custode; b) l’elencazione dell’art. 3, avendo la funzione definitoria di tutti i termini menzionati nella legge, è onnicomprensiva, per cui in qualcuna delle definizioni dell’art. 3 il custode deve essere necessariamente inserito, non potendo restare fuori del fuoco dell’art. 3, e l’unica categoria in cui è inseribile è quella dell’ausiliario.
A questo punto il custode ricadrebbe nell’art. 71 in quanto ausiliario, e l’art. 72 si rivelerebbe sotto-fattispecie. In questo quadro, la differenza semantica nell’art. 168 fra spettanze agli ausiliari del magistrato e indennità di custodia non sarebbe decisiva, ma sarebbe meramente riproduttiva del fatto che l’art. 71 parla di spettanza e l’art. 72 di indennità, quale definizione tecnica della spettanza in favore del custode (così anche per l’art. 58: la spettanza è definita qui indennità di custodia), differenza che, se si considera anche la funzione dell’art. 72 nella mera previsione della possibilità di acconti, non è decisiva.
La necessità imposta dall’onnicomprensività definitoria dell’art. 3 di includere il custode nell’ausiliario del magistrato sarebbe il suggello finale di questa interpretazione.
L’art. 72 del d.P.R. n. 115 del 2002 deve essere letto unitamente alla previsione di cui all’art. 71 del medesimo d.P.R. Non sarebbe decisivo che al custode competa un’indennità e non un onorario, poiché l’art. 71 assoggetta al rimedio della decadenza tutte le spettanze degli ausiliari, con formula che, per la sua genericità, è
idonea a ricomprendere qualsiasi emolumento dovuto per le attività espletate su incarico del giudice.
Anche il dato letterale dell’art. 3, lettera n) del d.P.R. n. 115 del 2002, impedirebbe di differenziare – in astratto – la posizione del custode da quella degli altri collaboratori del giudice, nel punto in cui, ai fini dell’applicabilità delle singole disposizioni del testo unico, uniforma il trattamento normativo delle singole figure, salvo che non sia diversamente ed espressamente indicato.
Non vi sarebbe poi contrasto con i principi direttivi della legge delega n. 55 del 1999.
L’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002 ha riprodotto il testo dell’art. 24, regio decreto 1043/1923, che, nella sua formulazione originaria, sottoponeva il diritto al compenso alle indennità ivi contemplate alla prescrizione breve di 100 giorni dalla data di compimento delle operazioni, con previsione che, ai sensi del successivo art. 27, trovava applicazione anche ai compensi e alle indennità in materia civile.
Dalla relazione illustrativa emergeva che l’intervento di riordino della materia si era tradotto nella rielaborazione degli articoli originali, eliminando le ambiguità terminologiche e adeguandole alle novità normative in tema di modalità di pagamento; si consentiva anche la possibilità di apportare, compatibilmente con tale obiettivo, le modifiche – anche di carattere innovativo – necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, dovendosi «ricondurre a sistema una disciplina stratificata degli anni», i cui principi erano già presenti nell’ordinamento, essendo sufficiente per garantire la legittimità dell’intervento normativo, anche se di carattere innovativo, il criterio del riordino di una materia delimitata (Corte cost. n. 53 del 2005; Corte cost. n. 174 del 2005).
L’equiparazione del custode agli altri ausiliari del giudice (assente nel regio decreto 1043/1923) sarebbe stata attuata, come detto, dagli articoli 3 e 71 del d.P.R. n. 115 del 2002, realizzando pienamente gli obiettivi di armonizzazione sanciti dalla legge n. 50 del 1999.
8. Alle considerazioni fatte proprie da questa Corte in sede civile, potrebbe aggiungersi la peculiare rubrica dell’art. 72 del d.P.R. n. 115 del 2002 (criterio interpretativo privilegiato), che si riferisce esclusivamente alla «domanda di liquidazione di acconti dell’indennità di custodia», in tal modo specificando l’effettivo contenuto di tale autonoma disposizione, relegata essenzialmente alla previsione della possibilità di disporre acconti sul compenso in favore del custode, in ragione proprio della peculiarità dell’attività svolta da questi, evidentemente di lunga durata.
Allo stesso modo, il dies a quo per il computo della decadenza viene fissato nella «cessazione della custodia» e non «dalla data della testimonianza» o «dal compimento delle operazioni per gli onorari e le spese per l’espletamento dell’incarico», sempre in ragione della specifica e particolare attività svolta dal custode.
L’art. 72 non sarebbe, allora, una fattispecie distinta dall’art. 71, ma è una sotto-fattispecie.
5. LA TESI ESTENSIVA E I PROVVEDIMENTI DELLA CASSAZIONE CHE EQUIPARANO IL CUSTODE ALL’AUSILIARIO DEL GIUDICE
La tesi favorevole alla estensione del termine di decadenza al custode si fonda sulla costante giurisprudenza di questa Corte che parifica il custode agli ausiliari del giudice.
Tuttavia, dall’esame delle pronunce emergono delle peculiarità che non sembrano deporre in modo univoco per tale perfetta equiparazione.
Si è, infatti, affermato che il custode nominato ai sensi degli artt. 2sexies e 2septies della l. n. 575 del 1965 (nel testo applicabile ‘ ratione temporis ‘), per la natura stessa dell’attività che gli è demandata dal giudice e che si concreta nella custodia, nella conservazione e nell’amministrazione dei beni sequestrati sotto il diretto controllo del giudice, rientra nella categoria degli ausiliari di quest’ultimo e, pertanto, la relativa richiesta di liquidazione del compenso per l’opera prestata è assoggettata al termine di decadenza previsto dall’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass., sez. 2, 11/5/2017, n. 11577).
Ma in questo caso è convincente l’applicazione della disciplina di cui all’art. 71 del d.P .R. n. 115 del 2002, trattandosi di custodia relativa all’amministrazione di beni, e non di mera custodia passiva, per la quale potrebbe restare applicabile l’art. 72 del medesimo d.P.R.
Si legge, infatti, nella motivazione di questa sentenza che «l’attività svolta e di cui si controverte era sicuramente di tipo ausiliaria, anche per tutta una serie di altri indici correttamente indicati nella non insufficiente motivazione del provvedimento gravato (dinamica conservazione del compendio patrimoniale, fine dell’accrescimento dello stesso, garanzia di superiori interessi pubblicistici, incremento dell’attività, svolgimento di autonoma attività gestoria, che trova – ad ulteriore riprova della sua ausiliarietà – unico limite negli atti e disposizione di indirizzo proprio del giudice delegato)».
In altra fattispecie questa Corte ha semplicemente evidenziato che il custode del sequestro esercita una pubblica funzione in quanto
ausiliare del giudice (Cass., sez. 1, 15/5/1971, n. 1406), risultando neutra ai fini della soluzione della controversia in oggetto.
Inoltre, il custode, quale organo ausiliario del giudice nel procedimento sequestro giudiziario, non è legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi riguardanti provvedimenti emessi nel giudizio in cui sia stato nominato, dovendosi egli uniformare semplicemente ai criteri e ai limiti fissati dal giudice per la conservazione e l’amministrazione dei beni sequestrati (Cass., sez. 3, 20/7/1979, n. 4348). Si era nell’ambito di una custodia giudiziaria relativa a beni ereditari; di specie ben diversa da quella della custodia giudiziaria di auto sequestrate.
Di valore meramente processuale è la sentenza per cui nella controversia in cui sia stato disposto il sequestro giudiziario, la necessità dell’integrazione del contraddittorio non è configurabile in relazione al custode dei beni sequestrati, che non ha la qualità di parte, bensì di ausiliario del giudice (Cass., sez. 3, 21/5/1983, n. 3544).
Sempre sotto il profilo processuale, si è ritenuto che il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto rappresentante di ufficio, nella sua qualità di ausiliario del giudice, di un patrimonio separato, costituente centro d’imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, risponde direttamente degli atti compiuti in siffatta veste, quand’anche in esecuzione dei provvedimenti del giudice ai sensi dell’art. 676 c.p.c.; è dunque legittimato a stare in giudizio attivamente e passivamente, ma solo limitatamente alle azioni relative a tali rapporti, attinenti alla custodia ed amministrazione dei beni sequestrati (Cass., sez. L, 15/7/2002, n. 10252; anche Cass., sez. L, 8/4/2013, n. 8483).
Ancora dal punto dei poteri spettanti al custode sequestratario, si è ritenuto che il custode sequestratario giudiziario vada qualificato
come ausiliario del giudice, da cui ripete l’investitura, oltre ai poteri e sotto la cui direzione e controllo opera e può compiere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione; l’attribuzione a tale custode di tali poteri, in vista del perseguimento delle finalità proprie del suo ufficio, presuppone lo spossessamento anche del creditore pignoratizio, il cui diritto di prelazione, che rappresenta il contenuto del diritto di pegno, non può essere esercitato ove privo di oggetto (Cass., sez. 3, 30/10/2007, n. 22860).
Nuovamente sotto il profilo processuale si chiarisce che la liquidazione del compenso spettante al custode dei beni sequestrati può essere richiesta con autonoma domanda dal custode stesso, in quanto ausiliario del giudice, nei confronti della parte che abbia richiesto ed ottenuto il provvedimento di sequestro, qualora nella fase cautelare non si sia provveduto a tale adempimento (Cass., sez. 3, 3/3/2010, n. 5084).
Neppure risolutiva sembrerebbe la pronuncia per cui il custode di cose sequestrate opera esclusivamente per conto del giudice al cui controllo è sottoposto come ausiliare e, perciò, la sua posizione è nettamente distinta da quella, eventualmente rivestita, di dipendente subordinato di un terzo (Cass., sez. 12, 26/11/1984, n. 6115).
6. CONCLUSIONI
Dalle precedenti argomentazioni, stante la sussistenza del contrasto fra sezioni civili e penali, nonché per la trasversalità civile/penale della materia, si reputa opportuno trasmettere gli atti alla Prima Presidente per valutare l’opportunità di rimessione a questa Corte a Sezioni Unite.
La Corte, ai sensi dell’art. 374, primo comma, c.p.c., rimette gli atti alla Prima Presidente ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 maggio